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Barolo e Barbaresco, lo stato delle cose


dagli appunti di matteo gallello, roberto lo pinto e sandro sangiorgi
a cura di sandro sangiorgi

 

Barbaresco e Barolo sono i territori che incarnano il talento del Nebbiolo, la sua vocazione, l’abilità a leggere ogni aspetto del luogo. A Porthos abbiamo approfondito l’argomento attraverso molteplici prospettive, sulle pagine della rivista e attraverso l’attività didattica. Tuttavia, da qualche anno le Langhe hanno palesato grandi cambiamenti, percepiti anche grazie all’assaggio dei vini e al dialogo con produttori e osservatori. Il cambio generazionale e la sempre più ossessiva presenza della vite hanno fatto la loro parte, ma non bastano a spiegare la situazione attuale. Noi abbiamo cercato di capire i motivi di una tale trasformazione territoriale e sociale.
Ecco, intanto, cosè scaturito dallassaggio dei vini.

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Mercoledì 9 ottobre 2019, primo incontro

Barbaresco Montestefano 2015 Rivella
Granato regolare e omogeneo.
Effimero e smagliato dal calore, l’espressione è aerea, tutta in superficie: si guarda, consapevole della sua avvenente godibilità, però col passare dei minuti tende a scomparire, a nascondere la sua mancanza di vigore. Il copione non cambia nello sviluppo del sapore, largo e lento, alcolico e con una presa gustativa non così sicura; utile a chi teme l’energia dei Nebbioli di Langa, a noi sembra prevedibile, soprattutto nei ritorni retro-olfattivi.
Al di là dell’annata calda – qualcuno la definisce un altro spartiacque culturale, sociale e climatico – e proprio in virtù della stima verso Baldo Rivella, ci piacerebbe che fosse in una fase impudica e sbarazzina, in attesa che le componenti più profonde e decise si facciano avanti.

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Barolo imbottigliato da Co.Tra.Pro. Soc. Coop. Agr. 2014
Rubino granato cupo.
Il naso è semplice, presto emerge il tono cotto che si propaga anche nella corrispondenza con la bocca. L’impatto del sapore è inconsistente, tanto che acidità e tannino si ritrovano nella parte posteriore, soli e dal tratto posticcio; un tocco di legno e un tocco di frutta passita compongono un epilogo monocorde.
È slegato, disperso, l’annata umida e difficile non l’ha aiutato, tuttavia il disperato tentativo di recupero verso un equilibrio standardizzato, alla luce dell’assaggio, sembra aver fatto più danni.

Barbaresco Riserva 2013 Cascina Roccalini
Rubino granato vivo.
La parte volatile (bellissima) si trasforma nel rovo, è quasi pungente, tanta menta, foglie, una passeggiata nel bosco, insieme alle note più mediterranee di timo e alloro.
In bocca è propositivo, coinvolto e dinamico, l’ordinata disposizione dei tannini non toglie grinta allo sviluppo, è lungo e chiude in levare. La suggestiva e matura delicatezza sarebbe piaciuta a Paolo Monelli, un invito a scoprire l’Umanesimo del Barbaresco, la sua diversità.

Barbaresco Riserva 2012 Gea
Granato cupo.
Qui l’autunno è materico, selvatico, sa di terra bagnata e funghi, la prugna è densa e succosa, dolce ma non stanca; la tenuta nel calice è positiva, nonostante il liquido porti con sé un gran peso, sicuro un merito dell’effetto virtuoso dell’acidità volatile.
In bocca si distende piano, la forza e la spinta sono coordinate e fanno scorrere il vino con eleganza: se l’impatto dell’acidità è più timido che nel Roccalini, i tannini hanno una fermezza fatta di luce e calore, a rammentarci che il Bricco di Neive nulla ha da temere nel confronto con i sottosuoli tortoniani ed elveziani.
Il Barbaresco di Gea risponde al precedente: probabile non ne abbia la fine lunghezza, allo stesso tempo non teme il proprio lato oscuro e, anzi, se ne serve per magnetizzare senza sosta il nostro interesse.

Barolo Riserva Arborina 2013 Curto
Granato di media intensità.
Lo sprone dell’alcol sostiene il profumo, giovane di frutta fresca (con un accenno come di basilico) e maturo di corteccia umida; l’aspetto più promettente è l’integrità complessiva dell’insieme che, nel calice, non fa particolari evoluzioni e conserva una composta immediatezza.
Estroverso nel donarsi in bocca, manifesta una fine corrispondenza con l’impatto odoroso: la continuità croccante di tannini sfocia in un finale pulito, forse fin troppo asciutto.
Il suo fare voluttuoso non cerca di blandirci, è la generosità propria di alcune vigne dell’Annunziata di La Morra.

Barolo 2013 Viglione
Granato vitale.
Definitelo pure cauto e timido, ma la sua sostanza contiene una ricercatezza rara, contrassegnata da un tratto marino che subito appare nascosto, coperto dalla terra e dalle foglie; il “poi” del Barolo di Viglione è per fini sensibilità, talmente impalpabile che rischia di sfuggire.
In bocca il portamento è lieve, poggia su un tessuto irregolare: l’acidità non parte al momento atteso, è in controtempo e ciò favorisce il manifestarsi rinfrancante del corpo, a lui seguono i tannini che allungano la tensione e rafforzano l’unità dell’esperienza.
Si lascia inseguire attraverso la sua adorabile fragranza, è un Bussia da manuale, sarebbe piaciuto anche ad Aldo Conterno, con quel suo finale amarognolo da nocciolo di pesca.

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Barolo Bussia 2009 Fenocchio 
Granato con riflesso mattone, limpido.
L’effluvio sorprende, pensiamo che da aereo possa farsi profondo, comincia all’inverso, da sentori radicali, lo devi cercare “sotto”, ha mutato la consueta gerarchia odorosa e a mano a mano sale sicuro come Maiorca recupera verso la luce dopo aver preso il cartello dei cento metri; colpiscono la solarità e l’animo mediterraneo, non manca la trasformazione balsamica e un ritorno del rovere che alla lunga pare premere più del dovuto.
In bocca è scattante, forte di un’acidità credibile e di tannini che circondano la lingua senza soffocarla, del corpo quasi non te ne accorgi, eppure la sua presenza non ci abbandona facilmente. Ondeggiante, affusolato, salino, è una creatura sconosciuta, metà vino e metà pesce!

Barolo Rocchette 2011 Accomasso
Granato rubino intenso.
Il bulbo, la terra in potenza che sarà fiore e rinnoverà il segreto della natura; i sentori di agrumi e nocciola sono un interlocutorio depistaggio, se si aspettano solo pochi minuti, si potrà godere di una sensualità tanto aspra quanto generosa, irriducibile, irriverente e innamorata, evoca la canzone “Sour Girl” degli Stone Temple Pilots, scritta da Scott Weiland e dedicata alla sua prima moglie.
In bocca il senso di questo Barolo è come dilatato, il frutto di una “distillazione” che coinvolge la luce, la terra e il calore etereo dell’annata: la cadenza del sapore si muove per multiple estensioni, il sorso è in un tempo vibrante e gentile, «la sua lunghezza sfocia nel ricordo di domani» (Matteo).
Le Rocchette dell’Annunziata consegnano un acino dalla complessità fatta di una tela invisibile: se i tannini fini e decisi trattengono la tensione tattile della buccia del Nebbiolo, il succo e la polpa liberano un sorriso di gratitudine.

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Mercoledì 16 ottobre 2019, secondo incontro

Barbaresco Asili 2008 Bruno Giacosa
Granato caldo, omogeneo.
Naso aereo e aristocratico su sfondo balsamico, essenziale e pulito; la parsimonia con la quale si concede non è segno di profondità, sembra appartenere più alla fattura del vino, anche per questo si trasforma solo in parte, lasciando un filo di delusione.
In bocca è compatto e tenero, si poggia con delicatezza sul cuore della lingua, i tannini si dispongono con una precisione millimetrica, dall’affondo salino emergono ritorni semplici e gradevoli di confettura di fragole e rabarbaro.
Consapevole della propria altera ricercatezza, non manca di garbo: la sensazione è la medesima della prima volta che l’avevamo sentito, nella primavera del 2011; la speranza di allora è che l’affinamento lo portasse a elaborare una fisionomia cangiante e complessa, una condizione che per ora non si è ancora realizzata; magari è proprio per questo motivo ci sono molti ammiratori che ne apprezzano tale singolare e statica coerenza.

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Barbaresco Asili Vecchie Viti 2010 Luca Roagna
Granato mattone luminoso.
Ritroviamo la luce nello spettro olfattivo, un poliedro multiforme, sparso e unito, generoso e sfidante; il sentore è di una frutta più matura del precedente, vira verso sfumature mediorientali; attraverso la relazione con l’aria trascorsa nel calice, il vino ci accompagna in basso, a stratificazioni che, almeno per ora, ci paiono oscure.
La trama tannica è robusta e precisa, intimorisce nel suo livello di affilatura che garantisce una levità da manuale, una “studiata” sfuggevolezza; lo scatto dell’acidità è serio e unito all’insieme, l’alcol ha una portata da grande fiume, colpisce la coincidenza con la scia salina lasciata dal precedente.
Rappresenta la radice del Barbaresco, luce fioca e inesorabile, un immaginifico contatto con quel Pinot Noir che qualcuno avrebbe visto con favore insieme (o al posto!) del Nebbiolo.
Il recente assaggio dell’altro pezzo importante dell’azienda ci ha convinto di come Roagna produttore interpreti il sentimento del luogo prima di imporre un’interpretazione: tanto era coinvolgente e materiale il Montefico della stessa annata in aprile, quanto è liquido e armonico l’Asili in questa sessione; gemelli nell’alto livello di emotività, sono stati separati quasi subito per destinarli a carriere differenti e a strumenti diversi.

Barolo Margheria 1997 Massolino 
Granato cupo, imbrunito dalla stagionatura.
Naso organico di carne arrostita con aromi di macchia mediterranea, poi pomodoro secco, il sottofondo è terragno; probabile sia stato fiaccato da tanto calore, al punto da far trapelare un soffio ossidativo.
In bocca è subito appassionante, accecante, ha una dinamica desertica: il tannino, grosso e polveroso, non si è mai sentito parte di una corale che, sin dalla sua costituzione, ha esibito sentori solari e decadenti; la mai doma rusticità ci spiazza con le note di cacao amaro e alga essiccata, la chiusura monocorde ci lascia con la tragica carnalità degli sguardi delle attrici del cinema muto.
È valsa la pena conservarlo, il Margheria 1997; al tempo ci aveva fatto esclamare “africano!” e avevamo pensato che si sarebbe consumato in breve, vittima di un equilibrio troppo spostato sull’anima morbida; oggi ci sembra invecchiato bene, non potrà maturare una complessità articolata, come del resto non sarà facile che la misura dei tannini possa affinarsi, eppure il sangue che scorre ha vita e trasforma il proprio amalgama.

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Barolo Classico Riserva 1999 Borgogno
Granato di media intensità.
Naso, lento, fluviale, il sentore di menta ci conduce nei meandri di un bouquet non facile da decrittare: in questo spazio cavernoso, l’azione conservatrice dell’alcol ha reso le forme che si susseguono immobili e sfocate, serve aspettare che l’aria penetri con noi e scardini queste teche agghiaccianti, per trasformarle in fluidi odorosi e vitali, sin fulgidi per come restituiscono la loro origine luminosa.
In bocca ha la rara abilità di accendere il cuore condensando il freddo e il caldo, ciò conferma quel magnetismo progressivo intuito all’odorato, non a caso la salinità è ferrosa e la linea dell’acidità è una traccia tesa, elegante; i tannini meritano un discorso a parte: sono schierati in modo dimostrativo, pronti a una battaglia che forse non avverrà mai.
Se la 1997 è stata uno dei principali spartiacque di questi ultimi 30 anni – basti pensare alla meravigliosa austerità della precedente e alla consapevole felicità della successiva – la 1999 ha sofferto aspettative molto elevate, impossibili da rispettare; ora stiamo provando a comprendere che specie di particelle è rimasto dopo questi vent’anni che sono volati: è interessante notare quanto ognuna di esse contenga due parti che stanno maturando separatamente e non è sicuro che potranno mai incontrarsi.

Barolo del Comune di Serralunga Principiano 2015
Granato vivo e compatto.
Naso gentile, estroverso, gli agrumi si stagliano tra i sentori principali, il calore diffuso si riverbera nell’eredità retro-olfattiva, trascinando con sé la sua libertà e altri aspetti non svelati.
In bocca manifesta subito l’impatto acido-tannico, invero moderato, e si distende con un grado di soave ingenuità; le sensazioni finali restano in bilico tra l’esuberanza liberatrice e il desiderio di trattenerle, per non consumarle tutte troppo presto.
Difficile pensarlo di Serralunga, senza per forza riferirci alla proverbiale astringenza: ci mancano la severità complessiva e il tessuto disordinato proprio di un terroir che prepara liquidi capaci di un lungo invecchiamento. Deve essere l’annata 2015, come accennato nelle descrizioni della prima serata, una stagione spartiacque, nella quale si sono toccati ulteriori record di disidratazione dei suoli e delle uve.

Barolo Ravera di Monforte Principiano 2015
Granato teso e omogeneo.
Naso impassibile, schermato dalla volatile iniziale; il passare dei minuti ne qualifica l’espressività e, pur nel suo distacco, si concede con garbo, risultando alla fine il più accogliente. Il tannino marziale s’intreccia con l’acidità nervosa, ha statura e serietà, lasciando la propria eredità minerale a una bellissima scia prima ferrosa e poi salina, travolgente. Il calore dell’annata non gli ha impedito di formarsi un portamento autorevole e deciso, i profumi testimoniano che c’è un sensibile potenziale di complessità da sviluppare nei prossimi anni; non c’è il “veleno” di altre stagioni più equilibrate, si tratta di una vibrazione che potrebbe farci godere di uno spazio emotivo successivo all’assimilazione delle componenti materica e razionale.

Barolo Riserva Vignolo 2012 Cavallotto
Granato rubino intenso e vitale.
Naso di foglie e alcol, un contrassegno farmaceutico impedisce al profumo di svilupparsi con la dovuta disinvoltura, inevitabile che i sentori finiscano per diventare monocordi, quasi sfiancati; va un po’ meglio nella corrispondenza gusto-olfattiva, dove sentori di nocciolo di pesca, cannella e chiodi di garofano fanno trapelare la natura del vino.
In bocca appare snello, tonico, il tannino e il fervore etilico sono importanti, eppure il liquido non riesce a coinvolgere, diviso tra la durezza un po’ scoperta e gessosa del primo e la solitudine del secondo privo di un adeguato sostegno della lunghezza sulla lingua.
Chi non si è fatto scoraggiare da quella strana nota farmaceutica ha vissuto in modo positivo la squadrata contrapposizione tannino-alcol nello sviluppo del sapore.

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Barolo Riserva Bricco Boschis Vigna San Giuseppe 2012 Cavallotto
Granato profondo.
Maestoso e romantico, ambisce a restituire il senso di un Barolo di lotta e di governo, aristocratico ma non sussiegoso: come il Barbaresco di Roagna non rinuncia alla propria fisicità, lo accompagna un sentimento quasi proletario, profondo e radicato.
Il sapore esibisce volume e vigore: rispetto al prodotto del Vignolo questo conta sulla piena spinta del sale e del ferro, il tannino è implacabile e resta integrato nella stoffa tanto da coprire senza apparente sforzo ogni spazio sensibile; i ritorni appassionanti sono di fiori appassiti e noce, con la vena di liquirizia…
È credibile, non teme di essere un modello precostituito; chi conosce i versanti di Castiglione può apprezzare la carnalità del Barolo del Bricco Boschis, un complesso di variabili che disorienta e che all’apparenza non trova pace, almeno per un po’.

Barolo Brunate Le Coste 1998 (in pintone da quasi due litri) Rinaldi
Granato maturo, ancora uniforme.
Comincia sornione, il profumo è come preso alla sprovvista, sembra un tennista che ha aspettato a lungo, troppo, il momento della sua partita, pensava che ormai sarebbe stata rimandata al giorno dopo e invece gli tocca cominciarla; gli danno coraggio le sfumature di alloro e di pane alle olive, la mitezza della camomilla e la speziatura dello zafferano.
In bocca risale la china, diventa irresistibile e non si capisce dove trovi le energie… il tannino trascina la parte superiore del flusso, un movimento regale, l’acidità non morde come in altre annate e, per questo, si “accontenta” si assistere il sale nella tenuta sotterranea della lunghezza; s’intuisce quel ricordo di metallo e cacao, è un dispiacere che “scompaia” così velocemente dal calice.
Allora definita «annata felice» – era il tempo dei Porthos 9 e 13-14 – la 1998 ha qui uno dei suoi più encomiabili rappresentanti: consapevole delle proprie fragilità, il Brunate Le Coste dal pintone protegge i suoi punti vulnerabili, «forte nel labile» avrebbero detto i Marlene Kuntz. Il suo abbraccio è inesauribile e resta, come il Roccalini di mercoledì 9 ottobre, il più ricco di umanità: caldo e palpitante, sereno e pensoso, confuso tra l’essere e l’agire della Natura, un flusso in continuo divenire.

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