27 Nov Miniature di dicembre 2012
Finalmente…
… abbiamo di nuovo il nostro sito. È stata una rincorsa lunga e faticosa, ma crediamo sia valsa la pena aspettare. Abbiamo scelto di conservare la piattaforma precedente, Joomla, perché è quella che meglio si adatta alle nostre esigenze e alla grande quantità di contenuti che ci portiamo dietro da dodici anni. Yayamedia, il partner che abbiamo scelto per gestire questo passaggio evolutivo da una versione ormai obsoleta e poco sicura alla più recente, sta lavorando alacremente perché tutto vada nel modo migliore e nel tempo più veloce possibile, tuttavia ci vorrà qualche giorno per rimettere tutto in linea e ogni osservazione di chi ci segue sarà preziosa per aiutarci a fare bene. Scrivete a porthos@porthos.it. Cercheremo di sfruttare le potenzialità multimediali offerte da Joomla, lavorando sul materiale didattico e sugli eventi che il progetto “Porthos racconta…” continua a programmare. Non sarà semplice, perché si tratta di strumenti e linguaggi a noi meno consueti, ma non per questo meno affini come dimostrano alcune piccole cose già pubblicate sul nostro canale di Youtube.
La scrittura rimarrà il nostro punto di riferimento. E così sarà anche per la tempistica. Ci piacerebbe essere assidui e darvi ogni giorno qualcosa di interessante da leggere, tuttavia preferiamo essere maggiormente selettivi e arrivare quando ci sentiamo pronti. Da parte nostra eviteremo di ambire ogni volta a voler scrivere pezzi indimenticabili, imparando, finalmente, a convivere con l’umana fallibilità. Speriamo di non deludervi.
Anzi, statene certi, non vi deluderemo. Continuate a seguirci.
Il forum di porthos.it non è più attivo. Purtroppo le difficoltà che ci hanno costretto a tenere fermo il sito per alcuni mesi sono dipese proprio dalla vulnerabilità del forum. I tecnici hanno provato a salvare i contenuti ma sono quasi irrecuperabili. Così, per ora, vi abbiamo rinunciato. Appena il sito si sarà assestato, faremo un altro tentativo, chissà che non riusciremo a riprenderci i post e le discussioni più interessanti. Domando scusa a tutti coloro che hanno partecipato al forum sin dall’inizio e alle persone che attraverso il forum hanno conosciuto Porthos.
L’occasione
Durante la preparazione di un seminario dedicato al rapporto tra Pinot Noir e Chardonnay in Champagne, pensavo a quanto il popolo francese senta proprio il vino, a quanto appartenga alle persone sin dalla nascita, anche quando da grandi si ritrovano a ingurgitare liquidi di infima qualità. Insomma è da sempre un loro “possedimento” culturale e non perdono l’occasione di farlo pesare, in un modo che talvolta sfiora l’arroganza.
Tutto ciò all’Italia non è ancora riuscito, nonostante un confronto qualitativo alla pari e un corredo storico e di varietà indiscutibilmente più profondo. Le ragioni saranno molte, o forse solo una, chi può spiegarlo con precisione? Per quanto mi riguarda, non sono affatto certo di poter risolvere tali dubbi ora, o in questa vita. Mi piacerebbe, e magari ci proverò, ma per ora posso solo riflettere su quello che ho vissuto in prima persona e del quale mi sento piuttosto sicuro. Credo che chi avrebbe potuto mediare questo passaggio aiutando le persone a diventare più consapevoli ha fallito miseramente. Intendo in senso culturale. E mi riferisco alla generazione di enologi, sommelier, critici, giornalisti e intellettuali che dai primi anni ottanta lavorano nel settore del vino. Porthos si è da subito distinta per essere controparte attiva del cittadino consumatore in modo che quest’ultimo, fino a quel momento «vittima inerme di un sistema più grande» si rendesse conto di quanto potere avesse e di quanto fosse urgente formarsi una consapevolezza solida e immune alle mode. Tuttavia, è impossibile non notare che le resposabilità di chi acquista, e spesso si fa guidare come se fosse sprovvisto di sensi propri, non siano sufficienti a spiegare questo fenomeno di cronica insufficienza culturale, ancora più sensibile e inspiegabile in un periodo molto positivo come quest’ultimo trentennio. Credo che chi ha vissuto di vino avrebbe dovuto e potuto far tracimare il liquido odoroso dal suo alveo e consentirgli di allagare campi e campi diversi, facendo filtrare ciò che davvero significa essere una nazione enofila. Il nostro modestissimo, sia per ragioni di minima diffusione sia per ragioni oggettive, tentativo di tenere insieme il vino ad altri mondi è stato spesso visto come uno slancio elitario, una sorta di mal celato intellettualismo di ritorno. E invece, con tutti i difetti che può aver avuto e avrà, il lavoro di Porthos vuole far capire l’importanza di alzare la testa e abbandonare per un po’ le schede, le classifiche, i punteggi, le domande ai produttori o i premi, le diatribe su quella bottiglia o su un’altra, provando a far specchiare ognuno di noi nel vino e leggere chi siamo e cosa vogliamo. La poesia, la musica e l’arte figurativa, i parallelismi evocativi e la sensualità carnale che il vino riesce a trasmettere non possono essere incasellate in una scheda. La narrazione ha bisogno di persone dal cuore grande e con aspirazioni alte, in modo che l’epica e il mito di un liquido non siano tali per il prezzo o per una costruzione fittizia – i famigerati vini trofeo – ma penetrino nel sangue delle persone. Il Cirò nei calabresi e il Terrano nei carsolini, solo per fare due esempi.
Quello che vedo e leggo è un desolante tentativo di controllo del vino da parte di persone che non sanno di poterlo leggere e raccontare diversamente, così si accontentano di sistemi collaudati e ormai consunti. Intanto l’alveo si asciuga. Per far sì che il vino raggiunga altri ambiti e finalmente diventi un patrimonio condiviso, faccia parte del senso comune delle italiane e degli italiani, bisogna avere il coraggio di sfidare anche il senso del ridicolo. È un rischio da correre, altrimenti questo meraviglioso nutrimento spirituale rimarrà lì, immobile. Circondato da persone che si lamentano perché non si muove più.
«La vita spirituale è come un triangolo stretto diviso in sezioni disuguali che tende verso l’alto. Ovunque siamo, il triangolo si muove sempre impercettibilmente verso l’alto. Qualche volta al vertice c’è un solo uomo, il suo sguardo è sereno come la sua immensa tristezza. Quelli che gli sono vicini non lo capiscono, irritati lo definiscono un traditore o un pazzo. Così disprezzarono Beethoven che visse solo. Weber disse della Settima Sinfonia: “Le stravaganze di questo genio hanno raggiunto il colmo, Beethoven è pronto per il manicomio”.
Ma l’artista deve guardare oltre la sua sezione di triangolo, deve essere un profeta che aiuta a muovere il carro inerte. Per questo sarà solo. Se invece non avrà questo occhio acuto tutti lo celebreranno».