Miniatura di inizio anno, 2023.

di Sandro Sangiorgi, con la collaborazione di Simona Abate

(l’audio lettura dell’articolo è disponibile qui, la voce è di Sandro Sangiorgi)

 

 

La consueta miniatura, scritta tra la fine dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo, vuole destinare un segno di gratitudine alle persone che hanno frequentato le attività porthosiane, a coloro che hanno acquistato i volumi della casa editrice e a chi segue il sito e i canali social, come la partecipazione alle dirette Instagram che notevole soddisfazione hanno riservato. Poi ci sono gli uomini e le donne che sono passate da qui: a loro il merito di parlare di Porthos e indirizzare altri verso quello che facciamo, a Roma e nel resto d’Italia. A questo proposito, merita un grazie di cuore sia chi ha realizzato insieme a noi serate e corsi sia chi ha collaborato e continua a credere nella nostra “specialità”. Inoltre ci sono le Ragazze e i Ragazzi che lavorano a via Laura Mantegazza 60-62, il loro senso del partecipare è stato ed è encomiabile: basta osservare i cambiamenti avvenuti nelle estati 2021 e, soprattutto, 2022 che hanno ulteriormente qualificato la nostra sede e ciò che offriamo.

Infine, un segno d’amore va alle persone che mi sono vicine al di là di ogni umana immaginazione.

  

Dopo la miniatura, troverete una poesia dedicata a coloro che si sentono dentro questo elenco, strumento efficace per quanto schematico.

Ora vi lascio al testo principale, l’incipit del pezzo ne è anche il titolo.

«Si cura con ciò che si è e non con ciò che si sa». Lo disse e scrisse Henry Ey, psichiatra e psicanalista, celebre per un Manuale sul quale hanno studiato numerosi suoi futuri colleghi in Europa e in Giappone. Il frammento dello scienziato francese, nato a Banyuls-dels-Aspres nel 1900 e morto nella stessa cittadina dell’Occitania nel 1977, mi è stato “donato” da Giovanni Sallemi, collega di un nostro amico neurologo, il professor Giuseppe Neri, sostenitore di Porthos e frequente relatore di approfondimenti che riguardano i sensi e il funzionamento del cervello. È così nata una nuova amicizia a tre.

«Si cura con ciò che si è e non con ciò che si sa», la frase risuona ogni giorno nella mia testa da quando l’ho sentita pronunciare, nel gennaio 2020. Mi è sembrato naturale, quasi ovvio, applicarla subito a molte attività umane, in particolare quelle che prevedono un costante rapporto con gli altri e che contengono più di un elemento creativo, come la divulgazione, mia principale attività nel progetto “Porthos racconta”. Poi mi è venuta in mente una frase dell’allievo Nicola Perullo, oggi professore a Pollenzo, il quale alcuni anni fa mi disse che, mentre s’insegna, «conta sì ciò che si dice ma ancora di più come lo si fa». Non si tratta di una banale seppur efficace abilità affabulatoria, è invece la “sincerità” dello slancio emotivo trasfusa nel linguaggio verbale e del corpo. Prima di collegare lo scampolo di Ey all’ultimo anno di Porthos, e a quello che potrà diventare l’Associazione, vorrei illustrare che cosa ho osservato e come ho vissuto il contesto che si è manifestato poco dopo quel gennaio 2020, l’arrivo del covid e il relativo stravolgimento della vita di miliardi di persone. A mano a mano che ci si è inoltrati nel fenomeno, ho preso a percepire analogie col periodo successivo a due tra gli avvenimenti più dolorosi del 2001, il G8 di Genova e la caduta delle Torri Gemelle. Mi sono concentrato in particolare su due sentimenti ineludibili: il senso di paura, dal quale nascono emergenze che diventano normalità, e il sempre più diffuso pessimismo. Quest’ultimo determina una crisi e ne corrompe l’effetto proprio di molte culture, quello di “opportunità”, come il riprendere la marcia con un cuore nuovo, e lo trasforma in una sconfitta senza possibile rivincita. Questo è l’animo col quale si è lavorato qui a Porthos, almeno per due anni, dopo aver creduto di essere vicini e determinati a perseguire scelte di crescita individuale e di gruppo. La nostra vicenda è una delle migliaia raccontate, lette e ascoltate in questo torno di tempo. Un tempo di precarietà e disperazione. Più di qualcuno ha fatto notare che i problemi c’erano ben prima della pandemia, e chi può negarlo. Allo stesso modo, soprattutto durante il secondo lockdown, ci siamo fatti dare una tale mazzata da convincerci che il solo pensare, riflettere, fosse sbagliato, inutile e pericoloso. Neanche aggiungo l’avverbio “diversamente”, perché si è tentato, e molto spesso si è riusciti, a incidere alla radice il contatto tra la persona e il flusso del ragionamento, un fatto che riguarda tanto il singolo quanto la comunità.

Ebbene, chi in questi anni si è rivolto alle persone per trasmettere conoscenze ed esperienze, con tutto il possibile amor proprio, ha portato come dote «ciò che si è e non ciò che si sa». Qui, nel quartiere Monteverde, a due passi dall’ospedale San Camillo, e in diverse località italiane che hanno ospitato i nostri corsi, i seminari e gli incontri a tema, l’attività di divulgazione si è trasformata ulteriormente. Quindi non è più solo lo scegliere temi che ci aiutino a imparare, da sempre la nostra stella polare, anche perché, pur avendo una cantina densa di risorse e nutrita da anni di ricerca, non siamo bravi a proporre e a sfruttare eventi con titoli da cassetta a nostro esclusivo beneficio. Preferiamo incoraggiare le allieve e gli allievi a connettere il pensiero e l’emozione, il sentire corporeo con la memoria, l’istinto che da epidermico si fa esplorazione profonda di «ciò che abbiamo attraversato», come dice Barthes. Tutto questo può accadere in special modo quando il sentimento che rimane dopo aver assistito a una lezione non è rassicurante, oppure quando le proprie convinzioni e aspettative sono messe in seria discussione.

Le persone che hanno frequentato l’attività porthosiana dall’autunno del 2021 e per tutto il 2022 sono state coinvolte in una narrazione che si è progressivamente ampliata. È stata una necessità impellente: ogni volta che ne ho avuta l’occasione ho cercato di rievocare e descrivere il contesto all’interno del quale muoverci e comprendere situazioni, sensazioni e avvenimenti, dai “macro” a quelli dall’apparenza insignificante.

Generalizzare è nemico del vino. Nello specifico che ci riguarda non funziona col significato della sua bellezza, con il suo ruolo nella storia, per non parlare della sensorialità che lo accoglie intero e indivisibile.

Il vino è metafora della vita, tendiamo a rifletterci in lui, descrivendolo secondo fisionomie e personalità antropomorfiche, tuttavia non sempre ne comprendiamo il messaggio. Mentre lui c’insegna a pensare, a conoscerci meglio e a tracciare confini credibili, in molti lo beviamo per dimenticare chi siamo e cosa stiamo vivendo.

My love is of birth as rare
As ‘tis for objects strange and high:
It was begotten by despair
Upon Impossibility.

Magnanimous despair alone
Could show me so divine a thing,
Where feeble Hope could ne’er have flown
But vainly flapt its Tinsel Wing.

Andrew Marvell (1621-1678)
The Definition of Love – Magnanimous Despair
 from Miscellaneous Poems

Il mio amore è di nascita così rara
com’è quella per un oggetto nobile e strano:
nasce dalla disperazione che scaturisce dall’impossibile.

Soltanto la magnanima Disperazione
poteva svelarmi una cosa così divina
mentre la debole Speranza
non avrebbe mai potuto levarsi in volo
ma solo vanamente agitare Ali di Latta.

                                      Traduzione della professoressa Ada Donati

 

Le foto sono di Maria Lavinia Sangiorgi scattate nel pomeriggio del 31 dicembre 2022 presso il lago di Bracciano, sulla sponda di Anguillara Sabazia (che si vede un paio di volte, bellissima, sullo sfondo). Abbiamo scelto questa serie, che Annamaria ha definito “silenziosa”, per sottolineare la mitezza di questo inverno, quanto mai anomalo, e per la luce che vorremmo si proiettasse nel 2023.

Eccolo, il nostro augurio.