Pensieri e Parole

Ci risiamo, appaiono altri sorprendenti editoriali sul Gambero Rosso e tristram ha qualcosa da dire. A modo suo.

Ancora la linguaccia tagliente di tristram che torna a farsi sentire. Potete dargli torto?

 Accadono cose strane, in questa fine estate.
Oppure no, è sempre la stessa storia, giudicate voi.
Il salto logico, il salto della quaglia, la capriola e la fuga in avanti, la quadratura del cerchio e la negazione del passato. Tutto in poche, ineffabili righe, vergate da Daniele Cernilli, principe degli editorialisti del vino e condirettore del crostaceo.
Il punto è che non riusciamo più a tenere il suo passo. Non facciamo in tempo a stupirci delle sue affermazioni, che lui ne infila altre, ancora più sorprendenti.
Dovremmo forse ringraziarlo, perché ci fornisce continuamente spunti di discussione, ma in realtà è l’indignazione a prevalere. Infatti, se ad una prima lettura di certe sue trovate può persino scappare da ridere, alla lunga fanno incazzare.
Avevamo appena archiviato la sua bizzarra idea di moratoria dei prezzi, che, come abbiamo dimostrato su Porthos 16, avrebbe semplicemente premiato i furbastri, e siamo daccapo.

Nell’editoriale dell’agosto scorso, infatti, il barbuto condirettore rivolge un appello a non si sa chi, invocando il ritorno dei vini cosiddetti di seconda fascia, quelli che dovrebbero costare, suppergiù, fra i 5 e i 6 euro a bottiglia.
Quello che davvero stupisce nell’articolo, il cui incipit ricorda un editoriale apparso a giugno sulla Revue, non è l’affastellarsi di analisi e valutazioni, ma il tono, a tratti surreale.
Sembra, infatti, il tono di chi, al ritorno da un viaggio nello spazio siderale, sia legittimamente sorpreso di non ritrovare più il mondo come lo aveva lasciato. Il mondo è infido, lascia capire l’articolo: non ti puoi distrarre un attimo, che, zacchete! ti fanno sparire i vini medi, per sostituirteli con vinoni molto più costosi.
Viene spontaneo chiedersi dove fosse, quest’audace viaggiatore del pensiero, quando i premi andavano in una direzione precisa, che non era certo quella del vino da 5 o 6 euro a bottiglia.
Pare, insomma, più un articolo teso alla gestione del consenso, attraverso un riposizionamento strategico delle proprie posizioni, che un esame della realtà, quale ci si aspetterebbe da una penna di tale levatura.
L’impressione si fa certezza alla lettura dell’editoriale successivo, quello del numero di settembre, dove il nostro affronta il tema dei vini “estremi”; quelli, in sostanza, di ispirazione biodinamica, o comunque riconducibili ad un certo modo di fare vino, che i lettori di Porthos conoscono bene e non da oggi.
Questi vini, scrive il nostro, “solo una decina di anni or sono sarebbero stati aspramente criticati dai più”. Mentre adesso, con le dovute cautele, meritano attenzione. Soprattutto, precisa, “per il tentativo di reagire all’omologazione tecnica e, starei per dire mentale, che gli anni Novanta ci hanno proposto con sempre maggiore enfasi”.
Non pago di cotante affermazioni, arriva ad asserire che “non è possibile ritenere che la panacea per il vino di qualità sia ‘uso di vitigni internazionali + vinificazioni in stile bordolese + barriques che più nuove non si può'”.
Si finisce con una raccomandazione dal sapore manzoniano (Adelante, Pedro, con juicio) ed un peana della Ribolla di Gravner, che lui, fortunato, ha potuto bere in anteprima.
E’ chiaro a tutti che il problema vero, in questo caso, non è la scoperta tardiva di un fenomeno. Se il nostro, semplicemente, affermasse che ha scoperto un mondo per lui nuovo, non ci sarebbe nulla di male, al contrario. Fra i compiti del giornalista c’è anche l’esplorazione, la ricerca: qualcuno arriva prima, qualcuno dopo, ma l’importante è lo sforzo, la tensione. Niente di tutto questo.
L’accurata scelta delle parole e del punto di vista lasciano intendere ben altro, cioè quel riposizionamento strategico accennato prima: ci si chiama fuori da un processo storico preciso, da quegli anni Novanta che, improvvisamente, diventano figli di nessuno.
All’epoca, si faceva così. Anzi, i più facevano così. E dov’era il nostro? Su Saturno?
Il profeta della “comune grammatica enologica” non può cavarsela con un’acrobazia, o con un salto logico, come lo chiama lui.
Il condirettore della più famosa rivista di enogastronomia italiana non può tirarsi fuori dalla mischia così, atteggiandosi a semplice osservatore, come se chi fa la guida più importante d’Italia fosse un soggetto neutro.
A questo punto, non si tratta di scegliere fra i vini biodinamici e quelli tradizionali, ma fra la credibilità, il senso di responsabilità, la coerenza intellettuale, e le capriole dialettiche.

Continua su Porthos 18. Gli editoriali citati sono leggibili su www.gamberorosso.it