Una breve storia

Abbiamo spedito la giovane Mosele a godersi la festa di Petra; ecco il suo racconto, comprensivo di intervista a Francesca Moretti, che presto prenderà in mano il comparto enologico della holding industriale Moretti Contract.

Il 6 ottobre abbiamo partecipato al decimo compleanno di Petra, architettura vinicola della dinastia Moretti a Suvereto. Il prodigio strutturale è opera dell’architetto Mario Botta. Una scala tanto lunga che i bambini pensano arrivi al cielo. Peccato non sia permesso salire, altrimenti ci proverei anch’io. Falò a creare una romantica e calda atmosfera, un tavolo chenonsivedelafine di fantastiche fiorentine, salumi che così buoni non se ne mangiavano da tempo. Una band di circa dieci percussionisti ambulanti e la tanto attesa cena di Fulvio Pierangelini. Balli di chiusura e scatti di Oliviero Toscani.
Entrando in cantina, siamo sorpresi da passaggi di vetri, luci e colori; pietre a terra a formare simmetriche aiuole. Dei vini c’è poco da scrivere; le condizioni per una degustazione tecnica sono assenti: gomito a gomito, un caldo bestiale, poca luce, chiacchiere e saluti, nessun appoggio. Le sette annate proposte sono accomunate dalla prevalente legnosità, da tannini poco composti e ruvidi, da un’eterea pungenza che spossa. Il vino ammicca con le armi della corposità e dell’immediata intensità, ma è un libro aperto all’assaggio: monocorde e spesso dal finale amaro. In disaccordo con le poche persone con cui sono riuscita ad avere uno scambio, ho apprezzato il 2002, nel quale si ritrovano gli aspetti precedenti, ma con uno stile solo suo. Il 2000 e il 2003 peccano di mollezza e affaticamento.
Questa verticale voleva raccontare la storia della cantina. Ma dieci anni sono sufficienti? Non per denotare l’impronta stilistica di una casa, non per descrivere l’evoluzione di un vino. Ma magari lo sono per richiamare divertiti amici, vip, commercianti, giornalisti e compratori. Di casse di Petra? Anche, ma un simile dispiego di forze trova il suo bilanciamento altrove. La cantina non è solo luogo di produzione, ma anche civetta per i futuri clienti della holding industriale Moretti Contract: si fanno gli auguri a Petra e si tessono le reti del prossimo business.
Abbiamo intervistato Francesca Moretti, che a breve dirigerà tutte le proprietà vinicole di famiglia – Petra e La Badiola in Toscana, Bellavista e Contadi Castaldi in Franciacorta.

– Com’è nata l’idea del Petra?
E’ nata in Franciacorta, dall’idea che lì non potessero nascere grandi vini rossi. L’ispirazione era il Bordeaux; abbiamo cercato il terreno ideale in Italia. Ci sembrava che il migliore fosse in Val di Cornia, dove abbiamo comprato un terreno all’asta. Nel ’97 la zona buona del Bolgherese era già stata totalmente venduta, e a noi non interessava solo il nome. Ai tempi ero in Università a Milano con il Professor Attilio Scienza, docente alla facoltà di Agraria nell’Istituto di Coltivazioni Arboree; abbiamo analizzato il terreno e il clima: si tratta di suoli delle colline metallifere, principalmente argillosi e molto ricchi di ferro.

– In che stato di fertilità avete incontrato il terreno?
I terreni non erano mai stati coltivati a vite; le condizioni di fertilità erano buone.

– Chi lavora le vigne?

Un team di ragazzi locali cresciuti con Petra. Sia il lavoro di vigna che di cantina è seguito dall’enologo bordolese Pascal Chatonnet; siamo l’unica azienda in Italia con cui collabora. Ha apprezzato la nostra cantina, perché permetteva di stressare poco l’uva. Ci ha insegnato molto sulla campagna.

– Ad esempio?

Il controllo continuo dello stato di stress della pianta; il controllo sulle foglie.

– Quanto tempo può dedicare alla cantina?

Viene in Toscana cinque volte all’anno e quando ne abbiamo bisogno. Altrimenti lo raggiungiamo noi; andare a Bordeaux è sempre un piacere.

– E lei è spesso in Toscana?

Due giorni a settimana. L’azienda è seguita quotidianamente da Pierangelo Bonomi.

– Che previsioni di invecchiamento può fare sul Petra? Che percezione ha assaggiando le prime annate?

Ritengo che se si paga un vino più di 30 euro, questo debba sapersi anche conservare nel tempo. Dal 2003 le potenzialità di invecchiamento sono aumentate. Considerando che prima abbiamo lavorato male in cantina – con cemento, pompe e non utilizzo del freddo – e che comunque il ’97 ha tenuto bene, direi che si può ben sperare.

– Perché ritiene fondamentale il controllo della temperatura?

Credo che il freddo sia basilare per l’estrazione del colore e per controllare il possibile difetto del “cotto”.

– Ci parli delle tecniche di affinamento.

Utilizziamo legno di rovere del massiccio centrale della Francia, con una tostatura da leggera a medio leggera. Il 70% di legno è nuovo ogni anno. Per il Merlot utilizziamo il mezzo tonneau di rovere a spacco; per Cabernet e Sangiovese le barrique.

– Ciò che a nostro avviso frena l’espressione del vino, e il conseguente rapporto col cibo, è la presenza di tannini verdi e pungenti accanto ai forti sentori legnosi.

La presenza del legno a mio parere è ben equilibrata. Il tannino verde è molto forte fino al 2003: fino a quella data vinificavamo nella vecchia cantina, con notevoli limiti tecnologici. I nostri vini sono tutti molto barricati, perché hanno una struttura in grado di sostenere l’apporto del legno. Rimangono nelle barrique 18 mesi, con travasi solo se il liquido ha bisogno d’aria.

– Che abbinamento gastronomico consiglierebbe?

E’ un tipo di vino abbastanza versatile. Si abbina facilmente con tutta la tradizione toscana di carne, dalle zuppe ai secondi piatti. E poi con selvaggina, carni bianche e fiorentine.

– Qual è il vostro mercato?

Stiamo andando bene. Vendiamo per il 60% in Italia e per il 40% all’estero. Ma vorremmo raggiungere il 50-50.

– Perché?

Credo che la nostra sia una tipologia di vino internazionale. In Italia non si può crescere; il mercato è saturo. Considerando tutti i nostri vini, produciamo 300.000 bottiglie, vorremmo arrivare a 500.000.

– E come? Con gli stessi vigneti?

Per qualche anno rimarremo fermi ai cento ettari, ma non sono ancora tutti in produzione.

– Avete anche vigne vecchie?

Abbiamo mantenuto una vigna di quarant’anni di due ettari ma dovremo estirparla perché è molto malata.

– Di che cosa? Vi è stato consigliato anche dall’enologo?

Sì, non c’è nulla da fare; è mal dell’esca.

Che cosa pensa del vino naturale?
Nel senso pseudobiologico? Ne ho un grande rispetto. Noi possiamo lavorare in questo modo grazie al terreno e al clima molto areato e poco piovoso. Se volessimo potremmo mettere in etichetta la certificazione.

– Niente fitofarmaci e lieviti selezionati?

Assolutamente no. Per i fitofarmaci ci proviamo… La presenza di solforosa è bassissima, molto al di sotto del consentito.

– Perché scegliere un’impronta architettonica tanto maestosa ed elegante per una cantina?

Ha visto in Bordeaux quanto sono curate le cantine, quanto in linea con il territorio?

– Non è esattamente la stessa cosa, è una tradizione territoriale differente. In Bordeaux si tratta di storici château.

Ma all’interno dei vecchi château c’è spesso una tecnologia incredibile. Mio padre è costruttore edile, innamorato di quelle cantine. E ne ha voluto costruire una altrettanto bella. Abbiamo avuto la possibilità di farlo in grande.

– Utile anche come biglietto da visita.

Certo. Della Moretti costruzioni. A livello sinergico i vari rami della Moretti sono molto vicini.

State sviluppando idee in tema di architettura ecocompatibile?
Ci abbiamo pensato fin dall’inizio dei lavori. Stiamo cercando di utilizzare pannelli solari, ma sul tetto non era possibile per la tipologia architettonica, a terra non funzionavano esteticamente. Ora mio padre sta lavorando su un altro progetto: pannelli a terra, ma sospesi sul laghetto di nostra proprietà.