Il Gambero e la lingua

A proposito di un sorprendente articolo, dal titolo “Lingua e dialetto”, apparso sul Gambero Rosso di gennaio 2002 e firmato da D. Cernilli. Le ardite metafore del giornalista hanno colpito il nostro lettore, che non ha esitato a brandire la penna, né ha lesinato le stoccate.

 

Cari amici di Porthos,

sicuramente avrete letto sull’ultimo numero del Gambero Rosso l’editoriale vino di Daniele Cernilli. Per chi non lo avesse letto, il titolo è “Lingua e dialetto”, ed istituisce un singolare parallelo tra lingua e vino. La lingua è utile per “comunicare a livello più generale”, il dialetto è “tipico delle specificità e delle culture locali”. Il parallelo di questa situazione con il vino si risolve, a ben vedere, nell’equazione un po’ semplicistica lingua=barrique, dialetto=vino in stile tradizionale. La conclusione, in soldoni: è ora di lasciar perdere i “particolarismi” regionali, è ora di dare ai vini di tradizione un “accento” che li renda comprensibili a tutti; lui non lo scrive, ma seguendo questo percorso la “lingua nazionale” del vino italiano sarebbe lo “stile internazionale!!!”

A sostegno della sua posizione Cernilli cita la situazione linguistica francese, ancora paragonata a quella vinicola: in Francia i dialetti sono molto meno differenziati, la lingua è una vera “lingua nazionale”; così, nei vini francesi è riscontrabile una “grammatica enologica” comune, essi “parlano la stessa lingua con differenti connotazioni di pronuncia”.
A parte la condivisibilità di queste affermazioni, tutt’altro che scontata, il signor Cernilli sembra dimenticare che in Francia, così come in Inghilterra, il processo di uniformazione linguistica si è compiuto in centinaia di anni (tre secoli o più), ed è stato condotto contemporaneamente dall’alto e dal basso, attraverso ciò che antropologicamente si chiama osmosi linguistica. Esso ha quindi prodotto una CULTURA, un senso di identità nazionale, una consapevolezza della propria storia. Questo processo da noi si è compiuto negli ultimi trent’anni, né dall’alto né dal basso ma letteralmente “dal mezzo”: attraverso un mezzo di comunicazione di massa (la TV), e non ha prodotto alcuna cultura riconoscibile ma solo una perdità di identità, senza alcun rispetto verso le numerose realtà locali (nel secolo scorso, ed in buona parte di quello appena terminato, l’italiano era in realtà una lingua letteraria, del tutto scollata dalla vita reale). Del resto, un processo che si compie attraverso un mezzo non può che produrre mediocrità, e determinare una “comunicazione” a dir poco superficiale e standardizzata.
Questo signore vuole dunque dirci: facciamo i vini come si fanno i programmi tv, buoni per tutti gli usi, colorati e pieni di tette al vento, e soprattutto – mi raccomando – con meno personalità, meno contenuti e meno identità possibile.
Saluti.