Dialogo tra due enofili impenitenti

S – Sulla base dei dati che tu evidenzi, potremmo forse parlare di un problema culturale più ampio, legato, per esempio, anche alla necessità di non pensare quando si beve, e la birra è proprio questa bevanda, nella maggior parte dei casi. Io non credo che il vino sia effettivamente radical-chic, sebbene da molti venga usato così. Temo semmai questa deriva: che il vino si trasformi in “bevanda per non pensare”, seguendo sempre l’onda, così come anni fa si sono trasformati in liquidi per impressionare.
C – Erano “liquidi per impressionare” durante quella che io ho sempre considerato la “bolla” del vino italiano (e siciliano in particolare). In quel periodo, nonostante l’imperversare sui media dell’argomento vino, i nostri consumi interni sono continuati a calare inesorabilmente. Ad apprezzare e bere vino eravamo sempre gli stessi soliti quattro gatti appassionati. E basta. Nei paesi stranieri non produttori tradizionali, come gli USA, credo che il vino sia già in questa fase, soprattutto quando è bevuto come una bevanda qualsiasi. Una cosa è certa: se in Italia il vino diventasse, per usare la tua calzante espressione, “bevanda per non pensare”, pur costituendo per il vino una deriva sul piano culturale, farebbe, di converso, registrare una ripresa dei consumi interni davvero non indifferente. Sarebbe un grande ritorno, per il vino. Quasi un riscatto.
S – Scusami, ma ho più di una perplessità a proposito. Innazitutto credo che il calo dei consumi sia una buona cosa; perché è diminuito il consumo dei vini cattivi, non necessariamente quelli genuini fatti male, ma anche e soprattutto quelli industriali da pochi euro al bottiglione. Quindi sarà pure un calo di consumi, tuttavia se ci pensi è aumentato il consumo dei vini di fascia maggiore, spesso convenzionali o molto ruffiani, ma anche quelli migliori e magari naturali. E poi penso che sia giusto bere un po’ meno.
C – A me ‘sta storia del “si beve meno ma si beve meglio” non mi ha mai convinto. Perdere 80 litri pro-capite in 40 anni non è uno scherzo. È una cosa seria. Non posso negare che adesso i vini cattivi siano quasi un ricordo. E questo è senz’altro un bene ma la cosa che più mi dispiace è che il prezzo pagato per passare da una fase all’altra (ossia da vino-alimento a vino edonistico) è stato, a mio modesto parere, troppo alto. Tu dici che è giusto bere un po’ meno, e sono d’accordo, ma qui il problema, caro Sandro, è che in molti casi non si beve proprio. O meglio: si beve dell’altro. Il problema di fondo è che il vino è ormai considerato solo come un mero piacere voluttuario (e per questa ragione, legato ad un target sempre più elevato), e sempre meno come quel benefico e piacevole accompagnatore dei pasti quotidiani di una volta (motivo per cui i consumi si sono ridotti del 70% in 40 anni).
S – Per come la vedo io, il vino è sempre stato edonistico, anche quando era soltanto agricolo, contadino; ci sono testimonianze scritte, non è un semplice passaparola. La considerazione del vino come alimento equivale a brutti momenti, come quel periodo in cui a Roma veniva bevuto al posto dell’acqua allora inquinata dal piombo. Ecco, non so come dirlo, ma ho la sensazione che si beva troppo e, per certi versi, si produca anche troppo. Le persone dovrebbero “amministrare” meglio il desiderio – spero che questo verbo non ti spaventi troppo – perché così anche il perverso meccanismo del prezzo avrebbe una dinamica meno estranea. Invece siamo troppo indulgenti verso queste pulsioni consumistiche, come se non potessimo fare a meno di “possedere” oltre che di gustare un buon vino. Mi spiego?