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Il Primitivo tra Manduria, Salento e Gioia del Colle

Se nu te scierri mai delle radici ca tieni

rispetti puru quiddre delli paisi lontani

Se nu te scierri mai de du ede ca ieni.

dai chiu valore alla cultura ca tieni
(Se non dimentichi mai le tue radici
rispetti anche quelle dei paesi lontani.
Se non scordi mai da dove vieni
dai più valore alla tua cultura).
“Le radici ca tieni” da “Lontano”, Sud Sound System, 2003

Non poteva che iniziare così, con la citazione bella (e giustamente retorica) di un gruppo tra i principali della musica alternativa italiana. Sono i ricordi spensierati e variopinti del periodo universitario e questa era una canzone importante per noi studenti fuorisede, orgogliosi di rivolgere lo sguardo al Grande Padre Sud, di rivendicare origini, paesaggi, vini e innumerevoli altre cose che emergevano prepotenti quando si stava insieme, magari nelle cucine comuni delle case dello studente. Condividevamo i cibi arrivati tramite i mezzi più disparati, camion, le poste, il familiare che passava in zona. Come potevano mancare due, tre, cinque litri di vino fatto in casa? La norma era portare, a testa, una bottiglia da un litro e mezzo, così sul tavolo c’erano i liquidi più incredibili: scuri, rossi, rosati o bianchi; siciliani, calabresi, lucani, pugliesi, sardi, sempre densi, carichi, dalle gradazioni folli, amabili, acetici, deliziosi. Tutti testimoni, disincantati, rispondenti a un (bi)sogno tutto domestico, quotidiano, sicuro. Non servivano classifiche, la bontà di un vino corrispondeva alla bottiglia svuotata prima e più desiderata al prossimo “incontro”.
Sono passati dodici anni, tutto è cambiato, eppure nulla è cambiato. Mi spiego: non ci importava molto del vino in sé, era una scusa, un modo per parlare di casa, per raccontare storie di vita in un pranzo della domenica, tra un esame e l’altro, per ridere e meravigliarsi, distrarsi. Un po’ come oggi, con l’unica differenza che queste storie sono diventate indispensabili, cercate a tal punto che lasciarsi sorprendere è la parte più bella del mio lavoro.

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Il Sud del Sud (dei Santi)

Dal 2013 scandagliamo le più rilevanti zone del Meridione vitivinicolo. Dopo Etna, Taurasi, Mamoiada e Cirò, è il momento delle Murge baresi, tarantine e del Salento. Un territorio vasto, diversificato, dalle ampiezze panoramiche, vivo di peculiarità e contrasti; quintessenza del Mediterraneo, di mari e luci, superfici e sottosuoli, con un leitmotiv: il Primitivo.
La volontà (e il desiderio) è sempre poter osservare da vicino i territori e i produttori che hanno scelto di presidiare un luogo, di custodirlo, di fare vino che rappresenti quella terra e, in qualche modo, se stessi. Dopo smarrimenti e preconcetti, divergenze, ripensamenti il Sud ha ancora tanto da dire a cominciare da cose dirette, inequivocabili. C’è poco spazio per terroir romantici, vini sapientemente degustati, discettazioni varie. Sembra che, ancora più che altrove, i luoghi li devi calpestare per raccontare quel che si vede, le impressioni, le vicende, le pietre.

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Si parla (ancora) dell’enologia pugliese come non ancora “espressa”, di vino che taglia e ha tagliato i taglienti liquidi del nord. Oppure di vino da tagliare perché ruvido, fitto, alcolicissimo. Si parla di enormi volumi, cantine sociali fallite o tenute a galla, come in tanti altri luoghi del Mezzogiorno. La Puglia ha un volto vecchio e uno nuovo, come Giano guarda al passato e al futuro (e al presente? chi guarda?), persiste il modello dei vini classici, blasonati, riconosciuti, frutto-colore-volume-calore. Per carità, caratteristiche vere ma non esclusive o per forza qualificanti. C’è la Puglia dei produttori che proteggono luogo e vino, che non forzano, non concentrano, non hanno bisogno di stupire e non si limitano a produrre vini dozzinali, apolidi. I “nuovi” contadini possono essere farmacisti, medici, letterati, psicologi, figli di contadini o d’ingegneri. Valorizzano l’unicità degli spazi, delle terre che abitano, siano rimasti lì o rientrati all’ovile dalla città. Badano al sodo, a un vino dal quale escludere geometrie, dimensioni, calcoli, dal quale tirare fuori un calore partecipe, un temperamento coinvolgente, incline all’annata, al contesto viticolo, alla campagna.


Geografie del Primitivo

La Puglia può essere suddivisa in diverse macrozone, in base ai caratteri geomorfologici e idrogeologici. Da nord a sud abbiamo il Gargano, il Tavoliere, l’altopiano delle Murge suddiviso in Alta Murgia, Murgia barese, tarantina e, infine, il Salento.
Una regione piana, priva o quasi di zone montuose, eccezion fatta per la Daunia (qui e sul promontorio del Gargano si superano i mille metri). Gran parte della superficie è costituita da un altipiano pianeggiante che scende gradualmente dall’Alta Murgia, sui 700 metri di altitudine, ai 350 circa delle Murge baresi. In tutto il territorio la roccia è solida, costituita da calcari bianchi, coperta da pochi centimetri di terreno eluviale, disgregato e rimasto sul posto. La Puglia è sprovvista di corsi d’acqua, dunque non vi sono depositi alluvionali; inoltre, è priva di vulcani. La circolazione idrica è sotterranea, carsica, con innumerevoli condotti, grotte, gravine, doline.

cartina fisica puglia
dal sito www.vieste.it

Nel 2010 la superficie complessiva coltivata a primitivo ammontava a 10.700 ettari per circa 500.000 ettolitri di vino. Nel prossimo paragrafo esploreremo i diversi territori per capire come influenzano l’espressione del Primitivo. Ho pensato di iniziare dalla zona meridionale, un po’ per esigenza, un po’ per logistica, e poi, da ragazzo del sud, mi sembrava la prospettiva più naturale.
Poniamo la lente d’ingrandimento sulle zone di Manduria, Salento brindisino e leccese, Colline joniche tarantine e Gioia del Colle; zone distanti ma unite da un vero e proprio fil rouge: la terra rossa (e il calcare).

Agro di Manduria
Il primitivo è il vitigno più diffuso della provincia di Taranto, basti pensare che occupa il 70% di tutta la superficie vitata. Negli anni venti iniziò la sua enorme espansione, diventando una vera monocultura che si estese, pochi anni dopo, anche all’area salentina. Oltre a Manduria, questa zona comprende altri luoghi fondamentali per la produzione di vino come Lizzano, Maruggio, Faggiano, Sava, Torricella, San Marzano di San Giuseppe. Gran parte del territorio è pianeggiante, lievi colline sfiorano i 150 metri, riparato a nord dalla corona delle Murge. Manduria, la città più rappresentativa del Primitivo, è equidistante da Taranto, Lecce e Brindisi, situata sulle murge tarantine a circa 80 metri s.l.m. Nell’agro manduriano si contano oltre 7000 ettari di vigneto, buona parte del quale allevato ad alberello. Suolo fertile, vicinanza al mare, clima tipicamente mediterraneo, venti costanti ed escursioni termiche sono le caratteristiche di tutta l’area. I vigneti si alternano agli uliveti, in alcuni casi sussiste la coltivazione mista, tra l’altro era consuetudine piantare gli ulivi nel vigneto quando questo raggiungeva un’età ragguardevole ed era prossimo all’espianto. Inoltre i mandorli, i fichi e i fichi d’India crescono abbondanti ovunque. Prevalgono i suoli alcalini calcareo-argillosi, strati più o meno profondi di terra rossa, con falde tufacee. A ridosso della costa le terre sono sabbiose e sottili. In tutto il comprensorio si trovano tracce di reperti neolitici, messapici, greci e romani. Un elemento caratterizzante è la presenza di costruzioni realizzate con le pietre estratte dai terreni: muretti a secco delimitano i poderi e i trulli (localmente pagghiare) che, in questa zona, erano adibiti principalmente a rifugio per gli animali e gli attrezzi da lavoro.

Salento brindisino e leccese
Il Salento, terra d’elezione del negroamaro (il primitivo è comunque molto coltivato, se escludiamo Taranto, si toccano i 2000 ettari), comprende un’estensione enorme: le province di Taranto, Brindisi e Lecce. Il territorio più a est d’Italia è considerato un’entità culturale, prima che geografica. Una penisola lunga circa 140 km, e larga 40, che costituisce la parte meridionale della Puglia e si protende tra il Mare Adriatico e il Mar Jonio. I suoli calcarei e le terre rosse, l’andamento pianeggiante interrotto da rilievi collinari poco elevati, chiamati “serre” o “gobbe”, sono gli elementi che caratterizzano il paesaggio salentino. L’influenza dei due mari determina un clima unico, caratterizzato da alte temperature estive ed elevato tasso di umidità, piogge più abbondanti rispetto al Settentrione pugliese. Le tipiche terre rosse salentine di natura calcareo-argillosa sono quasi ovunque coltivate e i muretti a secco separano le proprietà e ornano gli ulivi secolari. Tipiche, bianche, scintillanti sono le masserie edificate per lo più tra XVI e XVII secolo.

Colline joniche tarantine
È il territorio di “transizione”, a metà strada tra Gioia del Colle e l’area jonica tarantina. Divenuto di recente denominazione di origine, comprende luoghi importanti dal punto di vista storico, culturale e agricolo, come Mottola, Castellaneta, Martina Franca e Grottaglie. Si estende tra la piana costiera jonica e le colline circostanti al Golfo di Taranto. Si tratta di un’area che si eleva sopra i 300 metri e forma un altopiano ondulato, costituito da colline con esposizione a sud, verso lo Jonio, e una zona interna più fresca e piovosa, al riparo dai venti del mare. I suoli sono argillo-limosi e calcarei, compatti nella zona di Mottola diventano calcarei sciolti verso Castellaneta. Il territorio collinare carsico è attraversato da gravine e grotte, inoltre non mancano ampie aree boscose.

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Gioia del Colle
La culla del primitivo, come diremo più avanti. Comprende alcuni comuni in provincia di Bari: Altamura, Cassano delle Murge, Castellana, Conversano, Turi. Tuttavia solo a Gioia del Colle possiamo trovare una produzione significativa.
La Murgia barese (dal latino murex, roccia aguzza) è un grande altopiano carsico. La pietra calcarea affiorante è stata frantumata o asportata dai campi per renderli coltivabili e utilizzata per costruire i manufatti tipici delle campagne pugliesi: muretti a secco e trulli. Le sezioni più fertili sono coltivate a uliveto, mandorleto e frutteto, le altre a seminativi. I rilievi di media collina sono formazioni calcaree cretaciche comprese tra i 120 e i 500 metri sulle quali sorgono ampie porzioni boscose. Mancano corsi d’acqua superficiali, mentre è presente una circolazione idrica sotterranea, tipicamente carsica. Il clima è mediterraneo, fresco specialmente nelle zone interne. Il primitivo, qui, risiede su terreni alcalini, calcareo-argillosi, misti a rocce calcaree, silicee e tufacee. Si tratta di suoli poco fertili, magri e difficili, con terre rosse ricche di sesquiossido idrato di ferro. Lo strato di terra superficiale deriva dal disfacimento e dalla trasformazione dello strato superficiale di calcare, in molti casi è spessa meno di un metro, poggia su un basamento di roccia e le radici della vite si fanno spazio tra le fenditure. I vigneti situati tra i 200 e i 400 metri sono soggetti a notevoli escursioni termiche e sono esposti a una particolare ventilazione. I vini hanno una sapidità terrosa e decisa che li contrappone in modo forte alle calde sensazioni dell’estremo Salento. Il registro continentale dei vini di Gioia del Colle non esclude la gagliardia propria del primitivo tarantino. Ad ogni modo sono tanti gli aspetti da tenere in considerazione, dai cloni, alle rese, al tipo di allevamento. Le note distintive e le sfumature emergeranno nelle note di degustazione inserite a chiusura del pezzo.