Miniatura di inizio anno

di Sandro Sangiorgi

Voglio augurare una serenità speciale alla comunità che ci segue e ci sostiene. La vostra presenza è stata preziosa, ben al di là delle apparenze. Sappiamo che non tutte le persone percepiscono l’arrivo del nuovo anno come un cambiamento particolare, per questo vi prego di accogliere il nostro auspicio per tutti i giorni, dal primo fino all’ultimo. 

L’anno appena trascorso è stato il più faticoso della storia di Porthos, ciò che mi sento di desiderare per noi è di restare vicini, così da fare tesoro delle esperienze vissute. Complice la situazione generale, abbiamo trascorso mesi delicati e ci vorrà un po’ per farci tornare in linea di galleggiamento. Ciononostante il 2021 ha portato delle soddisfazioni indimenticabili, dal lato lavorativo e da quello umano. Sono diverse le persone che ci tengo a ringraziare. Non riesco a nominarle tutte, ma possono essere ben rappresentate da Roberto Lo Pinto, che si è incaricato di gestire un impegnativo passaggio di consegne, e da Monica Dal Cin e Nicola Storti che hanno contribuito alla pubblicazione dei nuovi Porthos 35 e Porthos 36. Intanto si sta formando una nuova squadra, con la quale abbiamo elaborato un programma per l’inizio del 2022 che coinvolge il piano editoriale e la didattica qui a Roma, dove rimarrò la gran parte del tempo.

E poi c’è il vino buono…Non dimentichiamo il nostro grande privilegio, occuparcene in modo indipendente, continuare a pensare alla sua unità e all’uso nella tavola. È incredibile quanto s’impara frequentando le persone innamorate del vino – produttori, venditori, “semplici” enofili – e non è solo retorico sottolineare che nello scambio apprendiamo sempre di più di quanto trasmettiamo. Poi lui, il vino buono, è una ricompensa, con la sua luminosa sostanza, l’abilità di evocare e sorprendere, il senso di benessere che dona. Quest’ultimo punto merita qualche parola in più. Ciò che rimane in eredità, nell’indivisibile unione di corpo e spirito, è una sensazione unica, sempre originale ma, nello stesso tempo, capace di contenere tutti i vini buoni assaggiati e bevuti. È come se l’ultimo arrivato, nell’eredità di benessere che lascia, ritrovasse e richiamasse i fratelli passati prima di lui. È una comunità di memoria e sentimento.

Non ci siamo stancati di sottolineare che un vino buono può venire solo da un produttore naturale, sebbene sia sempre più chiaro ai nostri sensi che non tutti i vini naturali sono buoni; anzi, verrebbe da dire che quelli riusciti sono una minoranza. Ma il tempo per imparare c’è. Imparare a conoscere il proprio luogo e le sue premesse, imparare a guidare un processo dal potenziale di vita straordinario, a tratti incontenibile, e per questo meritevole di un’attenzione non improvvisata. E poi non basta che imparino solo i produttori, tutti coloro che si occupano e si giovano del fenomeno dei vini naturali hanno il dovere di mettersi in discussione e di apprendere senza aspettare che il liquido odoroso faccia tutto – una presunzione non realistica, non accettabile. Anche questo ci auguriamo per il nuovo anno e per quelli a venire.

illustrazione di Marcello Spada

Ps Vi lascio con un brano di Antonio Prete tratto dal libro “Prosodia della Natura” edito da Feltrinelli nel 1993, dedicato alla famiglia di Lucio Canestrari.

 

Il cammino verso la parola “naturale”, per Leopardi, deve avere come guida «l’uso e la familiarità degli antichi»: poiché soltanto presso gli antichi l’imitazione della natura vivente comportava una poesia che nello stesso tempo era «materiale e fantastica e corporale».

L’imitazione, così intesa, non sostituisce la natura e neppure è suo specchio. Nella tristezza di un declino, nel lutto di un nascondimento e di una privazione, essa si fa alchimia: trasmutare il corpo vivente della natura nella lingua vivente è il suo compito. La mimesis come percorso d’amore: per un ritrovamento, per una reinvenzione. È la premessa per la futura definizione del poeta come non imitatore della natura, ma di se stesso.