Davide Vanni - Porthos Edizioni

9 aprile 2016

Al pensiero della luce, della sua percezione, di solito siamo colti da un bagliore intenso, un effetto totalizzante. Ieri è stata una giornata di luce, quella immensa, indiscutibile, colta tra le pieghe dell’ansia mattutina, nella voce dei compagni di viaggio, nel riflesso dei vini e negli sguardi delle persone che ti aspettano. Suoni e colori, abbracci, una giornata lunga più di venti ore, di quelle che si vorrebbero vivere tante e tante volte, priva della minima fatica, ma si sa che non si può.
Eppure, può essere più densa di significato quando, quasi timorosa della sua stessa forza, s’insinua nel dolore di un addio, di un distacco e libera uno spazio non visto, neanche immaginato.
Ieri, all’interno della manifestazione Viniveri, ho assistito alla proiezione del documentario Vitæ di Davide Vanni. Tante emozioni mi hanno tenuto lì attaccato alle immagini, ai ricordi. Non riesco a farci stare tutto in un pezzo scritto a poche ore dall’evento ma, intanto, è fortissimo il desiderio di consegnare qualche riflessione.

Davide Vanni - Porthos Edizioni
salvatore ferrandes e davide vanni, foto di francesca demontis

Ognuna delle storie raccolte dall’autore contiene il peso di scelte forti, di passaggi ignoti e, talvolta, non ancora definiti. Essere produttore di vino – la donna e l’uomo che coltivano la vigna e trasformano le proprie uve assecondando un processo naturale – è un grande privilegio, proprio per la fatica e il sacrificio che comporta. Si tratta di una soddisfazione molto maggiore del gusto del vino stesso. Dalle immagini e dalle testimonianze ho potuto cogliere che l’essere lì per le persone intervistate da Davide è il successo della loro vita, chi ha potuto governare gli inevitabili demoni interiori ha accarezzato la felicità e ora la stringe con tutta la forza possibile. Inoltre, s’intuisce quanto il ruolo di custode di un triangolo virtuoso – vigna, vitigno, storia – sia più importante del luogo stesso. Non si tratta solo di interpretare, nei gesti e negli occhi di quelle ragazze e di quei ragazzi capisci quanto siano disponibili a lasciarsi travolgere dall’immanenza della natura, combattenti ma anche consapevoli che nel fare un passo indietro non si pentiranno, perché un vino buono è anche rinuncia, capacità di abbassare il capo, in fondo c’è una nuova stagione alle porte.
L’Italia ci fa una bella figura, è meravigliosa nella varietà e nella vocazione, sono cose che sappiamo da tempo, le abbiamo scoperte ancora prima di vederle dal vero. Tuttavia, non ci si stanca nel guardarle ancora, perché la luce di quei cieli è sempre nuova, perché il freddo e il caldo hanno un suono inconfondibile, come quello della cesoia che taglia un tralcio durante una potatura. Rumore che diventa musica, il distacco che apre a una nuova vita, la perdita che si fa conquista. Il dolore necessario, per non abbandonare, neanche per un secondo, il senso di ciò che si è e di ciò che si può diventare.