Concorsi, premi, giurie… un decreto ci salverà. O no?

C’è uno spettro che si aggira tra gli organizzatori di fiere e kermesse vinose. Una sorta di incubo che rende inquiete le notti di chi avesse la malaugurata idea di affiancarle a un classico corollario del caso: un concorso con premi annessi.

Un Decreto Ministeriale sancisce, infatti, che: “tenuto conto dell’esito positivo della consultazione della filiera vitivinicola e delle Regioni e Province autonome”, dal 16 dicembre 2010 i concorsi enologici sono disciplinati: “…in applicazione dell’articolo 21, comma 3, del decreto legislativo 8 aprile 2010, n° 61”. Firma: Giancarlo Galan, ex Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

In pratica, chiunque volesse organizzare un concorso enologico che rilasci “distinzioni”, deve essere autorizzato a farlo dal Ministero che lo investirà dell’agognata nomina a “Organismo ufficialmente organizzato”. Cosa sono le distinzioni? È presto detto: “Qualsiasi riconoscimento (medaglia, diploma, premio, trofeo, menzione in etichetta, bollino, ecc.) attribuito ad una partita di vino che abbia partecipato con esito positivo ad un concorso enologico autorizzato ai sensi del presente decreto”. Inoltre, regolamenti, prelievo dei campioni, membri della giuria, anonimizzazione dei vini, controllo dei punteggi – insomma, tutte le operazioni che ruotano intorno all’organizzazione di quello che siamo soliti chiamare concorso enologico – dovranno, d’ora in poi, seguire delle linee direttive. Non sono molte, ma neanche pochissime, e potete leggerle direttamente sul Decreto ministeriale.

Scorrendo gli articoli che compongono il Decreto, l’ansia da burocratizzazione spinta sale a ogni comma. Se alcune parti sembrano ricalcare quello che già avviene in molti concorsi internazionali (si veda il Concorso Mondiale di Bruxelles) e nazionali (Emozioni dal Mondo di Bergamo piuttosto che le Giornate del Riesling a Naturno), altre paiono appositamente studiate per scoraggiare chiunque avesse la nefasta idea di andare a infoltire il già abbondante numero di consessi di questo genere. Per esempio, l’ente che vuole organizzare un concorso enologico, anzi, l’“Organismo Ufficialmente Autorizzato”, deve “almeno 4 mesi prima dell’inizio del concorso” richiedere autorizzazione al Ministero, allegando una dettagliata documentazione: atto costitutivo, regolamento, nonché copia o esemplare della distinzione che intende assegnare. Poi, una volta ottenuta l’autorizzazione, bisogna far sapere al mondo chi sei e cosa farai. Sicché, due mesi prima dell’inizio del concorso, è necessario comunicare al Ministero “l’avvenuta pubblicazione per estratto del regolamento del concorso su almeno due quotidiani o riviste specializzate nel settore enologico a larga diffusione, a livello nazionale od a livello regionale”. E mica è finita: è necessario pubblicare i nomi dei membri del comitato organizzatore, il luogo e la data della manifestazione e delle operazioni di selezione, il nome del notaio o di altro pubblico ufficiale incaricato all’anonimizzazione, il nome del responsabile della segreteria e della tenuta della documentazione contabile e il nome del presidente delle commissioni di degustazione responsabile della parte tecnica del concorso.

Perché tutto questo?
È un tentativo di porre ordine all’interno del confusionario mondo dei concorsi, ponendo regole, uguali per tutti? O un deterrente per chi volesse organizzarne di nuovi e per chi, già organizzatore, sarà costretto a gettare la spugna di fronte al tariffario di un notaio specializzato in anonimizzazione di bottiglie di vino?
La risposta giusta arriva, forse, dopo aver letto l’articolo 6 del Decreto: le commissioni devono essere composte “…in maggioranza da tecnici degustatori aventi i seguenti titoli di studio e requisiti: a) diploma di perito agrario specializzato in viticoltura ed enologia od enotecnico (corso sessennale); b) titolo di enologo ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 129; c) titoli equipollenti conseguiti nell’Unione europea o all’estero”.
Per il Ministero, quella degli enologi e degli enotecnici – riuniti in un’Associazione professionale – è la categoria che hanno maggior titolo a esprimere un giudizio, a tradurlo in punteggio e, nel caso specifico, in relativo premio. Qualcuno potrebbe non trovarci nulla di strano, sostenendo che la diagnosi di una malattia è preferibile farla fare da un medico, laureato e specializzato e non da un semplice, magari eruditissimo, appassionato di Medicina e Farmacologia, alias giornalista-degustatore.
Ma da un concorso che premia i migliori riesling o pinot nero, ci si aspetta che vincano vini solo ed esclusivamente senza difetti e formalmente corretti? Evidentemente no! Sicché, il sospetto che il Decreto sia stato scritto non tanto per porre un limite e un ordine all’anarchico universo dei concorsi enoici, ma, soprattutto, per tutelare gli interessi di una certa casta è duro da scalzare…

 
Post scriptum

E le guide? Vengono raccolti dei campioni, un gruppo o più gruppi di persone li degustano alla cieca, stilano dei punteggi e infine rilasciano degli attestati che solitamente vengono appesi nelle sale delle cantine o negli uffici delle aziende che li ricevono. Il loro lavoro è molto simile a quello di un concorso enologico: dovranno adeguarsi alle regole del Decreto?