08 Gen Alberese e Galestro: Lamole, l’impronta dell’Arenaria
alla tua verna altissima e non ti odo
Chianti Classico 2009 Il Barlettaio
Bel colore rosso rubino brillante, verace e sanguigno. Al naso si mostra da subito austero e sporcato da una vena terrosa e organica insolita per l’azienda (ma non per Radda); il contatto con l’aria chiarisce uno spettro aromatico di sapiente fattura con note di cipria, tulipano e, alla fine, mammola, che appaiono però decisamente imperturbabili e definitive e quindi più esibite che realmente espresse. La bocca è equilibrata: fresca, calda come ci si attenderebbe dall’annata, di bella appetibilità. Va detto subito che lo sentiamo in un momento di particolare oscillazione tra la sua vocazione floreale e il richiamo a note più animali che, nel corso di altre degustazioni, non ha mostrato. A parte quindi questa sua momentanea “debolezza”, s’inserisce bene in una batteria d’altezza, ribadendo una generica ma percettibile territorialità raddese, a fronte anche di “colmature” alloctone, come in questo caso. L’untuosità di una scottiglia con carni dell’aia ne avrebbe, forse, esaltato il carattere tutt’altro che opaco.
Chianti Classico 2011 Podere Castellinuzza
Colore rosso rubino scarico, con unghia sensibilmente più “adulta” del campione successivo. Il naso richiede tempo e pazienza per illimpidire un orizzonte aromatico ostacolato da note di smalto, fango e terra bagnata; scavalcato questo muro, si apre l’hortus conclusus di una florealità allegra e campestre. La bocca appare concreta, guidata nella dinamica gustativa da un alcol inatteso, sul cui sviluppo predomina una nota tenera, piacevole anche nel ricordo. Un prosciutto del Pratomagno ne gratifica l’equilibrio fra terra e nuvole.
Chianti Classico 2012 Podere Castellinuzza
Bellissimo colore rosso rubino, trasparente e vivido. Gli aromi guidano decisamente e senza distrazioni alla mammola e al bocciolo di rosa, con una precisione e una pulizia varietali di grande coerenza e di esemplare mutevolezza. La bocca è anche qui calda e morbida, mitigata però da un tannino disinvolto e affilato, ancora in evoluzione. Come nel 2011, la presenza alcolica importante non pregiudica il profilo aromatico di grande leggiadria tipico di Castellinuzza. È il vino che più di tutti ha suggerito una conclusione col cibo, in particolare con un denso guazzetto di crostacei.
Chianti Classico L’amole 2012 I Fabbri
Colore porpora, trasparente e brillante di grande gioventù. Al naso mostra il suo ormai proverbiale cesello, quasi didattico per chi voglia avvicinarsi alla sottozona e allo stile aziendale: il giaggiolo lamolese si trasforma in ciliegia durona con intensità e nitidezza quasi formalistica. Invade la bocca in ogni sua parte con tutte le componenti perfettamente modulate, su cui svettano l’attesa, spensierata freschezza e soprattutto il tannino, sempre presente e compiuto in ogni vino di Susanna Grassi: è proprio questa viva astringenza a riportare al registro della sobrietà l’esuberanza tutta aerea di questo Chianti Classico “base”. Si è ben maritato all’affumicatura del capocollo calabro.
Chianti Classico Riserva I Fabbri 2007 I Fabbri
Colore rubino intenso di grande trasparenza. All’olfatto mostra una maturità pienamente raggiunta che niente delega al calore dell’annata e alla correzione di Merlot (5%) evocata, forse, solo da una sfumatura erbacea di fieno ed erba medica secca che arricchisce un profilo già prodigo di richiami (ciliegia matura, geranio, pepe, paprika) ma, a suo modo, essenziale alla compiutezza odorosa. La bocca spiazza per gioventù e freschezza, affidandosi poi all’attesa stoffa tannica: inizialmente di consistenza quasi granulare, poi più succulenta e riunita, infine vellutata, a suggerire la reminiscenza letteraria di un “cretonne polveroso” degno di Joyce1 che chiude la degustazione a mo’ di sipario, salvo poi lasciare spazio a un ritorno balsamico nettissimo. Le lasagne generose de Il Ristoro di Lamole vi avrebbero trovato un giusto contrappunto.
i terrazzamenti della Fattoria di Lamole, foto di maurizio paolillo
Chianti Classico Gran Selezione Lama della Villa 2010 Fattoria di Lamole – Castello delle Stinche
Colore rosso rubino trasparente e materico. Al naso mostra subito un volume aromatico maggiore e una certa fuga dalla collina di San Donato a Lamole: dominano la scena le sensazioni carnee e terrestri della liquirizia, del sangue e del macinato crudo di cavallo, arricchite dal floreale lamolese che appare un po’ (tecnicamente) trasformato nei meno spontanei tulipano e rosa; concludono il fumé e la vaniglia del legno. In bocca mantiene la ricchezza tattile promessa dagli aromi, miscelando sapientemente il tannino levigato, la sapidità e la freschezza a una saporosità vegetale esaltata dal matrimonio festoso con la focaccia farcita di broccoli e guanciale.
Chianti Classico Gran Selezione Vigna Grospoli 2011 Fattoria di Lamole – Castello delle Stinche
Colore rosso più scuro. Forse a causa di un maggior nitore, appare meglio “disegnato” e meno inquieto del Lama della Villa, pur non difettando di ampiezza e varietà odorose, invero un po’ crude, oltre al sangue, la verdura (carota, sedano, cavolfiore) e la frutta fresca (melone), sulle quali si adagia la cannella del legno. In bocca è largo al punto da accarezzare le guance nella deglutizione; torna poi la nota ematica, ma nella declinazione più evoluta di un filetto alla brace, che ben si completerebbe con del capriolo in umido.
i terrazzamenti della Fattoria di Lamole, foto di maurizio paolillo
In generale, la degustazione ha confermato la spiccata territorialità dei vini provenienti dalle colline di Castellinuzza, Casole e Lamole, rimandando a un’unità territoriale rintracciabile soprattutto nell’immediatezza della prima batteria. Se proprio dobbiamo ricorrere a una suggestione per inquadrare e banalizzare questo Sangiovese un po’ eccentrico, più che alla troppe volte scomodata Borgogna, i vini paiono rimandare a certi blend del Nord Piemonte (Boca, Sizzano, Ghemme), seppure la cifra distintiva non sia qui l’acidità irriverente dei vini prodotti sotto il Sesia, quanto un tannino tutto chiantigiano, sempre emergente e tutto da interpretare.
In riferimento al titolo della degustazione, difficile confermare un’impronta data esclusivamente dalla natura geologica delle giaciture: se è pur vero che pressoché tutti i vini degustati riposano sull’arenaria tipica delle parti sommitali della denominazione, è altrettanto vero che tutte le variabili (meso e micro-climatiche, altimetriche, geologiche, orografiche ecc.) si sovrappongono qui in un profilo sotto-zonale ancorché di limitata estensione, tuttavia di grande complessità dato dall’«accidentata morfologia [che] provoca variazioni notevoli anche fra località poco distanti fra di loro e poste ad eguale altitudine ed esposizione» (R. Cianferoni, 1979); il che è riferibile alla gran parte del Chianti Classico e non solo a Lamole, nel quadro di quella frammentarietà territoriale più volte discussa. Ne risulta, però, uno schema generale di grande equilibrio in cui l’altitudine elevatissima e quasi al limite disciplinato, l’esposizione, i terreni, una più intensa pluviometria sub-litoranea-appenninica concorrono a determinare un areale di grande vocazione vitivinicola continentale.
I vini di Castellinuzza, hanno confermato l’idea che questa collina, in qualche modo, si presenti con caratteri di medietà fra l’Alta Valle della Greve e i due poggi più alti di Casole e Lamole – quest’ultimo poi a pochi chilometri da Montemaggio e Volpaia, con cui condivide versante e altimetria.
I due vini di Susanna Grassi hanno mostrato grande beva e un profilo tannico sempre ben eseguito; la Riserva I Fabbri 2007 in particolare si è dimostrato di bella pienezza e di una vitalità non scontata, vista l’annata e il taglio col Merlot: anche in questo caso possiamo affermare, in via del tutto preliminare, che il territorio ha fatto sentire la sua marca.
Pur nell’evidente diversità delle rispettive fisionomie, i due vini di Paolo Socci della Fattoria di Lamole – Castello delle Stinche hanno evidenziato unità d’intenti. Certamente tra i più consapevoli dal punto di vista esecutivo, il Lama della Villa 2010 e il Vigna Grospoli 2011 sono apparsi però più «smaccati»2 degli altri, apparentemente non all’altezza dei cru di origine e con un dialogare assertorio e meno conversativo da quanto ci si attenderebbe da un vino lamolese, che è usualmente estroverso e mutevole nel bicchiere nelle versioni d’annata, al massimo austero e accigliato – ma pronto a concedersi col tempo – in quelle Riserva.
1 Oltre che alla sinestesia col tessuto vellutato e corpuscolare che la trama del vino suggerisce, il “dusty cretonne” rimanda alla centralità un po’ polverosa dell’omphalos chiantigiano nel contesto produttivo di una Toscana che si vuole scintillante come un bazar joyceano, in realtà immobile come la Dublino del 1914. Cfr James Joyce, “Eveline”, “Araby” in “Dubliners”.
2 Nelle «dottissime annotazioni che fece al suo celebre Ditirambo intitolato Bacco in Toscana» [così il biografo Criseno Elissoneo, n.d.r.] Francesco Redi definisce un vino «smaccato» come «propriamente della frutta, o altro, allora che per troppa maturezza perdono la loro natural sostanza e sapore» (1685).