Salone Internazionale dell’Agricoltura di Francia

Un italiano a Parigi, che una volta tanto non va al Louvre.

Cerchiamo di essere italiani: prendiamo la metropolitana in una stazione periferica, così potremo sederci e avere un angolo privilegiato per guardare la Francia in movimento verso le Salon International de l’Agricolture.

Alle prime fermate salgono le truppe d’assalto: intere famiglie che iniziano la migrazione verso mucche, tori, galli, asini in mostra nella zona delle esposizioni. Passate le fermate del centro le carrozze sono intasate. La vicinanza dei corpi fa aumentare la temperatura, se potessi mi toglierei la giacca, ma l’eccentrico signore con cappotto leopardato che ho di fronte non me lo permette.

Una volta scesi guardiamo i vagoni vuoti sfrecciare via, li sento quasi sospirare per lo sforzo appena fatto. Le scale sono rese impraticabili dalla mandria di persone che si precipita verso l’uscita; i due splendidi esemplari di femmine italiche che mi accompagnano suggeriscono di aspettare, facendomi notare che, come per l’uscita dell’aereo appena atterrato, dobbiamo andare tutti nello stesso posto e arrivare prima non comporta agevolazioni di sorta.

Facciamo defluire il branco e puntualmente gli passiamo avanti, avendo noi già i biglietti.
Un totem distribuisce sacchetti vuoti, che serviranno per trasportare i depliant di vini, formaggi, allevamenti che da lì a breve vedremo; la forma e la funzione del totem sono quelle del distributore di cibo per il bestiame: un palo verticale con al vertice quattro pioli croce, da cui pendono gli agognati sacchetti. Tutto intorno un gregge umano che cerca di appropriarsene.

Apro la porta del primo padiglione e entro nel mondo fatato dei suini. Scrofe con i piccoli, verri impressionanti ripagano il mio sguardo curioso con il loro, che lo è altrettanto.

La calca è sconcertante, e pensare che non regalano niente! Ci sediamo negli spalti di una piccola arena dedicata alle sfilate e ai concorsi di cavalli, ma lo speaker annuncia che sta arrivando Chirac e che quindi la manifestazione non può ancora iniziare.

Ci trasferiamo allora in un altro padiglione, ma mentre stiamo uscendo veniamo ricacciati indietro da un muro di polizia, giornalisti e curiosi. L’intuito atavico dell’italiano all’estero mi soccorre: Monsieur le Président de la République est arrivé.

Fuggiamo dalla parte opposta ed entriamo nel padiglione dedicato alle regioni: prosciutti, ostriche, torte di formaggio, pane e vino sono i signori incontrastati di questa parte di fiera. Inizio una prima perlustrazione in cerca di stand che siano in grado di stupirmi, e vista l’ora, che mi diano un assaggio delle loro mercanzie.

Alla regione della Bourgogne mi dilungo, forse a causa dei 36 produttori di vino che fanno degustare, alcuni gratuitamente e alcuni no, i loro prodotti. Alla terza degustazione riesco ad avere l’ultimo barlume di lucidità per capire che non è il caso di continuare. Peccato, proprio lì di fronte c’era la Champagne …

Vista l’ora decidiamo di mangiare in uno dei 28 ristoranti e scegliamo quello della Camargue: bistecche di toro alla griglia. Affianco a noi una coppia ci guarda sorpresa. Eccezion fatta per alcuni produttori, noi siamo gli unici italiani. La signora sussurra al marito “adesso i turisti vengono anche qui?!” La capisco: questo salone è un rito in cui la Francia si ritrova, un evento che occupa la prima pagina nei giornali per una settimana, è il loro festival di San Remo, dove al posto dei cantanti ci sono gli animali, insomma due eventi che si assomigliano.

Ci ricacciamo nel flusso circolatorio della mandria e torniamo nel padiglione degli animali, abbandonato in precedenza per cause di forza maggiore.

Le vacche la fanno da padrone: le pezzate, le brune, le simmenthal (!). A tutte do una carezza, così come agli asini, che si lamentano se si passa senza allungare la mano verso la loro criniera.

Mentre passo da un toro ad un gallo (alcuni esemplari di questi ultimi costano fino a 150 euro!), passeggiando tra galline e pecore, guardiamo l’ora: il nostro aereo partirà tra tre ore, cioè il tempo necessario per andare in albergo e darsi una lavata. Non siamo riusciti a vedere che metà della fiera e non abbiamo potuto seguire neanche un dibattito, nonostante fossimo davanti ai cancelli prima che aprissero e sono già le cinque del pomeriggio.

Prima di andare via compro un litro di latte crudo, appena munto e inscatolato, oltre a quattro confezioni di crema di latte, sufficiente per una decina di giorni. Metto tutto nel mio sacchetto e parto felice, oggi sono stato un italiano a Parigi.