Con Giovanna Morganti, riflessioni sulla viticoltura presente e futura

E’ il 29 Luglio, sono da poco passate le 17:30, con Giovanna Morganti abbiamo appena finito la nostra conversazione col pubblico nell’ambito dell’evento intitolato alla viticoltura eroica e tenutosi a Villa Campia, presso il comune di Revò, media Val di Non.
È un sabato pomeriggio di montagna, dopo la sottile e viva luce del mattino è arrivata l’acqua.
Fausto Bassoli, l’organizzatore, mi guarda tra il sorpreso e il commosso, non si aspettava il livello d’intensità del sentimento che si respira nella sala.
Si coglie una sensazione sospesa, dobbiamo dare spazio alla successiva conferenza, ma chi è seduto non si alza, vorrebbe continuare a fare domande alla proprietaria del Podere Le Boncie per saperne di più su come il sogno di essere contadina si è realizzato attraverso la scelta di essere nella Natura, la decisione di agire per sentirsi parte di un insieme vivente.

Ci sono giornate in cui il suo vino, Le Trame, mi parla con la sua voce di quel sabato pomeriggio.
Lei si definisce stanca e poco lucida, invece il tono appena trascinato, mai sopra le righe, presente, e il ritmo col quale esprime i suoi pensieri hanno il potere di andare nel profondo e consegnarci l’essenza del suo vivere l’oggi.
Grazie alla memoria dei numeri della rivista in cui sono raccolti e stampati i numerosi suoi interventi, Giovanna ha la forza di riflettere su come si sono trasformati alcuni sentimenti, su come percepisce le urgenze alle quali dovrebbe guardare la comunità del vino naturale, a cominciare dalle aziende, le prime, al tempo quasi incoscienti e coraggiose, come quelle dell’ultima generazione.
«Nessuno si senta escluso, però» sembra dire a un certo punto, mentre si gira e mi guarda… gli occhi sono limpidissimi.

La sua preoccupazione è duplice.
Da un lato percepisce l’incapacità di recuperare la fondamentale umiltà degli inizi, quando il travaso di esperienze tra coloro che per primi sperimentarono l’approccio naturale e il loro desiderio d’imparare erano superiori a qualsiasi ambizione di successo personale. L’esito dei successivi vent’anni non è difficile da intuire: l’eccesso di sicurezza, la tentazione di un criterio superficiale e un pizzico di arroganza sono diventati un “patrimonio” intragenerazionale.
Ciò già basterebbe a rappresentare un significativo richiamo, senonché la produttrice del Chianti Classico mette sul tavolo la vera questione: il rischio di ripetere un errore madornale, semplificare la lettura e l’azione. Cattivi consigli arrivano dalla fretta di avere risposte, dalla mancanza di coraggio nell’affrontare periodi difficili, dall’egoico non comprendere quando è necessario rinunciare a ciò che si è ottenuto, fare più di un passo indietro e ricominciare a scalare.

Mi viene in mente il periodo in cui un approccio tecnico e tecnologico, sostenuto da una ricerca scientifica non ancora del tutto controllata dall’establishment industriale e finanziario, aveva rimesso in carreggiata sentimenti e competenze di molti produttori italiani, ma poi in un breve torno di tempo le premesse e gli ideali si erano scontrati con il cannibalismo capitalistico che non fa prigionieri.

Ora, il timore della signora Morganti è di vedere sacrificata la faticosa ricerca di una complessità che tiene tutto insieme, e che tanta soddisfazione ha fornito alla comunità del vino naturale, il sentire di un contatto pieno con l’origine della vita e con le sue diverse metamorfosi.
Lei paventa il rischio che, in nome dell’urgenza di superare le varie crisi che si succedono, si smetta di indagare la relazione tra le parti, non si prendano più in esame i legami che, più o meno immediati e percettibili ai nostri sensi, sono chiarissimi quando vogliamo davvero affrontare l’energia, la fisica, la chimica e lo spirito che ci circondano e si compenetrano in noi.

Giovanna esprime una preghiera, noi le dedichiamo un frammento di Friedrich Schiller da “Lettere sull’educazione estetica”, l’edizione del 1927 pubblicata dall’editore fiorentino Sansoni. Il brano è nella traduzione di Rosa Heller Heinzelmann, l’introduzione e le note del libro sono curate dal pedagogo Giovanni Calò.

«Si dice anima bella, quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell’uomo, al punto da poter lasciare senza timore all’affetto la guida della volontà e da non correre mai il pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso.
L’anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonare il mondo sensibile come avviene nella conoscenza della verità… per mezzo della bellezza… l’uomo spirituale è restituito al mondo dei sensi».

 

Un grazie speciale va a Fausto Bassoli e al Comune di Revò, in particolare al Sindaco e agli Assessori che hanno permesso lo svolgimento di un evento così significativo.