vigneto San Vito

Il diario di Francesco Ferreri

Terza puntata

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un nuovo contributo di Francesco Ferreri da Pantelleria.
Alla fine, sollecitati dai suoi racconti, abbiamo aggiunto un riferimento letterario, già presente anche su Porthos 20 in coincidenza con la monografia dedicata al Barbaresco. Viene dal capolavoro di Edgar Lee Masters “Spoon River Anthology”, la traduzione è di Beppe Fenoglio ed è presente nel volume “Quaderni di Traduzioni” a cura di Mark Pietralunga, Edizioni Einaudi, 2000.

vigneto San Vito


«Mio fratello Angelo, appena finito il militare, tornò sull’isola e decise che voleva allevare la vite. Prendeva tutti i terreni che riusciva a vedere con gli occhi. E a me toccava zapparli: centouno giorni di lavoro».
Salvatore stava in silenzio, quelle storie le aveva vissute in prima persona, ma erano altri tempi. Poi sospirò e disse: «Che coraggio si ha quando si è giovani».
Ogni volta che lavoro su un vigneto di ottant’anni mi chiedo chi lo ha curato prima di me, chi lo ha mantenuto. Mantenere, un verbo che ho imparato a usare dopo aver conosciuto Nicoletta e la Sardegna, dove usano questa parola in maniera impeccabile: tenere con la mano, tenere una cosa in modo che duri a lungo, in modo che rimanga in essere, in efficienza.
Prima di me, un contadino si è svegliato tutte le mattine per compiere gli stessi gesti: arare, potare, zappare la conca, pizzicare le viti (svettatura), spidocchiarle (spollonatura), bestemmiando quando il vento portava via i germogli ed emozionandosi nel vedere un buon raccolto portato a casa.

pizzicatura

Ci saranno stati anche per lui momenti di delusione, di rassegnazione. Giorni che sembravano non finire mai e giorni, invece, che volavano via. Mal di schiena e dolori alle gambe, notti in cui si rigirava nel letto perché sentiva la pioggia cadere e pensava che la peronospora e l’oidio erano lì, pronti a infettare. Momenti di allegria condivisi con un amico che, passato per farti compagnia qualche ora, si fermava poi tutta la giornata.
C’è stata l’intenzione di portare avanti il vigneto, anche quando gli altri remavano contro dicendo che i capperi erano più redditizi, che al posto di quelle viti avrebbe potuto costruire una casa da affittare ai turisti. E mi piace pensare che non l’abbia fatto solo per i soldi, ma per quell’amore profondo che ti lega a un luogo, a un vigneto, a ogni singola pianta da cui vorresti allontanarti ma che alla fine ti porta sempre a sé.
E quel vigneto lo ha sognato come ancora non era. Come oggi faccio io dopo quasi un secolo, nello stesso posto e con le stesse viti.

La conversazione iniziale si svolge a casa di Battista, un mio lontano parente. Lui è un tuttofare, principalmente lavora nei campi, a jurnata, ma la sua vera passione è fare il carrozziere. Un pomeriggio sono passato a trovarlo perché saremmo dovuti andare insieme a vedere un terreno che da quest’anno prenderò in affitto. E dentro il suo garage ho trovato Salvatore Ferrandes che aveva portato lì il furgoncino per rifare la carrozzeria. La frase in cui si parla delle centouno giornate di zappatura è di Battista e cita sua fratello Angelo, detto Mastrangelo o Angioluzzo, che tornava da militare. La frase successiva è di Ferrandes che sospira ripensando alla sua giovinezza…

spidocchiatura

Caro Sandro,
è di questi giorni la notizia che il Consorzio di Tutela e Valorizzazione dei Vini di Pantelleria vuole modificare il nostro disciplinare di produzione aggiungendo alla denominazione Pantelleria DOC anche l’uso della menzione Sicilia. Una scelta facoltativa, non un obbligo, «Per affrontare meglio la sfida del mercato globale, nel quale il marchio Sicilia ha un forte appeal».
L’impronta che l’ambiente conferisce alle caratteristiche produttive e qualitative di un vitigno rappresenta uno dei fattori fondamentali che ha portato al concetto di Denominazione di Origine. All’interno di un’isola come Pantelleria, che può sembrare omogenea dal punto di vista climatico, le condizioni orografiche e pedologiche influenzano così tanto il mesoclima (e quindi le caratteristiche organolettiche dei vini prodotti) da poter individuare diverse zone che i francesi chiamerebbero cru. Se poi ci si affida all’esperienza dei viticoltori locali, si possono addirittura individuare anche precise particelle (climat) nelle quali la qualità dei vini eccelle.
Lo stesso abitante dell’isola, che ama definirsi pantesco e non siciliano, che fa? Si dispera alla notizia, ma poi si rassegna, allo stesso modo in cui lo fa quando non arriva la nave per giorni, timoroso a esprimere un disaccordo per paura di non vendere l’uva in gran parte acquistata dalle grandi aziende siciliane.
È anche vero che la nostra viticoltura è in crisi, con una tradizione diventata zavorra che ci àncora a un passato glorioso e ingombrante. In tutti i discorsi si tira in ballo la cooperativa fallita, l’uva fresca e l’uva passa esportata in tutto il mondo negli anni settanta, la pratica della coltivazione ad alberello pantesco diventata patrimonio Unesco e così si rimane bloccati in un momento da cui è difficile uscire, come canterebbero gli U2.
Mentre perdiamo ogni spirito di osservazione, andando nel terreno solo il fine settimana e sempre di fretta, abbandoniamo i vigneti storici perché, anche se altamente vocati, sono poco produttivi e quindi poco remunerativi. E per comodità di pensiero, lasciamo che venga creato un unico pacchetto sotto il nome Sicilia, perché è troppo faticoso spiegare un territorio unico, persino più che zappare la terra.

Alexander Throckmorton

In youth my wings were strong and tireless,
But I did not know the mountains.
In age I knew the mountains
But my weary wings could not follow my vision –
Genius is wisdom and youth.

In gioventù ebbi ali forti e instancabili,
Ma non conoscevo le montagne.
In età conobbi le montagne
Ma le ali non poterono seguire la mia visione –
Il genio è gioventù e saggezza.

salta la vecchia