26 Giu La verticale della Cuvée Juliette di Jean Pierre Robinot
La degustazione si è svolta grazie alla partecipazione di diversi soggetti. Innanzitutto il Consorzio ViniVeri, nelle persone di Gianpiero Bea e di Paolo Vodopivec, poi Raffaele Bonivento attraverso Meteri, la sua creatura dedita alla distribuzione di produttori della Loira votati alla naturalità. Determinanti alla riuscita dell’evento sono stati Mercedes Parlascino e Giuseppé, l’amico parigino di Robinot, che hanno fatto da interpreti. E poi Jean-Pierre, produttore dalla sensibilità unica e straordinario intrattenitore.
Alla stesura del pezzo hanno contribuito Erika Rampini e Matteo Gallello.
Il mio è un rapporto viscerale con lo Chenin della Loira. Non è facile spiegare quanto possa essere emotivamente coinvolgente rispetto agli altri vitigni di talento come il Riesling, il Nebbiolo e il Pinot Noir. Il vitigno del “fiume reale” non ha un profilo odoroso spiccato, non si pone in modo accattivante, il suo essere magnetico arriva nel profondo. Lo Chenin si manifesta in maniera discreta, è uno di quei vini che, nonostante il cambiamento tecnologico e i miracoli dei lieviti, è quasi impossibile da carpire in gioventù, quando è particolarmente introverso. Questa dimensione è la sua unicità.
La Loira e il vino naturale
Perché nella Loira c’è una così forte presenza di produttori “naturali”? Il mio primo viaggio in questa regione risale al 1987. Il legame fra viticoltore e vino, in questa terra, si basava su un rapporto quotidiano, più sommesso rispetto ad altre zone vinicole. Fu magnifico incontrare persone simili a Jean Pierre. Avevano in mano qualcosa di preziosissimo, senza alcuna pretesa di allargamento commerciale. Lo Chenin della Loira ha aperto la testa a moltissimi viticoltori del mondo e non solo in Francia. Se non fosse stato per alcuni Chenin naturali, la Romanée Conti, per esempio, non avrebbe mai cominciato a pensare di produrre in biodinamica. Questo vitigno ha un’inclinazione innata alla viticoltura naturale. Quando ho cominciato a conoscerlo attraverso la Coulée de Serrant del 1970, assaggiata nel 1985, il vino della famiglia Joly era considerato uno dei bianchi più buoni di Francia: ricordo quel colore giallo tra paglierino e verde chiaro, l’acidità furibonda. Noi appassionati vivevamo come un sogno quel modello di vino perché, in Italia, non potevamo immaginare neanche lontanamente sensazioni così acide e odori chiusi, impenetrabili… In questo momento, immagino quella Coulée del ’70, così bella e cristallizzata, frantumarsi in mille pezzi. Quel liquido splendente quanto statico, già allora inossidabile, raccoglie ancora oggi tanti consensi; ma si tratta solo della pietrificazione di un fermentato. I vini della famiglia Joly avevano una buona dose di solforosa e l’acidità non aveva un rapporto sano con il resto del vino, badavano soltanto a conservare questa identità. Oggi i Savennières di Nicolas Joly hanno una vera armonia tra le parti, l’acidità non bada a se stessa e interagisce con tutta l’impalcatura del liquido; esattamente come succede ai migliori Chenin. Una delle cose che sento quando assaggio lo Chenin riguarda il suo essere generoso al di là di potersi mostrare più o meno introverso. È come in quei film nei quali c’è l’ufficiale giovane, fresco d’accademia che non riesce a tenere in mano il controllo della situazione: a dirigere gli uomini è il sottoufficiale, il famoso sergente maggiore, come ne La sottile linea rossa di Terrence Malick. Lo Chenin è veramente un grande sergente maggiore rispetto agli altri vini importanti del mondo. Si è fatto avanti per primo, come se avesse qualcosa in meno da perdere. Riesling, Nebbiolo e Pinot Noir hanno un coté aristocratico, il Pineau de la Loire, l’altro nome dello Chenin, ha un cuore incredibile, è un vino che non riceve il massimo dei premi ma tutto quello che ti lascia dentro rimane indelebile.
Robinot, Jasnières, Valéry
Il gastronomo Curnonsky sosteneva che tre volte per secolo lo Jasnières è il più grande vino bianco di Francia. Negli ultimi anni possiamo dire che lo è stato un po’ più spesso. Cercheremo, attraverso i vini e con l’aiuto del signor Robinot, di scoprire cosa contiene uno Chenin “fuori dal tempo”: sembra una di quelle entità in cui tutto accade senza poter individuare un inizio. Noterete come il flusso dei vini, la loro capacità di donarsi, è un movimento continuo, sinusoidale, infinito.
Paul Valéry ha scritto sul rapporto tra Forma e Verità, sulla relazione tra l’uomo e la natura, o meglio, tra l’uomo e il suo disperato tendere a riprodurre la bellezza della natura. Ci sono dei passaggi interessanti, al di là dal vino e dalla viticoltura, peraltro non presenti.
I prodotti della natura, si accrescono in modo tale che la materia onde sono fatti, le forme che assumono, le funzioni che consentono, i mezzi da essi posseduti per comporsi nello spazio e nelle stagioni risultino fra loro invisibilmente legati da segreti rapporti; e forse appunto questo vogliono dire le parole prodotto della natura.
L’artigiano non può compiere il suo lavoro senza violazione o turbamento di un ordine, mediante forze da lui applicate alla materia per renderla adatta all’idea di imitare e all’uso previsto. È però fatalmente condotto a produrre oggetti che nel loro insieme sono un grado inferiore a quello delle parti.
Sostengo che il vino è una forma d’arte, non perché il produttore è un’artista. Certo, Jean Pierre ha effettivamente delle capacità artistiche, ad esempio scrive molto bene e crea le stravaganti etichette dei suoi vini. Tuttavia l’arte si trova nel vigneto e nei luoghi della vinificazione. Il compito più alto per un produttore è essere custode, condurre il vino, un’invenzione umana. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi se tutto quello che conosce in merito alla degustazione del vino abbia un valore consolidato. Bisogna cominciare a riflettere seriamente sul significato dell’assaggio. Scrive ancora Valéry:
Ove l’artigiano costruisca una tavola, l’intero mobile possiede una struttura molto meno del tessuto delle fibre del legno: egli avvicina grossolanamente, e in un certo ordine innaturale, i pezzi di grande albero che si erano formati e sviluppati secondo altri rapporti.
Quest’ultima riflessione può essere una risposta alla domanda: «Il vino naturale ha anche una corrispondenza etica?» Ancora Valéry:
Solo a una rigorosa sincerità è permesso di svelare un barlume di quel mistero che tiene uniti i nuovi mondi, e può rendere autentica anche l’opera dell’uomo.