La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot - Porthos Edizioni

La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot

APPUNTI DI SANDRO
2002 – Nettissimo, setoso e magnetico, dalla freschezza talmente spiccata da andare oltre l’equilibrio. L’armonia è un concetto diverso dall’equilibrio, lo riesco a rivivere in questo 2002. Quindi vibrazioni e capacità di andare oltre: sfiorare il limite ed entrare nell’alveo dello squilibrio senza mai perdersi.
2003 – La vera e propria sorpresa della degustazione. Ho bevuto molti 2003 della Loira, ma non ne ho provato mai uno così particolare. E allora Jean Pierre ti faccio una domanda: il terroir di Jasnières, dal punto di vista climatico, ha qualcosa di particolare rispetto alle altre zone della Loira?
JP.: Il suo clima è molto più freddo rispetto a tutti gli altri posti della Loira.
S.: Jasnières è attraversata dal fiume Loir. Quanto è importante?
JP.: È il luogo dove ho imparato a nuotare…
S.: Bellissimo!
JP.: …anche per la muffa nobile il Loir è molto importante.
2004 – Più caloroso, è emotivo ma non elegante, ha gli stessi limiti del 2006. È monolitico, non riesce a sciogliersi, né ad aprirsi. Esposto ingenuamente tutto in avanti, anche troppo, è come in quelle situazioni in cui con uno slancio di generosità ti scopri, e poi sei fregato.
2005 – Stesso calore del precedente, ma più graduale: sembra più incoraggiante e meno sfacciato. È quello in cui ho percepito migliore l’apporto dell’acidità volatile. Si è mostrato più vivo, integrato e dinamico.
Pubblico: Più della 2003?
S.: Sì.
JP.: Dell’annata 2005 avevo cinque barrique, una diversa dall’altra e ho deciso di imbottigliarle come se fossero cinque vini distinti. Sulle etichette non si nota la differenza. Le bottiglie sono state sistemate nella cantina e ognuna ha il suo posto assegnato; volendo un domani si potrà scrivere qualcosa per differenziarle.
2006 – Il 2006, come avevo già anticipato, è il vino che mi convince di meno: è bruciante. Naturalmente rimaniamo sempre nell’ambito dei vini che berrei volentieri, perché ci sono lo slancio, il coraggio, la bellezza. È la dinamica a mancare e, quando ciò accade il vino fatica, anche perché non c’è confronto con la vicina 2008, che è davvero irresistibile; se vogliamo, il 2008 è il vino più arrogante della degustazione.
2008 – Impertinente, proprio impertinente! “Faccia da schiaffi” è l’esatta definizione di questo vino dalle sfumature irresistibili. Il 2008 è uno dei migliori, raccoglie l’essenza dei vini assaggiati, rappresentando la maturità e l’intelligenza del liquido odoroso.
2010 – È molto sensuale, un vino che conquista con le sue rotondità e morbidezze. Non ha quasi nessuna frizione.
JP.: Lo imbottiglierò tra un mese.
S.: Quindi ci vorrà ancora un anno prima di metterlo in vendita. Del 2009 e del 2010 ne parleremo nel 2017 e nel 2018, giusto?
JP.: Le imbottiglierò nello stesso periodo, la vendita delle due annate sarà simultanea.
S.: Il 2009 è il vino più chiuso della batteria, marmoreo, il più difficile da penetrare. Mi viene da lasciargli ancora del tempo in botte…
JP.: Vedremo! È dal momento in cui il vino mi piace che decido poi di metterlo in bottiglia. Non è possibile stabilire esattamente se si tratta di un mese, due o un anno.
Pubblico: La 2002 è stata la prima annata prodotta o ci sono stati vini precedenti?
S.: Jean Pierre prima del 2002 aveva un Bistrot che si chiamava L’Angevin, è da qui che proviene il nome del suo libro.

Un ultimo pensiero di Valéry:
Nel gesto del contadino che semina è contenuta più sostanza di pensiero che in molti trattati.

La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot - Porthos Edizioni

APPUNTI DI MATTEO
2002 – La decadenza piena di vita della spiaggia di fine estate, l’evocazione è chiaramente marina, più di tutte le altre annate. Il sale che diventa setoso di levigatura. Delicato sul finire, chiosa alla maniera di Sabicas, armonia rallentata.
2003 – La concretezza del calore, si percepisce senza bruciare ma con un peso avvertibile. Fiori lanciati in aria misti a bucce di agrumi. Sembra il luminoso caos dei Flaming Lips.
2004 – L’integrità matura di una sfera-frutto che si allarga e comprime tutto, riempie gli angoli acuti che ha in sé. S’innalza, con aria vanesia, per niente dispiaciuto di essere più rigido degli altri.
2005 – Linea vegetale, un tagliaerba che va a distillato. Quanta energia ben spesa! Ha la sua gradualità, è tonico di stabilizzazione ossidativa, oltre a possedere un finale affumicato, delizioso e inspiegabile come Captain Beefheart.
2006 – La sottigliezza che ti colpisce nel profondo. L’acidità è quanto mai sferzante ma così ben inserita all’interno di un quadro dolce e organico, chiaro, vaporoso, che non si cristallizza mai.
2008 – Il sapore è buono come una zuppa di radici e zucca; acqua e terra. Carnoso e fresco. Ha la capacità di attrarre, d’interrogare su come un vino con questi gradi alcolici possa essere anche dissetante e ristoratore. D’estate, lo taglierei con l’acqua fresca.
2010 – Seducente e furente, parole in rima dai significati lontani. E vicini quando appartengono a un essere unico nel quale queste parti “adolescenti” contrastano e costruiscono una personalità spiccata, giovane e matura come quella dell’album d’esordio dei Led Zeppelin, quando cantavano un motivo dal sapore così antico: You shook me.
2009 – Facile dire: ‟Grande promessa, lo assaggeremo tra cent’anni per quanto è chiuso in questo momento″. Il punto è che si tratta di un vino che sembra non conoscere tenerezza e serenità. Tra un secolo, lo troveremo ancora col guantone in mano, pronto a rifiutare chi lo disturba. No, non sarà così. Io lo berrei già ora, chiaro e univoco, salato e incontrovertibile com’è.

Per dare completezza a questo servizio, vi offriamo le schede dedicate a due vini di Robinot pubblicate su Porthos 27 e 28, nell’ambito dei servizi sui “naturali di Francia”.

L’Opéra des Vins – Jean-Pierre Robinot
Vin de Table de France Lumière de Silex 2003
Dorato caldo con un accenno verde. Naso altrettanto fervido, inequivocabile la partecipazione dell’ossigeno alla costruzione del bouquet, per un bel pezzo rimane legato a sentori morbidi e non fa trapelare alcuna delle sue innumerevoli linee minerali. In bocca è voluttuoso e articolato, l’acidità emerge al momento giusto e concede allo sviluppo respiro e slancio da bianco di grande classe; è paradossale che la matrice cristallina del terroir sia più viva qui, nonostante l’annata 2003, che nelle versioni originate da stagioni dal maggiore equilibrio climatico.
+ È uno Chenin dedicato a chi predilige la lentezza, a chi non teme i tempi talvolta esasperanti che il bianco della Loira si prende per rivelare la sua verità, ma soprattutto a chi ha imparato a gestire le proprie aspettative. Sconsigliato a chi mal sopporta anche il più debole segnale ossidativo. L’Opéra des vins è una linea che include alcuni Jasnières e Vouvray del proprietario del Domaine de l’Ange Vin. Questo vino era fino al 2002 uno Jasnières, non stentiamo a credere che abbia avuto qualche difficoltà a far accettare alle commissioni per l’assegnazione dell’AOC una fisionomia così diversa dalle loro paludate abitudini. I vini di Robinot fanno parte di quel diradato ma tenace zoccolo duro dei vini del Loir, fiume che scorre nel dipartimento della Sarthe (capoluogo Le Mans): una regione “limite” dedita ai cereali e all’allevamento e dove pensare al vino ha un che di paradossale. Invece, come diceva il gastronomo Curnonsky, tre volte per secolo, lo Jasnières è il più grande vino bianco di Francia. L’indolenza di questo bianco fa felice un piatto invernale, come un gratin di finocchi a base di gruyère stagionato.

Les Vignes de l’Ange Vin – Jean-Pierre Robinot
Jasnières «Le charme du Loir Cuvée Spéciale» 2003
Colore dorato con una delicata velatura. Naso segnato dal rovere per almeno dieci minuti dall’inizio dell’assaggio, questo tono dolciastro si stempera per avviare finalmente l’uscita di una fervida e sulfurea mineralità, il suo sentore di pietra focaia dovrebbe essere usato come esempio nei corsi; il bicchiere gratifica la complessità odorosa e, nonostante il timbro caldo del millesimo, il vino tira fuori la matrice territoriale come pochi sanno fare. In bocca è suadente, cremoso, il sapore acido ha un ruolo di secondo piano, è la salinità minerale a dare lunghezza allo sviluppo, la fibra dello Chenin appare affaticata dall’esito stagionale e per questo l’epilogo non può avere vibrazioni memorabili; rimane un senso di morbida compostezza.
+ Anche nelle condizioni non ideali dell’annata 2003, il vino di Robinot mostra i suoi attributi migliori e salva l’originale identità che l’ha reso celebre; con questo Jasnières è necessaria sempre molta pazienza per scoprirne la pregnanza.
– L’impatto odoroso sovrastato dal rovere e la semplicità delle sensazioni finali sono gli elementi che lo rendono inferiore alle sue eccellenti possibilità; col vino di meglio non si poteva fare, ma col prezzo sì, costa 60 euro. La vellutata corposità rende questo inusuale Chenin adatto a una minestra di cosce di rana, patate e crescione, rifinita da una macinata di pepe bianco.

La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot - Porthos Edizioni

Come il frutto si fonde in godimento,
Come in delizia volge la sua assenza
In una bocca in cui la forma muore,
Io fiuto qui il mio futuro fumo,
E il cielo canta all’anima consumata
Il volgersi delle rive in rumore.
Paul Valéry