Piede Franco 17

Piede franco: alle ricerca delle radici #2

L’etimologia, grande e pragmatica disciplina, è sempre pronta a spiegarci i fenomeni in modo semplice: fillossera, dal greco ϕύλλον (fillon) “foglia” e ξηραίνω (xeraino) “dissecco”, ovvero l’ultimo, ineluttabile stadio di una pianta attaccata dall’insetto la cui invasione, notoriamente, ha creato uno spartiacque, ha letteralmente diviso due ere della viticoltura. Ripercorriamo brevemente storia, modi e tempi della devastazione, tenendo conto che le cause e gli avvenimenti sono stati molto più complessi.

Piede Franco 17

La fillossera, arrivata dal Nord America, grazie anche all’intensificarsi degli scambi commerciali e ai tempi ridotti dei viaggi in nave, si è adattata immediatamente al contesto europeo.
In Francia erano già state introdotte barbatelle di varietà americane negli anni cinquanta dell’ottocento, quando comparve l’oidio. Non venivano ancora praticati i trattamenti con lo zolfo ed era chiaro che le viti foreste fossero resistenti al fungo ma erano anche portatrici della fillossera.
Nel 1863 l’insetto appare per la prima volta a Pujaut, nel Gard (dipartimento dell’Occitania, Francia sud-orientale). Quattro anni dopo, nel Sud-Ovest, vengono individuati due importanti centri di infezione: a Bordeaux e a Cognac. Trent’anni dopo comparve nella Champagne.
Alla fine degli anni ’70 dell’ottocento, l’Italia seguiva con ansia l’avanzata inarrestabile. Un primo focolaio fu scoperto nel 1879 a Valmadrera, sponda lecchese del lago di Como. Al nord si diffuse in modo rovinoso, soprattutto nelle Langhe e nel Monferrato (dove furono sperimentate gli impianti su radice americana), distruggendo quasi il 90% delle viti. Il flagello si diffuse velocemente nel centro Italia e comparve in Puglia, Calabria e Sicilia: nel 1885 l’intero vigneto del Sud, Sardegna compresa, era stato colpito.
Inizialmente non si conosceva la biologia dell’insetto – questo comportò la veloce diffusione della devastazione – e ci vollero più di cinque anni per cominciare a capirne il comportamento, per quanto mutevole di varietà in varietà. La difficoltà era aumentata dal fatto che l’infezione appare silente fino a quando la pianta è ormai prossima alla morte.
In quegli anni si cercò di arginare la peste con vari mezzi, dal solfuro di carbonio immesso nel terreno, alla pratica (attuabile solo in pianura) d’inondazione dei vigneti o anche all’insabbiamento, vero e proprio ostacolo per lo sviluppo dell’insetto. La conclamata elevata altitudine e la presenza di uno strato di ceneri vulcaniche sono anche ambienti avversi.
Il momento decisivo fu quando si comprese l’immunità – maturata nei millenni – della radice di alcune specie americane. Questa soluzione, aveva un pesante rovescio della medaglia: fino a quel momento, la necessità di reimpiantare il vigneto era una pratica rara, anche perché onerosa. Per ampliare il vigneto, infatti, era consuetudine la riproduzione mediante propaggine (s’incurva il ramo prescelto e si sotterra per buona parte con terriccio fresco e leggero, asportando un anello di corteccia sotto un nodo per facilitare lo sviluppo delle radici. Dopo un po’ di tempo si potrà separare il ramo dalla pianta madre che fino a quel punto lo aveva assistito nella nutrizione). Il metodo portò comunque all’utilizzo del piede americano e dell’apparato vegetativo europeo, operazione ancora oggi in uso.
Da allora proseguì la ricerca delle affinità tra varietà e della tolleranza al calcare, tipologia di terreno con il quale la varietà europea aveva convissuto da sempre. Anche se, come ribadisce Claude Bourguignon, uno dei massimi esperti di microbiologia del suolo e grande promotore del piede franco: «la specie europea Vitis Vinifera adora i suoli calcarei. Purtroppo le barbatelle americane non si sviluppano nel calcare, rifiutano questo tipo di suolo anzi lo evitano. Sviluppano una struttura radicale molto superficiale». Il piede franco ha la capacità di ramificarsi e quindi di leggere tutti gli strati del terreno in maniera più dettagliata, ha una capacità di espansione verticale e orizzontale. La vite americana va in profondità ma ha un sistema radicale più elementare, come se avesse un comportamento “acerbo” e, inoltre, una spinta vegetale molto forte.
Altro problema troppo sottovalutato quando si parla di “piede franco” è la questione legata alla ricostruzione del vigneto europeo eseguita con varietà più reperibili presso i vivaisti, diffuse, adattabili e più produttive. Da questo, la conseguente estinzione di molti vitigni tipici e l’impoverimento dell’enorme ricchezza ampelografica europea. Certamente è attendibile l’eventualità che alcune varietà non abbiano attecchito. A questo si somma il lavoro “semplificatorio” dei disciplinari delle DOC che hanno ammesso vitigni che con il territorio e la tradizione c’entravano poco.
Da segnalare, infine, un articolo del 2013 di teatronaturale.it: la fillossera, negli ultimi anni ha fatto la sua ricomparsa in maniera sempre più accentuata in molti areali, anche italiani. A rischio potrebbe esserci la tolleranza dei portainnesti americani, anche a causa dei cambiamenti climatici. Per il momento si possono osservare le tipiche galle sulle foglie ma si teme una mutazione e quindi la resistenza della radice americana venire meno.
Sarebbe interessante capirne gli sviluppi anche perché gli studi in materia si sono fermati da troppo tempo.
 

L’incontro si è svolto il 17 maggio (replica del 20 aprile), è stato organizzato da Matteo Gallello, realizzato con la collaborazione de La Tradizione e di Gabriele Bonci. Grazie al prezioso aiuto di Chiara Guarino e Pino Carone. Condotto da Sandro Sangiorgi.

Rosso (tintore, piedirosso) 2005 Monte di Grazia (Tramonti)
Ricordo una canzone romantica e orecchiabile del 2006, Postcards from Italy, contenuta in “Gulag Orkestar”, album di esordio di un gruppo statunitense, i Beirut, che mi ha riportato al tono malinconico del vino: tenero e rassicurante, disinvolto, carnoso di prugna e olive nere, aperto su un versante mediterraneo luminoso, solo un po’ compiaciuto del suo modello.

Rosso (tintore, piedirosso) 2012 Monte di Grazia (Tramonti)
Dirompente; anche solo avvicinandosi sembra dia una sferzata elettrica. Quel che si poteva intuire nell’espressione pacata, sognante del precedente, esplode nel 2012 in un caleidoscopio psichedelico. Graffia con gli aspetti puntuti, arrovellati, tutti da dipanare e lascia un’eredità gremita di sapori iodati, ematici, piccanti e maturi, sempre essenziali.

Antea Origini (rossese bianco) 2016 Tenuta Anfosso (Soldano)
Avere presa con leggerezza. Unito per spessore salino e pietroso, “mosso” dall’essere indefinito, ancora a lavoro, in coesione. Tenue la sfumatura vegetale, contraltare ai tratti aromatici di gelso bianco, di una vivacità un po’ rude che lascia comunque intravedere una crescita promettente.

Minneddu (canonau di Mamoiada) 2013 Giampaolo Paddeu (Mamoiada)
Ogni istante assume un volto diverso: dalla chiusura iniziale rimescola le carte per arrivare a una terra smossa e ferrosa e un aspetto disordinato che richiama la composta di frutta. Sanguigno e verace, attanaglia la lingua non per peso o tannini granitici ma per un fascio di fibre tenaci e avvolgenti.

Franc de Pied (cabernet franc) 2015 Domaine des Roches Neuves (Varrains)
«Chacun porte sa croix, moi je porte une plume» (Ciascuno porta la sua croce, io porto una piuma). Recita così un detto popolare francese che sembra calzare a pennello al Franc de Pied di Thierry Germain. Setoso, confortevole, ficcante con una freschezza floreale che disegna linee nette e consegna serenità. Giovane e fiero, ha un tannino sottilissimo, sembra una parvenza tanto è leggiadro.

Château Musar (obaideh e merwah) 1995 Château Musar (Ghazir)
Disinvolto tra l’integrità e la lieve ossidazione. Si sente “certo di vivere”, con una potenza che non lo opprime e, grazie ad acidità e salinità, gli permette di reagire al volume e alla grassezza. Dilaga, si espande attraverso un’energia dorata che irradia; ritorni marini si uniscono a quelli floreali e lasciano una bocca ricca e tersa.

Vinupetra (nerello mascalese, nerello cappuccio e alicante) 2005 I Vigneri (Randazzo)
Massiccio, oscuro, si avverte la forza di una roccia chiarissima. Da furori a tenerezze, alterna aspetti fruttati di fichi neri e more a odori di carne ovina. I tannini fitti sembrano un campo di grano. Nonostante il tappo imperfetto, tira fuori tutta l’energia possibile per emanciparsi dal difetto, riesce a mutare, alleggerirsi, desideroso di mostrare la sua indole.

Barolo Otin Fiorin Pié franco 2012 Cappellano (Serralunga d’Alba)
Potrebbe esercitare un potere sconfinato, potrebbe giovarsi del mistero, della destrezza, dell’infallibilità. Invece è una presenza discreta, serena nella sua vivezza imperturbabile. Raffinato, la giovinezza non lo limita, è formato, profondo nella tattilità, persistente. Un Barolo prodigioso, inspiegabile e saporito, «invulnerabile, sottratto a tutti i mali possibili».

Nackenheim Rothenberg Riesling trocken 2013 Khüling-Gillot (Bodenheim – Rheinhessen)
La conservazione è il punto cardinale di questo tedesco d’acciaio dalla crudezza rabbiosa e dalla luce abbagliante. Osserva freddamente, rappresenta il durevole, una specie di emancipazione dal tempo, un’estesa linea verticale che passa da tutto quel che è chiaro e comprensibile e corrisponde a un’idea precisa, riconosciuta, intensa.

4 Stati (malvasia istriana) 2014 Marco Fon (Brje pri Komnu)
«L’invenzione o l’introduzione dell’avvenire è un’utilizzazione significativa del sogno. Quella del tempo è una utilizzazione e un’organizzazione della facoltà di scarto – o divisione delle attività.
L’avvenire naturale si trova in tutti gli istinti e in tutte le modificazioni fisiologiche che si regolano per gradi, come le fasi della digestione, della gestazione, della crescita, in tutti gli stati del vivente che hanno una direzione, giungono a un termine». (Paul Valéry)