Chronoskairos

Chrónos e Kairós – Degustazione di vini naturali nel tempo

Riporto di seguito l’intera voce Tempo propizio, Kairós estrapolata da un testo di Francesco Varanini, professore all’Università di Pisa, al quale sono grato per quello che è riuscito a trasmettermi, durante i miei anni di studio e dopo. Il tentativo di far capire che “porre attenzione alle parole significa tornare a porre attenzione al senso” è alla base del suo insegnamento. Attraverso le sue parole vorrei provare a spiegare come intendo le due accezioni di Tempo nel vino.

Chronoskairos
foto di claudio caputo


Tempo propizio, Kairós
Il dio Crono è il padre di tutte le cose, che divora i suoi figli. Chrónos è il tempo che divora l’uomo. Il tempo-chró-nos è un indifferenziato continuum che scorre nostro malgrado. Il tempo-chrónos ci detta le regole. In ogni momento siamo assoggettati alla sua norma. Nel tempo-chrónos non c’è spazio per la libertà individuale.
La pratica quotidiana ci ricorda che conosciamo una dimensione del tempo ben diversa.
Mentre chrónos è il tempo dell’orologio, una dimensione del tempo imposta e subita, kairós è una dimensione soggettivamente vissuta, è la dimensione dell’esperienza. Kairós è il tempo opportuno, conveniente, “speciale”, la circostanza, la buona occasione, la coincidenza. Mentre dal punto di vista del tempo-chrónos tutti i momenti sono uguali, il tempo-kairós è percezione della differenza. Per ogni cosa da fare, c’è il momento buono, il momento propizio. Mentre un unico chrónos subordina tutti alla stessa norma, ognuno ha il suo kairós: ognuno ha i suoi tempi, ognuno gode in qualche misura di libertà individuale, ognuno si fa carico delle proprie responsabilità.
Se diciamo: “avere i propri tempi”, alla luce di chrónos vediamo innanzitutto il giudizio negativo nei confronti di chi va troppo piano; se intendiamo “avere i propri tempi” alla luce di kairós viene in mente il “muoversi a ritmo”, il “sentire il ritmo”.
L’etimo di kairós è incerto. Ma sembra che rimandi a due ancestrali situazioni, una più legata al genere maschile e una più legata al genere femminile: il gesto dell’arciere che scocca la freccia verso il bersaglio e il gesto della tessitrice, intenta a far incontrare nel modo esatto trama e ordito. Situazioni, entrambe, dove la mente è volta a cogliere l’attimo, la finestra spaziotemporale più propizia.
Kairós indica non solo un istante, ma anche un “luogo decisivo”, un “punto critico”: nell’Iliade è la parte del corpo più vulnerabile, che il nemico apposta prende di mira. Proprio per questo suo indicare la parte del corpo dove è più facile la penetrazione della spada, o della freccia, kairós, secondo alcuni, è tradotto in latino tempus. Tempus – che discende dalla radice tem, “tagliare”, e ha quindi il senso primo di “qualcosa di tagliato” – sta infatti sia per “tempo” che per “tempia”, parte debole del corpo. Secondo altri, invece, il “taglio” ha un significato più vicino a chrónos: “idea” sarebbe la “divisione del tempo”. Mentre chrónos incombe fatale nostro malgrado, kairós ha che fare con la personale saggezza.
Consapevoli della complessa, sottile trama che lega gli eventi, conviene dedicare l’attenzione all’individuazione del momento meno inadatto per fare ogni cosa.

Francesco Varanini, Nuove parole del manager – 113 voci per capire l’azienda, Guerini e Associati, Milano 2011, pagine 223-224

Oltre due anni fa scrivevamo un articolo nel quale emergeva il forte nesso tra kairós e vino naturale: «Il vino è elemento vivente, quindi cangiante e irripetibile. Proprio pensando alla trasformazione, mi viene in mente l’immagine di due elementi che interagiscono: il tempo al di fuori del contenitore e il tempo al suo interno. Conservazione, evoluzione, capacità e incapacità di affrontare questa duplice accezione di tempo sono uniti da cause, tempistiche, casualità e momenti che si appellano a ossidazione e contaminazioni dove tardi e presto diventano categorie relative».

Quadro Ch-K LD
Elisabetta Diamanti – Trasporto (Soffione), 2005, collezione privata
Incisione calcografica presente su Porthos 33-34


Durante la degustazione di vini naturali, vissuta presso la sede di Porthos venerdì 6 giugno, abbiamo scelto otto campioni nei quali è emerso il significato del tempo incontrollabile, imprevedibile e che ha lavorato sulla rievocazione e la memoria, l’elemento-base del tempo propizio.

Terrano 2004 Skerk (Località Prepotto – Duino Aurisina)
Speziato ed essenziale, l’idea che consegna è di leggerezza; si esprime colpendoci come farebbe un fiorettista, pungente e intenso. La corrispondenza gusto olfattiva è dominata dal richiamo al mirtillo. In bocca sa di terra profonda, etereo e sanguigno di ferro: affilato e nervoso, si espande mantenendosi, anche nel finale, unito e sottile.

Baccabianca (cortese) 2004 Tenuta Grillo (Gamalero)
Cera d’api, percoca; luminoso, rievoca uno spiccato senso di concretezza. All’inizio la sensazione è di un vino serrato, compatto. Nel bicchiere riesce ad acquisire un profilo graffiante e nello stesso tempo generoso. Tannino saldo; dopo una prima impressione caotica sulla lingua, dà l’idea di disponibilità con una convincente unione delle parti. Peculiare il finale affumicato.

Grillo 2004 Barraco (Contrada Fontanelle – Marsala)
L’odore del tartufo di mare è evocativo; accanto ai toni più radicali sono chiari i sentori di gelsomino e di fiori d’arancio. Il vino ha una personalità spiccata e una ricchezza matura. Il profilo ampio del profumo gli permette di essere cangiante e sfaccettato. In bocca ritorna il ricordo marino unito alla solarità del miele, il chiaro timbro ossidativo rende originali le sensazioni finali e rafforza il senso nobile del calore mediterraneo.

Montepulciano d’Abruzzo Riserva 1997 Praesidium (Prezza)
Inizio di radici e cuoio. Non è accalorato, distribuisce la sua portata con misura, pazienza, sebbene la volatile vivifichi il connubio terroso-stagionato. In bocca la freschezza gioca un ruolo cardine; è carnoso, verace e di grande continuità. Il tannino è masticabile, non proprio fine ma ben assestato all’interno del corpo. Finale carezzevole e comunque severo di grafite, caffè e torba.

Vigna I Botri Riserva (sangiovese 75%, prugnolo gentile 10%, alicante 10%, ciliegiolo 5%) 1997 I Botri di Ghiaccioforte (Scansano)
Carne arrostita, cacao, funghi, tabacco. Ha un respiro selvatico, rabbioso. Grandi vitalità e salinità in bocca, dove si fonde un tannino inespugnabile, poi il calore, in ogni passaggio gustativo sempre coerente e integrato. Il finale lascia un complesso (e unicum) di partecipe compiutezza.

Sassella Riserva Rocce Rosse (chiavennasca) 1996 AR.PE.PE. (Sondrio)
Silenzioso, la percezione è di delicatezza e severità, spettro olfattivo contenuto e finissimo. Arioso, di bosco e carne fresca. In bocca il tannino comincia toccando sottile, poi progredisce lasciando una scia di polvere di roccia. Si sente il corpo slanciato, definito e di avvolgenza siderale. Conta tutto su una fisionomia resistente e suggestiva, intenerita dai – quasi – vent’anni di vita.

Chardonnay 1994 Valter Mlecnik (Bukovica)
Inizio confortevole, il vino non ha sbavature, può contare su un’inflessibile freschezza. Il sentore di pera matura e il leggero grasso del miele di acacia chiudono un quadro ristretto. La cadenza puntuale e la poca capacità di trasformarsi sono i veri punti scoperti. In bocca ha un’acidità dritta e perentoria, con una compattezza che riduce drasticamente l’idea del suo tempo. L’interpretazione di questo vino da parte di Valter Mlecnik è, oggi, molto cambiata: uso virtuoso della macerazione sulle bucce, rinuncia alle riduzioni che impediscono al vino di vivere, una libertà di espressione che qualifica anche il futuro del suo Chardonnay.

Coteaux Du Layon Les Noëls de Montbenault (chenin blanc) 2000 Richard Leroy (Rablay-sur-Layon)
L’ampiezza olfattiva è emozionante per portata ed evocazione: più severi i tratti dei vegetali secchi, nocciola tostata e gusci marini, rasserenati da quelli floreali e di pesca rossa matura. Il rapporto con l’ossigeno lo rende dinamico, reattivo. L’attacco salmastro rimane fino alla deglutizione, quando riemerge l’eco di morbidezza e speziatura. L’aspetto sorprendente è la tensione tattile, insieme tenera e decisa con un alcol, più che contenuto, ben integrato.