Che cos’è un bicchiere di vino

Sono convinto che nella descrizione di un’emozione, di un’impressione, di una sensazione, vi sia l’atto educativo. Quando sono con i miei alunni li invito a una manifestazione verbale – Ditemi!, li esorto – così che possano esprimere quello che provano senza alcuna mediazione del ragionamento. Mi rivolgo allo stesso modo ai profani e ai più avvertiti, perché nella descrizione immediata si nasconde una parte della verità. Ma se non si sentono di uscire allo scoperto, molte sono le persone timide che temono di dire una cosa inappropriata, le incoraggio a scrivere tutte le associazioni che sentono vicine, soprattutto quelle che appaiono le più improbabili, perché sovente sono quelle giuste: il vino contiene il mondo, nulla vi è escluso a priori.

Attraverso tale cammino maieutico, nel quale condivido con loro il mio percorso di crescita, tento di risvegliare una sensorialità assopita o frastornata, che è poi la stessa cosa, e provo a riportare alla luce la spontaneità delle impressioni; questi i primi passi verso una profonda educazione dei propri sensi.

Ma il vino è un fatto del tutto soggettivo? Naturalmente sì. E’ un errore però credere che la soggettività sia una condizione statica che si alimenta in modo autarchico, che vive solo di impressioni epidermiche. Educare la soggettività è la mia sfida: convincere chi si appassiona al vino, e poi se ne innamora definitivamente, a coltivare la valutazione personale accogliendo la varietà come un’occasione di conoscenza. Ecco cosa distingue l’esperto vero da chi si è costruito solo una cultura enciclopedica: la capacità di accogliere la diversità. Nel lasciare sedimentare le emozioni, mettiamo in moto la memoria sensoriale che possiede un circuito elettrochimico indipendente da quello razionale; attraverso questo sommovimento tornano in superficie aspetti che non avevamo preso in considerazione, cromatismi, odori, tattilità che pensavamo di non aver notato e che invece il nostro sistema sensoriale ha assimilato, senza il nostro consenso. E che rimette in circolo in maniera imprevedibile, senza avvertirci.

Ascoltarsi, non temendo di lasciarsi smentire dalle emozioni e superando la possibile delusione per qualcosa in cui si credeva, significa alimentare la propria soggettività e farla diventare uno strumento più preciso di qualsiasi tentativo di rendere scientifico l’esame organolettico, attraverso medie di valutazioni e test antropometrici. Il nostro alleato è il tempo. Degustare significa dedicarsi, tornare nel bicchiere e nella bottiglia aperta, per capire che il vino è una materia viva e deve saper affrontare l’ossigeno modificandosi, crescendo e decadendo secondo la sua vocazione espressiva. Seguire tutto questo aiuta a comprendere la sostanza nutriente del vino, che è un liquido spirituale prima ancora di essere cibo per la carne.