“Laddove mancano i nomi e le canzoni per raccontarli, manca la vita”

Di fronte a me un’altra collina con un piccolo santuario e alla sua destra la collina dove nasce il Montebuono mentre a sinistra, nascosta alla vista, il Barbacarlo. Non c’è nessuno nei paraggi, qualche insetto e il profumo di erba falciata.
Faccio ritorno verso la casa di Lino, lo trovo nell’ufficio seduto tra le carte a fumare una sigaretta. «Allora!» mi fa, «sto aspettando delle persone che hanno detto che venivano alle 15, vediamo».
Mi siedo difronte alla scrivania leggendo le parole dei biglietti appesi alle pareti mentre Lino mi parla della storia, di Pertini, di papa Montini, di Napolitano («Il suo vino costa troppo». «Lei pensi a fare il suo lavoro»), Saragat, Mike Buongiorno, Brera («Un vino che pulisce la lingua del fumatore è un vino centrato») e Veronelli… Cossiga («Lui beveva Coca Cola»)
Le sue idee sono intangibili, il suo modo è la sua via ben chiara e le domande di cambiamento cadono inesorabili nella loro mancanza di senso.
Nel 1992 decise di non imbottigliare e Veronelli venne con l’enologo di Frescobaldi per sondare le sue ragioni: «Ha mai pensato di uniformare le sue annate con una correzione rettificata?».
I clienti americani gli chiedono se può cambiare le sue etichette aggiungendo che il vino nuoce alle donne in gravidanza, mentre c’è chi si propone di fargli le etichette gratis.
«Faccio un vino per decantazione con sette travasi. La luna è fondamentale. Bisogna volerci bene alle cose, alle viti, potarle in luna vecchia, nell’ultimo quarto e travasare perché i liquidi sono più stabili».

Le 15:30. «Vuoi un altro bicchiere che poi ti porto in cantina?».
Bevo l’ultimo bicchiere di Barbacarlo 2011 poi saliamo sulla Panda e andiamo verso la cantina.
Entriamo da un cancello dove ci sono quattro lettere, MAGA. Due ettari di prati e cantina, oche, anatre, conigli, galline, galli e cani.
Conosco il figlio Giuseppe che sta lavorando in uno dei campi, gli stringo la mano e lo guardo negli occhi. Il suo fare è pieno di energia.
Le grandi botti di legno portano ciascuna un nome, soprattutto di donna, Lino cammina con lentezza e mi mostra lo stucco che fa arrivare dalla Liguria, le stoppe provenienti dal Friuli e le scope in saggina e crini di asino che personalmente mette insieme per pulire l’interno delle botti.
«Ho avuto e ho molte soddisfazioni e da questo trovo la forza per andare avanti. Pochi hanno subito quello che ho subito io. Ho sopportato tanto ma vado dove voglio io. Bisogna proteggere, aiutare a proteggersi. Quando sono nel vigneto mi sembra di avere tutto quello che mi serve. Anche se la terra è povera, ti dà da mangiare. Adesso però te la mangiano gli altri».
Alla fine, mi accompagna in stazione, per il treno delle 17:02 e mentre siamo per strada provo una forte tenerezza per i settanta all’ora tenuti in seconda così come faceva mio nonno e ripenso a La storia infinita di Ende e a Le vie dei canti di Bruce Chatwin: “Se non canti una terra, se non continui a raccontarla e a sognarla essa scompare nel nulla”.


Il commento del nostro Marco Durante dopo la lettura dell’articolo:

Il pezzo ha un bel ritmo. Manca il vino secondo me, ma capisco la scelta.
È che le parole di Maga sono un disco rotto e i suoi vini no (o forse sì?) e io tutta ‘sta retorica sui vignaioli come i nuovi poeti comincio a sentirla stretta.
I loro vini, forse, sono “poetici”, ma le loro parole sono sempre più ripetitive, reazionarie, ideologiche, difensive.
Detto questo, passo la maggior parte del tempo “liberato” a parlare con i vignaioli e forse il mio disappunto (che non è quello della maggior parte degli appassionati) nasce proprio dall’averli “esauriti”, dall’aver prosciugato anche la loro vena.
E ora ne serve un’altra.
Serve sempre il Carso, chissà perchè. Perchè il Carso è un problema mio, è un’ossessione mia.
Ecco forse per questo; come certamente a qualcuno servirà l’Ipercoop. O le Langhe o Pogba.
Il vino è un detonatore, perchè apre spazi nuovi, nuove cave, nuove miniere.
Chi usa i detonatori in posti chiusi, bene che va muore soffocato dalla polvere.
 
P.S.: Commento non richiesto, ma stava lì. Appollaiato sulla cima dell’esofago.