“Laddove mancano i nomi e le canzoni per raccontarli, manca la vita”

«Non ho più niente da imparare, io vado avanti». E inizia a parlare della sua vita accendendosi una sigaretta dopo l’altra e mi si riempie il cuore e tutto il resto di commozione. Un tremito di fronte alla sua lentezza e al suo silenzioso fare che a tratti si fa parola e movimento.
A volte il telefono nel piccolo ufficio squilla, lui si alza e va a rispondere, poi torna e mi dice che non sa come fare a sistemare tutte le carte che ha sulla scrivania, fatture, lettere di clienti, fax. «Non so da dove cominciare, ho chiesto a mio figlio di portare via il computer che mi impiccia solamente…».
2002, un altro assaggio.
«Sono un uomo dell’Albero degli zoccoli, perché non possiamo tornare all’agricoltura?».
«Mi vogliono bene in tanti e questo mi fa andare avanti», poi mi guarda e mi dice forte «Eh?», come volesse marcare qualcosa di profondamente vero.
«Vorrei dedicarti l’intera giornata ma come si fa? Non posso prendere la macchina perché non ho la patente e certe cose sono difficili da digerire».
Poi si avvicina a una bottiglia che porta in etichetta l’anno 1983 e me la versa nel bicchiere. «Questa è un mese che l’ho aperta, forse è un po’ ossidata».
Si accende un’altra sigaretta e si alza spostandosi verso la vetrina.
«I giapponesi educano i ragazzi a bere bene» e mi mostra alcuni fumetti dove, tra le altre, ci sono pagine di pubblicità a bottiglie di Romanée-Conti e di Barbacarlo».

E sempre quando finisce la frase mi rivolge il suo forte e fatale «Eh!».
E mi parla dell’origine del nome Barbacarlo, della lotta giudiziaria durata 23 anni per consentire che il cru restasse appannaggio dei suoi vigneti senza estendersi ad altre 45 parcelle sparse per l’Oltrepò Pavese. (scarica e leggi l’articolo da Porthos 15)
«Ho trovato un avvocato che ha rinunciato alle donne, al soldo ma non al vino».
«Sentivo di avere ragione, è per questo che ho fatto questa causa».
«Nessuno difende il proprio terreno, la propria terra».
Gli chiedo allora cosa manca perché i contadini si organizzino e facciano comune impegno verso il territorio.
«Il credo. Iniziano a dire che così è sconveniente, che è difficile vendere e che non è la soluzione migliore… poveri contadini».
Ci risediamo, mangio una fetta di salame mentre lui si accende l’ennesima sigaretta.
Le 11:30 e penso dentro me che è giunta l’ora di togliere il disturbo. Chiedo a Lino se mi può vendere qualche bottiglia. «Cosa volevi?».
Gli dico un cartone di Barbacarlo con una bottiglia di Montebuono.
Ci spostiamo nel magazzino che è pieno di cartoni e di altre bottiglie sugli scaffali e polvere. «Faccia lei, mi metta quello che vuole e se c’è una bottiglia del 1990».
Lo osservo nella calma dei movimenti poi gli chiedo se posso lasciare il cartone e venirlo a prendere dopo pranzo verso le 15.
«Ti accompagno alla trattoria allora».
Usciamo in cortile e saliamo su una Panda 4×4.
In macchina gli chiedo dove sono i suoi vigneti e lui mi dice che sono lontani e che vorrebbe portarmici ma non può.
Mi lascia subito dopo l’ospedale, di fronte alla trattoria L’Agape, chiede alla cameriera se c’è posto per me e poi prima di ripartire mi indica una via, la via Recoaro, dicendomi «Ecco, seguendo la via puoi salire ai vigneti, ma sono lontani…».
Ci stringiamo la mano e lo ringrazio della sua gentilezza.
Dopo il pranzo mi incammino salendo per la via Recoaro e vedo i vigneti in alto sulla collina a destra. Lascio l’asfalto e comincio la salita tra l’erba umida e il terreno scivoloso.
Raggiungo la sommità della collina e mi aggiro per i vigneti che stanno germogliando.