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Corso di panificazione e granicoltura – Prima lezione

Il professor Seghetti e Walter D’Ambrosio ci hanno guidato attraverso la conoscenza del lievito madre, la sua applicazione nell’impasto, l’interazione con le farine e le caratteristiche di queste ultime. 
Il professore ha spiegato in primis il senso del prodotto: il pane è frutto della terra, alimento primordiale, lavoro dell’uomo e segno di ospitalità e fratellanza.

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Inoltre è alla base della nostra alimentazione. Tra le tante ragioni, il fatto di non avere caratteri organolettici spiccati ma finezza e grande equilibrio tra le componenti. È importante che sia costituito da ottime farine e da una buona lievitazione, così da favorire il primo atto digestivo e regolare quello intestinale. La farina ha tutto dentro, basta non svuotarla dal suo contenuto originale! 
Ci soffermiamo sulla biodiversità, osserviamo le caratteristiche di due grani tipicamente abruzzesi: Senatore Cappelli e Saragolla, quest’ultimo cereale antico, tra i capostipiti dei più moderni grani duri. Il primo è ormai illustre come un grano “scomodo” perché raggiunge altezze considerevoli, 180 cm, e non appropriate per la lavorazione industriale che – è palese – non bada alla varietà di grano ma ad assemblare e miscelare in base alle esigenze del mercato. Ne consegue l’impoverimento della farina che deve avere una “vita di scaffale” di svariati mesi quando, invece, una integra e sana può essere esposta per una ventina di giorni. Per aumentare la permanenza sugli scaffali dei negozi è necessaria l’estromissione del germe cosicché non si inneschino i processi di ossidazione. Infatti non possiamo più considerare il pane come l’unione di farina, lievito e acqua. Nel tempo sono stati introdotte altre sostanze migliorative che incidono sulla conservazione del pane: acido ascorbico, mono e digliceridi degli acidi grassi, glutine (sì, è aggiunto successivamente e anche da questo dipende l’aumento delle intolleranze), enzimi, malto, zucchero semplice o sciroppo di glucosio così da avvantaggiare i lieviti, acido sorbico e altri agenti antimuffa. Il lievito chimico produce aromi standardizzati. Ricorda il Prof che quando il pane veniva fatto in famiglia, ognuno aveva a disposizione un lievito madre da cui nasceva sempre un pane diverso. Quali sono i motivi per cui ha preso piede il lievito industriale? L’esigenza di avere un pane di pezzatura minore, che pesi poco e dia grandi volumi (vedi le rosette) e la necessità di abbreviare i tempi di lievitazione. Questi fattori hanno portato a una qualità organolettica sempre più scadente: minore è il tempo di fermentazione della pasta, minore sarà la possibilità di fissaggio degli aromi. 
«Il lievito madre e la farina integrale sono vere e proprie ricchezze, ogni microrganismo e ogni componente ha ruoli e peculiarità ben definite».



A questo punto Walter prende la parola ed esordisce con una frase davvero importante: «Il pane è un prodotto semplice ma racchiude tre mestieri difficili: coltivazione del grano, molitura e panificazione». Prosegue dicendo che il pane artigianale non è una ricetta e non può esserlo per le molteplici variabili che caratterizzano, ogni anno, la coltura grano. Del resto ogni varietà dà risultati diversi e ogni farina, ogni impasto, ha caratteristiche diverse. Attenzione e buona manualità risolvono gli “inconvenienti” che possono sorgere. Nell’impastare è importante avere coscienza di ciò che avviene anche se il pane “cambia” quotidianamente e si può sempre imparare qualcosa di nuovo. «Quanta pazienza ho avuto inizialmente, quando il pane non si alzava perché il lievito – ci avrebbe poi impiegato sei mesi – doveva ancora strutturarsi!».
Abbiamo utilizzato lo stesso lievito e la stessa farina di Walter, grano tenero tipo 2. Non viene stabilito un tempo, tutto dipende dalla sensibilità delle dita, queste imparano a capire il significato di “consistenza”. Circa mezz’ora per creare l’impasto tra la curiosità dei partecipanti divertiti e con un lievito da allevare, una pasta che nasceva, sarebbe stata infornata successivamente, e il pane di Walter pronto da mangiare. A proposito, il companatico era un salame di grande spessore di Eugenio Barbieri, agricoltore e allevatore nell’Oltrepò Pavese (grazie ai fratello Scorrano di Pomarius) accompagnato dal Nero d’Avola Vrucara 2003 Feudo Montoni. Infine il più classico dei dolci: pane burro e marmellata, quest’ultima da fragole biodinamiche e pepe verde. 
I due docenti, al momento di andare, si raccomandano: «Durante i corsi sul pane non si danno ricette, si raccontano esperienze. Le vostre mani gestiscono la materia. E ricordate: chi dimentica la terra, dimentica sé stesso».

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foto di claudio caputo