Allegro

Lui, come sempre, urla come un pazzo. Lei, con tono esasperato, sbraita: «Puoi urlare di meno?!?!» Dall’’officina sale la quotidiana litania di mugugni, lamentele, grida stizzite.
Oggi è tornato il sole, timidamente, dopo tre giorni di cielo grigio, vento umido, pioggia minacciosa che non è mai arrivata. Tempo che la lavatrice termini il suo ciclo di bucato, il sole se ne sarà andato di nuovo; si vede dalle nuvole laggiù.
Sdraiato sulla poltrona del dentista, con un aspiratore in bocca e due cilindri di cotone tra guance e gengive, canticchiavo a labbra e lingua immobili: «We shall overcome, we shall overcome, some day… Oh, how deep in my heart, I do believe, we shall overcome, some day». Mi usciva spontaneamente un mediocre falsetto strozzato nel gozzo, in attesa che l’’odontoiatra comunicasse il suo verdetto sulla sanità del mio dente, sottoposto a una lunga serie di raggi x.

Oggi mi hanno fatto di tutto, tra le cose più immonde che si possa immaginare, armeggiando nella mia bocca con paste medicali, spingipasta, aghi di plastica dai sentori orripilanti, trapani o presunti tali, spatole, tamponi, aspiratori vari e persino la fiamma ossidrica per fondere la punta di un arnese che, fumante, il dottore ha inserito nel dente cavo. Non avrei mai immaginato che devitalizzare un premolare fosse così avventuroso. Pensavo all’’assegno che avrei staccato di lì a poco, a conclusione del nostro terzo incontro nel volgere di poche settimane. E canticchiavo «We shall overcome…» L’’assistente, una fulgida trentenne dai capelli corvini, florida e solare nell’’espressione degli occhi, di origine friulana, mi sente pigolare e domanda se sono contento. Spalanco gli occhi– – tanto non vedo nulla senza occhiali – e annuisco: «Hh-h, hemphe», che sta per “Sì, sempre”. Meschina menzogna, ma fingo che sia vero e cerco di convincermene.
Faccio un altro po’’ di commissioni, ritiro un bollettino di pagamento da 154 euro, il mio amico Nando racconta «ma io prima o poi a quella gliela faccio pagare». Passo dalla mia compagnia di assicurazioni. La polizza rc auto è in scadenza, approfitto della disponibilità immediata del libretto degli assegni e pago in anticipo di qualche giorno. Suono, salgo, chiedo il conto, stacco un assegno di 945 euro. Sorrido, saluto, me ne vado. Loro incassano, non sorridono, faticano a salutare.
Passo dalla cartoleria-libreria-edicola di quartiere, gestita da due cordiali signore di mezza età. «Mi fa un paio di fotocopie di questi pagamenti, per favore»? e fischietto. «Sei allegro…» Sì perché? Vorrei risponderle come fa spesso mia madre: «Ça coûte pas plus cher», ma non esiste un’’esatta traduzione, o non mi viene in mente. Allora dico: «E’ tornato anche il sole…» Lei mi guarda, penso che capisca un pezzo soltanto della mia considerazione e dice «trenta centesimi».
Poso le mani dalla tastiera; sto per finire. E la figlia dei proprietari dell’’officina bercia al telefonino: «…e lui ti rompe i coglioni, vero? E’ fuori fase, non va bene, e tu mandalo a fare in culo…»
Essere allegri è una colpa. Che cosa vorrà la gente?