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Dialogo tra due enofili impenitenti

Perché preoccuparsi degli operai, che eseguono ordini precisi?
Studiate piuttosto gli architetti.
Nicolas Joly

ATTO IV 

Sandro – L’informazione è uno dei traguardi storici raggiunti dall’uomo moderno. Oggi chi vuole informarsi ha davvero tante possibilità, soprattutto grazie al web. È ovvio che bisogna anche essere “attrezzati” culturalmente per orientarsi, per distinguere quale informazione è “meno schietta”, perché qui nessuno ha ragione o torto. Il punto è che le persone devono imparare a difendersi da sé. Pensandoci bene, ci rendiamo conto di quanto sia condivisibile la riflessione – qualcuno lo considera un vero e proprio monito – di numerosi filosofi e osservatori della società odierna.
Carmelo – Intendi la fine del leaderismo?

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S – Esattamente. Il leaderismo ha purtroppo portato a una deresponsabilizzazione del cittadino e quindi tutti continuano ancora a cercare dei punti di riferimento. Ora, e arrivo al punto, il vino non deve diventare iperblasonato e dunque avere più mito di quanto ne abbia naturalmente. Si rischia di caricarlo eccessivamente di valori aggiunti, di dotarlo di qualità che non possiede, con il rischio di distorcere la percezione del vino stesso, poiché le aspettative ti spingerebbero a cercare nel vino qualcosa che non c’è o che il vino stesso non è e non potrebbe mai essere. Guardiamo, per esempio, che cosa è successo con i vini naturali, ossia il pensare che i produttori naturali fossero degli eroi, depositari di chissà quale verità. Mentre invece sono uomini e donne che, dopo aver fatto un percorso di sofferenza e di scoperta interiore, hanno cominciato ad applicarlo al luogo di lavoro.
– Dunque si tratta di persone che possono vantare una presa di coscienza al di sopra della media.
– Su questo non c’è alcun dubbio. Ha prevalso in loro quel senso di rispetto della Natura, ma anche di gioiosa condivisione di quell’immenso respiro che è l’Universo nel quale siamo tutti inseriti. Questo atteggiamento è ancora più forte e radicato tra i produttori biodinamici. Mi viene in mente Richard Feynman, fisico statunitense scomparso nel 1988 e Premio Nobel per la fisica nel 1965. C’è un suo video su YouTube, dal titolo “L’universo in un bicchier di vino”.
– Sì, lo conosco. Questo video nel titolo è un esplicito riferimento a un frammento di Edgar Morin che, a sua volta, fa parlare l’astrofisico Michel Cassé. Feynman condivide tale riflessione: «se guardi un bicchiere di vino abbastanza da vicino vedrai l’intero Universo… Ecco le cose della fisica: le torsioni del liquido e i riflessi nel vetro… Ci sono fermenti, enzimi, sostrati e prodotti, e proprio nel vino si fonda la grande generalizzazione: tutta la vita è fermentazione… E se le nostre piccole menti per qualche modesta convenienza sono portate a dividere questo Universo in diverse parti: fisica, biologia, geologia, astronomia, ricordiamoci che la natura non si comporta in così… quindi rimettiamo tutto assieme… beviamolo in un sorso e scordiamoci di tutta questa storia!».
S – La riscoperta della reale qualità nel vino, simbolo culturale della nostra civiltà, è uno dei primi passi verso la comprensione e la riabilitazione di una nuova percezione esistenziale, al riparo dalle disastrose conseguenze dell’amato “progresso”. Se partiamo dalla scoperta (o riscoperta) dell’identità del vino del proprio territorio, possiamo scoprire una nuova qualità di vita che ci distacchi gradualmente da quel progresso tiranno di cui siamo tutti prigionieri attraverso due delle sue più aberranti manifestazioni: il consumismo e il conformismo.
C – Il vino è di per sé una materia che sfugge a posizioni di questo genere, ossia deviate, espressioni insomma di non-autenticità. Nel vino c’è sincerità, franchezza, anche quando è manipolato. Relazionarsi con il vino è sempre una relazione sorprendente. Se il vino è cattivo, non te lo nasconderà. Nessuna persona al mondo saprà mai essere così sincera come sa esserlo il vino, anche se un prodottom è ruffiano.
S – Uno dei principali aspetti del mondo attuale è il fatto che si va troppo di fretta, concentrati solo sulla meta e dimentichi del percorso per arrivarci. Soffermarci sul vino stimola la riflessione su noi stessi e su ciò in cui siamo inseriti. L’esatto contrario di ciò che, mi pare, vogliono coloro che hanno in mano le sorti del pianeta.
C – L’elevazione della coscienza è un percorso strettamente personale e che dunque non può essere né promosso né agevolato da qualcuno. In ogni caso penso, però, che alla base di qualunque “salto” debbano esserci comunque informazioni e strumenti culturali che lo consentano. Il vino potrebbe essere uno di questi poiché avvicina gli uomini, facilitando l’interscambio, che alimenta la coscienza. Citando lo storico e linguista Dominique Fournier: «Il vino è fatto soprattutto per risvegliare la convivialità, stimolare la curiosità, rinsaldare le amicizie». Credo che, su questo piano, i vini naturali abbiano una marcia in più. Hanno sicuramente un’essenza olistica. Una vibrazione che li differenzia dagli altri vini.
S – È così. L’essenza olistica di cui parli, quella autenticità che li caratterizza, conferisce loro maggiore forza e maggiore energia.
C – Capisco che può sembrare scontato, ma visto che si avvertono ancora perplessità, dubbi ed equivoci su questa categoria di vini, vogliamo provare a fare chiarezza?
S – Sono anni che ci lavoro sopra e di certo non mi sottrarrò nemmeno questa volta…
C – Non ne dubitavo. Proviamo intanto a definire: quando un vino si può chiamare “naturale”?