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Un luogo per ripartire

ha collaborato emanuela conversano
foto di paolo parise

Stavo ultimando la redazione di questo pezzo quando ho saputo della morte di Vittorio Fusari, un amico prezioso. Voglio mandare il mio pensiero più intenso a Patrizia, moglie e mia carissima amica, e al figlio che ho avuto la fortuna di conoscere poco tempo fa. Se si avrà la pazienza di leggere le mie righe, ci si renderà conto che questo breve accenno ha molto a che vedere coi principi da noi condivisi. 

Al centro della galassia
un campo di mirtilli rossi
Aldo Nove, da Poemetti della sera, di prossima pubblicazione da Einaudi, anticipato dalla rivista Poesia, numero 354, dicembre 2019
 

Una sosta. Potrei definirla anche così. È questo Porthos a Roma.
 Il cammino di ciascuno di noi – il lavoro, l’amore, la vita – ha bisogno di fermate, tanto fondamentali quanto impossibili da programmare. Guardo entrare le persone nella nostra stanza, si siedono, in attesa che si cominci, sono certo che condividono il mio medesimo sentimento, sono qui perché il loro cammino di innamorati del vino (e della bellezza) possa finalmente prendersi una pausa. Non credo che sappiano dove il prossimo tratto di strada li porterà, anche perché dipende dall’esito di quelle ore trascorse in via Laura Mantegazza 60-62.



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Respirare insieme: sembra questa la loro esigenza primaria. Impossibile non pensare alla fermentazione spontanea che, botte per botte, vasca per vasca, damigiana per damigiana, stabilisce un’unicità, irreplicabile, indivisibile e nello stesso tempo partecipe di un disegno futuro, una nuova forma vivente e dinamica.

Ogni classe che si forma – non importa che sia per un singolo evento o per un corso prolungato – possiede una sua energia, come una regola che dipende dalla relazione, più o meno visibile, tra le persone che partecipano. L’orario serale, la capacità di lasciare fuori gran parte della giornata, lo sforzo di magnetizzare l’interesse verso il tema scelto sono elementi indispensabili per creare un’atmosfera eterea ben prima che i liquidi siano versati nei calici. Un clima dolcemente omogeneo che favorisce la “deposizione delle armi”, senza inibire la varietà di contenuti e la vitalità antropologica a cui ciascuno può contribuire col proprio impulso. In fondo a nessuno è richiesta una prestazione, non si viene interrogati per ottenere una valutazione, non ci si prepara a un esame; chi se la sente racconta quello che ha percepito durante la degustazione, vissuta in silenzio, e insieme si ascolta quel personalissimo resoconto. Nasce così una narrazione corale, uno sforzo di soggettività che trasforma ogni assaggio in un fecondo scambio di conoscenze.

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In quasi vent’anni di Porthos racconta – questo è il nome del progetto didattico sin dalla sua nascita, quasi in coincidenza con la casa editrice – Roma è stata il luogo dove si è svolta grandissima parte dell’attività. Per inciso, in un’altra occasione vorrei scrivere di quei luoghi d’Italia che hanno accolto così intensamente la nostra proposta, lo meritano i partecipanti e le persone che si sono dedicate a organizzare corsi, seminari e singoli eventi. Roma è dove abitiamo e lavoriamo, non so quante città possono vantarsi di essere quel luogo di sosta – una vera pausa, s’intende, non l’area di servizio per una pisciatina – dal quale rimettersi in cammino diversi nell’animo e nel corpo. Qualcuno poi a Roma ci resta per sempre. A me sembra che Porthos rappresenti l’opportunità per una cura di sé e della relazione col liquido odoroso; dopodiché si può scegliere se restare in un’orbita molto vicina, e approfondire il nostro approccio, oppure esplorare altri pianeti e arricchirsi diversamente. 
La cosa più bella è ritrovare ogni sera questa comunità che si trasforma, si fonde, si divide, riparte. Il nostro approccio ha sempre aborrito l’idea di scuola esclusiva e depositaria del verbo, mentre ha praticato laicità e accoglienza. Ogni allieva e ogni allievo passati di qua, anche solo per una volta, possono trattenere un grado di porthosianità, un’antenna – come un ripetitore – che ci tiene sempre in collegamento. Ed è una soddisfazione impagabile ritrovare le persone dopo anni – immagino il loro navigare alla ricerca di una verità sul vino e sulla sensorialità – e guardarsi come se fossero partite la sera prima. 

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Ho già scritto in altre occasioni che a Porthos si pianifica il programma della stagione sul principio del desiderio d’imparare; si perseguono idee che soddisfano la nostra curiosità, non organizziamo eventi dal generico appeal, anzi… Appena una proposta si trasforma in una moda, la mettiamo in secondo piano, oppure cerchiamo di sottrarle gli aspetti già assimilati e scoprire quelli inconsueti, magari complicati e non lineari, ma indispensabili per avere una percezione complessiva del disegno di un luogo, di un vino, di un’azienda. Non ci nascondiamo, crediamo molto nell’esempio come mezzo per migliorarci tutti, lo frequentiamo con la massima reciprocità, a cominciare dalla Ciurma, sebbene non sia un antidoto contro gli errori. La sensazione è, però, che stagione dopo stagione si stia costituendo uno strato di humus, un terreno vivo da custodire e dal quale continueranno a crescere i frutti che ci permetteranno di coltivare il privilegio del fare ciò che amiamo. Non c’è un obiettivo, un traguardo, un “budget” da raggiungere, vogliamo esserci e trasmettere le convinzioni che si agitano dentro di noi, da quello spazio che si configura come un “secondo cervello”. È così quando penso a Roma, la nostra città, in questa fase nella quale appare indifendibile. Vorrei dire alle persone che sperano in una nuova figura politica, in una diversa amministrazione, di moderare le aspettative; se una soluzione arriverà, avrà a che fare col comportamento di tutti, ma proprio tutti! (o almeno una grandissima parte di noi). Non si tratta di gesti eclatanti, clamorose prese di posizione e proclami tonitruanti, ma di azioni quotidiane che imperterrite devono progredire e diffondersi, servire da esempi, imperturbabili davanti all’arroganza, al disinteresse e all’egoismo – sentimenti animati dalla solitudine.

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Se ci scoraggiamo, qualcun altro farà il proprio dovere al nostro posto?
 Sarà retorica e già sentita, ma l’espressione “vivere nel presente” è la più adatta se si vuole provocare un vero cambiamento. Vivere nel presente significa usare al meglio ogni minuto sentendosi parte di un tessuto, consapevoli che anche il minimo gesto non andrà sprecato.
 Roma sta vivendo una stagione proficua, un flusso vitale foriero di insospettabili sorprese, e non importa se l’impressione mediatica vuole convincerci dell’opposto. Ci sono numerose persone educate al senso civico e all’amore per la bellezza, noi le incontriamo ogni giorno, uomini e donne che percepiscono il destino di una comunità come responsabilità individuale. Facciamo in modo che aumentino. 
Mi rendo conto che queste righe potranno apparire moralistiche – forse lo sono. In fondo le scelte che hanno generato Porthos sono state anche una reazione morale.
Allo stesso tempo, vorrei fosse chiaro il loro valore politico, perché ogni cosa che facciamo è politica, persino mentre si è addormentati è possibile agire politicamente!

Allora sento di voler augurare alla comunità porthosiana che l’anno appena cominciato sia la più bella avventura politica di ciascuno di noi, sarà bellissimo potercelo raccontare. 

 
O Roma! Patria mia! Città dell’Anima!
Gli orfani del cuore debbono rivolgersi a te,
Madre solitaria di morti Imperi! E debbono dominare
le loro piccole miserie nei loro cuori chiusi.
Che cosa sono i nostri dolori, le nostre sofferenze? Venite a vedere
il cipresso, ad ascoltare il gufo, a percorrere faticosamente il vostro cammino
a traverso i giardini di troni e di templi infranti – o Voi,
le cui angosce sono mali di un giorno:
ai nostri piedi si estende un mondo fragile come la nostra argilla.
George Gordon Byron, Aroldo, Volume III, Canto IV, edizione a cura di Aldo Ricci, Sansoni, Firenze, 1923, pagina 67; ripresa dalla rivista Poesia (numero 354, dicembre 2019) e presente in un saggio di Tony Harrison intitolato Prometeo – Fuoco e poesia.