La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot - Porthos Edizioni

La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot

La verticale della Cuvée Juliette
Con Jean Pierre abbiamo scelto una sequenza quasi lineare: 2002, 2003, 2004, 2005, 2006, manca la 2007, si passa alla 2008 e infine c’è un’inversione tra la 2010 e la 2009. Quando sento nominare queste vendemmie mi tornano in mente ricordi importanti: nel maggio 2002 incrocio, in una libreria di Parigi, L’Angevin di Jean Pierre Robinot, un testo decisivo per la mia comprensione del rapporto con il vino naturale. In quei giorni andavo a intervistare Nicolas Joly, ricordo che entrai in questa libreria conosciuta come una delle più importanti per i testi sul vino e sulla viticoltura. Non cercavo un atlante, una guida, un catalogo di vitigni e vini, piuttosto qualcosa che mi parlasse del vino e non di etichette, ettari e rese per pianta. Avevo un’altra, forte urgenza: Porthos era nato da due anni o poco più, il mio percorso Slow Food era giunto alla fine e sentivo il bisogno di riflettere sulla possibilità che il vino fosse davvero un mezzo di conoscenza.
Ancora ricordo quando in mezzo a quei volumi spessi trovai la copia scalcagnata e un po’ mangiucchiata de L’Angevin. Quel giorno fu memorabile come la vendemmia di quello stesso anno, la 2002, considerata ancora oggi una delle annate più complete di questo primo scorcio di secolo.

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Sandro: Le prime tre annate, 2002, 2003, 2004 rientrano nella denominazione Jasnières. Hai deciso di uscire dalla denominazione per “rientrarci” con un gioco di parole, scrivendo in etichetta Jeane y erre – Vin de Table. Perché si chiama Cuvée Juliette?
JeanPierre: È il nome di mia figlia.
S.: È la Cuvée principale della tua produzione?
J.P.: Sì, è il Grand vin della mia produzione.
S.: Perché puoi considerarlo tale?
JP.: Questo vino nasce da una severa cernita: al momento della vendemmia scelgo i vigneti più vecchi, i territori migliori, e soprattutto le uve che hanno maturato il più possibile nel vigneto.
S.: Dunque si tratta delle ultime uve raccolte?
JP.: Si tratta degli ultimi grappoli. Se non c’è la qualità necessaria, la Cuvée Juliette non si fa. È il caso della 2007, durante la quale c’è stato un forte attacco della peronospora.
S.: O della 2011… Ti chiedo ancora: di solito gli acini sono attaccati dalla muffa nobile?
JP.: Questa Cuvée è sempre prodotta con la muffa nobile.
S.: Aggiungi anidride solforosa in qualche fase della produzione?
JP.: Nella 2004 ne ho messa uno o due grammi come nella 2006, niente nelle altre annate.
S.: Allora… Chenin, muffa nobile, vecchie viti e ultime uve a essere raccolte. La pressatura è soffice?
JP.: La vinificazione avviene con pressatura soffice molto lenta, un ciclo dura sei ore.

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S.: Quando porti a casa uve così mature, è inevitabile che una parte dei polifenoli arrivi nel succo e nella polpa. Non essendoci macerazione sulle bucce, questi colori derivano sostanzialmente dalla Botrytis, una “demolitrice” di sostanze polifenoliche. È interessante notare come i vini da muffa nobile più buoni debbano essere solfitati per evitare di assumere un colore “ossidato”. Ho avuto la fortuna di assistere alla vinificazione a Château d’Yquem: il vino aveva un colore “terribile”, era impossibile immaginare come potesse trasformarsi in quello che siamo abituati a vedere. Senza l’aggiunta di solforosa il vino è esposto. La cosa importante, è che le sostanze accumulate durante la fase di maturazione dell’uva e cedute durante quella del pressurage, si sostengano fra loro. Già nei primi quattro vini si può notare come queste sostanze siano più libere. Con l’eccezione del 2004, per sua natura in difficoltà a causa dell’impressionante caldo di quell’anno, gli altri hanno luminosità ed eleganza.
Pubblico: quello che mi piace della 2003 è l’acidità.
S.: Certo, non possiamo negare che sia la costante di questi vini. Quanto tempo passa il vino nelle barrique?
JP.: Da un minimo di ventiquattro mesi per arrivare fino ai sei anni della 2005.
S.: In questo momento ci sono dei vini ancora non in commercio?
JP.: il 2009 e il 2010, come si può notare. Sono ancora en cuve, le ho imbottigliate per voi.
S.: Grazie, Jean Pierre, non è scontato che un produttore abbia il coraggio di portare dei vini in fase di trasformazione.
Pubblico: Come decide il tempo del vino nelle barrique?
JP.: È il vino a decidere, non io. Richiedono molto tempo e fino a quando fermentano, rimangono nelle barrique. Poiché la vinificazione avviene in una cantina sotto terra, alla temperatura costante di 10-12° C, la fermentazione è molto lunga.
S.: Con l’aiuto della tecnologia possiamo riprodurre una fermentazione a questa stessa temperatura. È la stessa cosa o stare in una cantina sotto terra è differente? La domanda è retorica per introdurre l’argomento della fermentazione con la temperatura controllata. Quando ero ancora alunno dell’AIS, mi spiegavano che i lieviti vivevano meglio in un ambiente confortevole, proprio come io lavoro meglio con l’aria condizionata. Osservando i vini che fermentano lentamente nelle cantine a 10-12°C, mi sono reso conto che riescono a incamerare e a sintetizzare meglio i profumi. A differenza dell’acciaio, il legno non assorbe e non disperde. Il minor rapporto volume-superficie e la temperatura della cantina permettono una fermentazione a temperatura controllata del tutto naturale.
JP.: Mi sembra importante rilevare che non faccio nessun travaso fino alla mise en cuve. Posso fare qualche rabbocco, solo se necessario.
S.: Quindi fermentazione e maturazione nelle barrique avvengono nello stesso ambiente. C’è un altro elemento da considerare, alla luce della seconda batteria: la fermentazione malolattica.
JP.: Non ho fatto le analisi dei vini del 2009 e del 2010. Tramite la degustazione organolettica posso capire se sta avvenendo.
S.: Com’è il vino durante la fermentazione malolattica?
JP.: Non sempre mi piace…
S.: … perché non è detto che tutto l’acido malico sia consumato?
JP.: Prima della mise en cuve faccio fare le analisi, per essere certo della situazione generale. Se c’è malico ancora da svolgere, spero si riavvii dentro le vasche di vetroresina.
S.: Ma tu ricerchi la fermentazione malolattica?
JP.: Sono consapevole che la natura la avvii da sé, quindi non ho bisogno di favorirla.
Pubblico: Sento una scia ferrosa nell’annata 2002: è possibile sapere qualcosa dei suoli?
JP.: Ci sono terre rosse e silicee, con presenza di calcare. Jasnières era una zona ricoperta dal mare.
Pubblico: Sono rimasto perplesso dall’importante residuo zuccherino del 2009 e dal suo colore.
S.: Il residuo zuccherino è presente anche nella 2010, l’aspetto interessante è come il colore nella 2009 torni a essere incredibilmente chiaro…
JP.: La 2009 è stata un’annata segnata da fenomeni particolari. Questi sentori d’idrocarburi che si ritrovano nel vino, sono emersi anche in altre realtà. Un fenomeno naturale non spiegato da un’annata ottima. Il motivo di aver invertito gli ultimi vini, è che il 2009 ha più bisogno di tempo prima di “arrivare”, è una grandissima annata ma molto diversa dalla 2002.

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Pubblico: Il 2006 lo sento più profumato di tutte le altre annate…
JP.: L’inizio della stagione non è stato bello, ma verso la fine è tornato il bel tempo e si è arrivati a una maturazione adeguata.
S.: Nella 2006 si percepisce maggiormente la presenza della solforosa. Anche se il grado di ossidazione è sensibile.
JP.: L’ossidazione è un sintomo di vitalità, ecco perché non mi preoccupa. Questa non è una sensazione ricercata ma è nella naturalità, lì dove non c’è niente che protegge.
S.: Avete notato come, almeno in tre di questi vini, sia determinate la volatile per trascinare tale materia? Stiamo parlando di vini che viaggiano tra i 15 e i 16 gradi di alcol.
Pubblico: Qual è l’annata che ricorda meglio?
JP.: La 2002, è stato il primo anno e ho imbottigliato e tappato tutto a mano. Ne ho lasciate per me ottanta bottiglie di seicento prodotte. Mia figlia all’età di due anni ha fatto la sua prima etichetta ed era proprio dell’annata 2002.