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Dialogo tra due enofili impenitenti

S – È bene chiarire subito che il termine “vini naturali” non ha una valenza giuridica né si riferisce a un disciplinare di produzione, ma ci aiuta a riconoscere quelle bottiglie che sono espressione di un comportamento etico da parte del produttore, in vigna e in cantina. Innanzitutto il rifiuto di pesticidi, insetticidi di sintesi e fertilizzanti nel campo; ma è auspicabile un uso moderato di quei prodotti, come il rame, che pur essendo “di copertura” hanno di fatto un’azione antisettica non proprio gentile sulla terra. Mentre in cantina, oltre al bando delle fermentazioni a temperatura controllata, non sono accettate le biotecnologie – lieviti e batteri selezionati, aggiunta di enzimi – e le correzioni chimico-fisiche. Non è pensabile che un tannino, solo perché di origine enologica o vegetale, possa per questo essere aggiunto.
C – Sulla base dei tuoi trascorsi, su cosa è basata principalmente la polemica che si è sviluppata in questi anni sui vini naturali? Ossia: cosa non piace o non è accettato?
S – Ti riferisci al popolo degli enologi, dei tecnici, degli addetti ai lavori?
C – Esattamente.
S – Come accade spesso, alla base di una perplessità c’è un fondamento. Però sarebbe più credibile se i tecnici provassero a guardare oltre la loro convinzione: quello naturale è un vino che non si presta a farsi controllare, gestire, governare, come accade per gli altri vini. Tutti i tecnici enologici, in generale, sono educati alla scuola della ristrutturazione, della correzione, dell’aggiustamento, di una fantomatica perfezione. Se tu passi un anno presso una qualunque scuola enologica, come ce ne sono in Italia e nel mondo, ti rendi conto che l’impostazione è sempre la stessa: ripulire, tenere tutto sotto controllo, fare in modo che alla fine tutto torni, mentre il vino non funziona così. Rimane, ben inteso, il desiderio legittimo di chi è tecnicamente competente: guardare, sentire, gustare vini meno lacunosi
C – Nel pezzo “La forma e la sostanza”, pubblicato su Porthos 33-34 nel 2009, presente anche sul sito, tu metti proprio in evidenza, senza mezzi termini, questo grande limite dei produttori.
S – Credo che la mia critica sia più sensibile, più forte in questa fase in cui i sedicenti produttori di vini naturali sono molti di più rispetto a un tempo, quando erano un gruppo minuscolo che, prima di imbottigliare e vendere le proprie bottiglie, aveva vissuto una pregnante gavetta tecnica e commerciale. Il successo dell’approccio bio, sostenuto da un numero di manifestazioni e banchi d’assaggio impensabile solo sette anni fa, ha fatto uscire allo scoperto molte realtà alle prime armi che mettono a disposizione vini forse genuini, certamente sciatti e difficili da bere.
C – Produttori convenzionali che puntano a bottiglie asettiche e spesso (proprio per questo) senza emozioni contro produttori naturali con vini magari più interessanti sul piano emozionale ma spesso non proprio encomiabili. Come se ne esce?
S – Penso che qualunque produttore di vino (naturale e non) dovrebbe innanzitutto puntare a offrire al fruitore finale un liquido stabile. Sia chiaro, non vuol dire morto, o che si involve o ancora che sia, giocoforza, snaturato. Stabile significa che, una volta aperta la bottiglia, trovi ancora una vita che si trasforma e non ti scontri con quei limiti che non hanno solo natura tecnica ma anche sensoriale. Ci sono ancora vini così maleodoranti che non puoi avvicinarli al naso, oppure talmente sgraziati per l’acidità volatile che non ti sogneresti nemmeno di portarli alla bocca.
C – Ricapitolando: da un lato, alcuni addetti ai lavori hanno ragione a lamentarsi dei vini naturali e dall’altro fanno fatica ad ammettere che i vini naturali sono loro poco congeniali perché non si fanno controllare. Non sarà perché i vini naturali costituiscono, in qualche modo, una seria minaccia al loro determinante ruolo tecnico impostosi negli ultimi decenni?
S – È possibile. Se pensiamo a quello che stanno facendo alcuni enologi, i quali non hanno scoperto oggi che la solforosa è una sostanza difficilmente tollerabile dall’organismo umano, eppure corrono a fare i vini senza SO2. È chiaro che i vini naturali hanno messo in evidenza la salubrità del vino, di per sé molto importante. La mia impressione è però che molti tecnici non vogliano cogliere l’occasione di fare evolvere il loro compito. Che non dovrebbe essere solo di mera consulenza ma anche di formazione. Invece preferiscono centellinare i loro “segreti” e fanno passare i produttori dal legno alle macerazioni mirabolanti, dalla correzione dei tannini all’assenza di solforosa, quasi fosse ogni volta soltanto un moda e non una convinzione tecnica radicata.