Pfalz, Mailand

Per tirarmi dentro, in questa gelida giornata milanese, c’è voluto il calore del Pfalz, la regione tedesca attraversata dalla Neustadt Weinstrasse, ai confini con l’Alsazia. In generale, Germania e calore non sono antinomici, al contrario.

Sono decine gli inviti cui, frastornato, neppure rispondo, ma stavolta è bastata una telefonata per farmi muovere da Genova a Milano, per giunta in una giornata fredda e piovosa.
L’ho detto e scritto più volte, il panorama di eventi del mondo enogastronomico è così ampio e vario da scoraggiare anche il presenzialista più accanito, ma a pensarci bene quest’abbondanza è un privilegio, che impone di scegliere con attenzione, selezionando solo quello che davvero interessa. Il mio amico Franco afferma che non si può leggere tutto, i libri sono troppi e la vita una sola. Lui si limita ai classici italiani del ’300, pochi testi sacri e qualche quotidiano, perlopiù sportivo. Io partecipo agli eventi che davvero mi smuovono qualcosa, oppure a quelli organizzati dagli amici, se posso. Le fiere sono per chi compra e chi vende, i giornalisti neppure dovrebbero farli entrare…

Il look minimalista e tecnoessenziale delle cucine Bulthaup mi ha sempre affascinato. Anni fa mi capitava di indugiare davanti alle vetrine di un concessionario genovese, che esponeva poche ma sceltissime ambientazioni. Materiali raffinati, linee austere, acciai di chirurgico nitore, laccature luccicanti.
E su quelle politissime superfici, non un soprammobile, solo qualche cestino per il pane, immancabilmente cromato e senza briciole. Non sono mai entrato a vedere da vicino, nemmeno a toccare una maniglia, tanto era il timore di turbare la splendida immobilità di quel tempio.
Per tirarmi dentro, in questa gelida giornata milanese, c’è voluto il calore del Pfalz, la regione tedesca attraversata dalla Neustadt Weinstrasse, ai confini con l’Alsazia. In generale, Germania e calore non sono antinomici, al contrario. Fra i luoghi comuni che affollano la nostra vita, molti riguardano i tedeschi. Pignoli e noiosi, talvolta tirchi, rumorosi e tracannatori di birra. Freddi, severi, e poi parlano quella lingua incomprensibile. Ma se si ha la fortuna e la pazienza di oltrepassare i luoghi comuni, se ne è ricompensati. E io fortunato lo sono, sotto molti aspetti.
Ad esempio, ho amici tedeschi, alcuni dei quali volteggiano fra le tecnomadie e i frigoriferi dello Spazio Bulthaup di Milano, le cui ampie vetrine esibiscono qualcosa di insolito. Infatti, appoggiate su un mensolone bianco brillante, una ventina di glacette trasparenti ospitano longilinee bottiglie dai nomi impronunciabili: sono i Großes Gewächs del VDP Pfalz, in attesa di essere degustati.

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Il Pfalz, o Palatinato, è la seconda regione vinicola della Germania, terra di produttori illustri e culla della Verein der Naturwein-Versteigerer der RheinPfalz, sorta nel 1908 per difendere il vino “naturale”, cioè senza l’aggiunta di zucchero. Dall’unione di questa con altre associazioni regionali, nel 1910 nasce la Verband Deutscher Naturweinversteigerer, che nel 2000 diventerà VDP Die Prädikatsweingüter, in breve VDP. L’intera associazione, ancora oggi articolata su basi regionali, conta circa 200 produttori (27 la VDP Pfalz) e si occupa soprattutto del posizionamento qualitativo e della promozione dei propri membri.
La definizione Großes Gewächs, adottata nel 2002, indica i vini secchi provenienti da vigneti selezionati nei secoli, una sorta di gran cru.

Detto questo, tutti dentro ad assaggiare. No, non tutti, qualcuno tenta d’imbucarsi, comprensibilmente attratto dalle batterie di bottiglie e dai vassoi di cibarie, ma ci pensa Pasquale, massiccio e gentilissimo cameriere, a disciplinare il traffico all’ingresso.
Finalmente entro, saluto gli amici e guardo in giro, sono circondato da Bulthaup su tre piani e riesling dappertutto, un’emozione. Nellma scelta della location, mi spiega Paola Tonello, anima dell’evento e dinamo del turismo madeinpfalz, c’è una parte di casualità, eppure il destino sa essere anche giusto, non solo cinico e baro. Perché è proprio nel misurarsi con la cucina che i vini del Pfalz, complessi e variegati, trovano il loro terreno d’elezione. E allora niente di meglio che provarli qui, in un teatro dove i mobili non sono più soltanto diorami di un sogno o voci di un listino ma una scenografia partecipe, animata da profumi e piattini, bicchieri, bottiglie e sputacchiere. Ci sono persino le briciole…
Dopo una mezz’ora di chiacchiere e assaggi, mi rendo conto che lo chef ha avuto il suo daffare. Difficile sintonizzarsi con tutti i vini, troppi e troppo diversi. Una via sarebbe stata scegliere vivande poco elaborate, dove il tocco personale si pone in secondo piano e lascia affiorare la forza espressiva delle materie, senza mediazioni. L’altra era tentare la sorte con preparazioni delicate, che non sbarrassero la strada alle molteplici sfumature dei vini ed è quello che ha fatto Danilo Dolce, proponendo assaggini di mozzarella, pomodoro e basilico, canditi, cioccolato, zucca e castagne, pinguini di foie gras, biscottini e altre raffinatezze. Tutto molto buono, però il mio stomaco popolano invoca un’acciuga, di quelle grasse, per placare la furia acida e mineralissima di certi riesling. Vabbè, c’è il baccalà mantecato servito nel cornetto, ma vuoi mettere una fetta di salame? Niente da fare, siamo in pieno centro a Milano, l’anima rustica del cibo resta fuori con gli euro2, l’avrà detto il sindaco.

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Mentre io provo e riprovo uno strepitoso Kastanienbusch – è il 2008 Dr. Wehrheim, per la cronaca – il mio amico Martin, responsabile dell’ufficio turistico del Pfalz, soccorre i molti ospiti italiani che sbirciano le bottiglie incuriositi, chissà cosa nascondono quelle indecifrabili etichette. Col suo italiano, migliore di quello di molte nostre celebrità, Martin spiega paziente, consapevole che ci vorrebbero giorni per comunicare le differenti nuance che caratterizzano i vini in assaggio. Bisogna andarci, nel Pfalz, e se possibile tornarci, per rendersi conto della varietà che la regione ancora esprime, della storia che vi è custodita e del senso delle tradizioni, non ancora umiliato a mero folklore.
Curiosamente, all’evento trovo pochi commerciali, saranno in ritiro per il Vinitaly, oppure già sanno che molte aziende del Pfalz vendono direttamente la gran parte della produzione, e non vogliono disturbare. In compenso ci sono alcuni degustatori e degustatrici seriali, quelli che, senza rivolgere la parola a nessuno, assaggiano, annotano e sputacchiano, magari direttamente su twitter.
Non me ne vogliano, ma io preferisco la Geselligkeit, la socievolezza, ai tecnicismi e ai punteggi, quindi scivolo sul rovere chiaro e passo oltre.
Paola e Martin hanno portato a Milano anche i rossi, perlopiù a base pinot noir, ma la scena è occupata interamente dal riesling, non c’è partita. La lunga sfilza di glacette all’entrata impegna la maggior parte dei convenuti, siamo in pochi ad avanzare fino all’ultima stanza, dove attendono, come eserciti schierati a battaglia, i vini dolci, gli Edelsüsse, custoditi soltanto da uno sguardo gentile. Non c’è una porta da chiudere, è pur sempre uno spazio espositivo, impossibile barricarsi e tenere fuori qualcuno. Eppure per lunghi minuti nella stanza regna il silenzio, il brusio dell’ingresso sembra lontano, quelle piccole e preziose bottiglie chiedono rispetto, invitano alla quiete.
Infatti, tranquilli e silenziosi, assaggiamo l’ultima bottiglia del Deidesheimer Kieselberg Riesling Eiswein 1998 di Frau Barbara Acham, insieme con altre piacevolezze come un Trockenbeerenauslese (TBA) 2007 dell’immancabile Müller-Catoir e il Kieselberg Goldkapsel Riesling Auslese di Biffar. Nomi interminabili e poco friendly, ma un poco di fatica non guasta e comunque la smetto qui, tanto più che i miei appunti di degustazione chissà dove sono finiti, impegnato com’ero nella Geselligkeit, pardon, a godermi la serata.

E come dicono nel Pfalz: Zum Wohl.