Miniature di Gennaio 2007

Gli italiani e il mercato
Il vino italiano sta recuperando terreno in diversi mercati, nonostante la fase ancora incerta, la lentezza di un protagonista per noi fondamentale come la Germania –– ma tornare ai livelli drogati di qualche anno fa è impensabile –– e le persistenti difficoltà di altri colossi del vino. È il segno di una brillante capacità di vendita che si manifesta nei momenti meno prevedibili. Gli italiani sono celebri per lo spiccato individualismo da cui consegue una radicata difficoltà organizzativa, nella promozione come nella parte propriamente commerciale. Il caso vuole che il mercato del vino, dominato dalla straordinaria capacità corporativa francese, abbia accolto una modalità diversa, più personale, soprattutto quando si tratta di vendere bottiglie di un certo pregio. L’’azione di alcuni produttori che hanno costruito il loro mercato visitando di persona il cliente finale, la successiva fiducia data ai loro venditori distribuiti nelle varie nazioni sulla promessa di proseguire con un vero customer care, sono gli aspetti centrali di quello che può essere considerato un vero successo. Per questo le persone che si occuperanno di promuovere, e vendere, il vino italiano all’’estero non possono semplicemente emulare i francesi o gli spagnoli, modelli di unità commerciale, ma devono prendere in considerazione le nostre peculiarità, non tradire la nostra indole e farne invece un mezzo efficace e vincente.

L’’elenco del telefono
Nell’estate del 1987 iniziò l’’avventura della Guida ai vini d’’Italia. Cernilli mi disse di usare un volume a cura di Stefano Milioni e del suo studio di marketing, uscito qualche mese prima, per prendere contatti con i produttori e fissare gli appuntamenti per le visite. Si trattava di un librone che riportava le informazioni fondamentali su molte aziende italiane che, fino a quel momento, non erano presenti neanche nelle autorevoli guide di Veronelli. Naturalmente se qualche azienda voleva essere più visibile comprava lo spazio per l’’etichetta, ma le altre informazioni erano inserite gratuitamente. Stefano aveva un gran palato e un notevole senso didattico, inoltre era uomo di pubbliche relazioni oltre che giornalista, il suo volume non intendeva fare scuola ma offrire un sostegno al turista del vino che andava formandosi in quegli anni.
Quando alla fine dell’’88 presentammo la seconda edizione della Guida all’’Hilton di Roma, a Stefano fu chiesto di presentare la serata, chiamare i premiati e ricordare i collaboratori. Pochi minuti prima, passando a salutare mi disse: “Vedi, non c’è concorrenza tra il mio libro e la Guida che avete fatto, il mio è un elenco del telefono, solo più completo”. Questa frase mi è rimasta dentro. Qualche anno fa, poco prima che abbandonassi l’’universo Slow e di conseguenza anche la redazione della Guida, un lettore che partecipava a un corso mi disse che ormai andava comprata solo per i numeri di telefono. Ricordo che mi prese un colpo. Sarà per questo che qualche volta nelle schede di Porthos sbagliamo i dati delle aziende recensite.

Visioni
Non pensavo che la brevissima collaborazione alla versione italiana del film “Un’’ottima annata” provocasse così tanto interesse presso i numerosi amici e conoscenti che frequentano i corsi di “Porthos racconta…”. Attraverso gli sms ho scoperto che sono in tanti come me a non volersi alzare dalla poltrona del cinema finché non è passato l’’ultimo dei titoli di coda, adattamento e doppiaggio compresi. La gran parte dei commenti è stata positiva, molti hanno trovato il film ottimo, se non addirittura bellissimo. Il mio contributo è stato minimo, tra l’’altro arrivato a doppiaggio già registrato e incentrato su alcune incertezze che i responsabili della Medusa non avevano potuto risolvere con i consulenti iniziali. Il film non mi è piaciuto e se penso a Ridley Scott e ai suoi film degli anni ’70 e ’80 (I Duellanti, Alien, Blade Runner…) mi viene una gran malinconia. Non voglio imbarcarmi in una recensione, voglio solo dire che al di là di alcune belle immagini e dell’’uso imprevedibile della luce, la storia è piccolissima e pretestuosa. Per curiosità ho letto il racconto da cui è stato tratto il film e non c’’era una sostanza tale da poter consegnare un capolavoro cinematografico. Ma è irritante la superficialità con cui Scott tratta argomenti di cui è ignorante, gli esempi del Gladiatore e di Hannibal lo confermano. Eppure l’’inizio era stato confortante: la scena in cui lo zio, un Albert Finney più gigione che mai, versa il Bandol di Domaine Tempier (vedi Porthos 20) dosando per il nipote una parte di vino e due di acqua, ha una civiltà e una poesia che raramente si trovano nel vorticoso mondo delle immagini. Da lì è stata una sequela di luoghi comuni su un argomento verso il quale io provo un amore profondo, e allora penso: ci vorrebbe così poco per non banalizzare, per lasciare una traccia nella memoria, basterebbe educarsi, basterebbe amare. Oppure no?