Il diario di Federica da Sonoma

Seconda puntata
Quando ho detto a Joe «abbiamo finito di potare», mi ha risposto che era molto triste. Io, felicissima, invece ho pensato alla bottiglia di Champagne che avrei aperto per festeggiare.
Ora si vedono bene le fallanze nella vigna, più numerose nella parte collinare, e i tanti alberi di quercia cresciuti vicino alle viti senza mai sopraffarle.
I tagli scoprono i fastidi di alcune piante. Sono viti vecchie, inevitabili le malattie.
Già tralci sottili e internodi ravvicinati sono sintomi di un disagio esistente che non sottrae alle vecchie signore la loro naturale bellezza. All’inizio dell’anno non avrei mai creduto di finire il lavoro. Quando ho imparato a potare le viti ad alberello, la grande leggerezza australiana mi ha insegnato di non concentrarsi troppo sulla pianta, ma piuttosto su se stessi. Di tagliare i tralci qui e là e, quando terminano quelli di una pianta, di passare alla successiva.
Gli errori si correggeranno l’anno successivo. Così, la settimana scorsa, tutte le viti della vigna erano potate… Chissà con quanti errori. Il tempo, fin troppo benevolo nei fine settimana, ha facilitato il lavoro di campagna. La tendenza è stata quella di lasciare due gemme per sperone e un numero variabile di speroni basato sulla forza della singola.
Le viti si sono autoregolate nel tempo e alcune continuano a dare tanto.
Aver potato quasi tutte le piante, mi ha permesso di osservarle meglio.
A me sembrano essere più o meno raggruppate per forma e vigoria, non sempre per varietà. Sono sparpagliate disordinatamente nella parte più inclinata dell’appezzamento e il terreno qui è più sassoso rispetto la parte pianeggiante.
Le piante di mimosa del vicino profumano tutto il vigneto e quelle velenose (poison oak) – argh! – si risvegliano.

Speriamo che piova.