Siamo fritti

Da qualche anno, ormai, faccio vita ritirata. Esco poco, parlo poco, leggo poco. Di quando in quando, trovo ancora il tempo per pranzare con il mio avvocato, che mi regala buonumore senza emettere fattura. Mi ritengo molto fortunato, perché il mio avvocato è una bella ragazza, generosa e intelligente. Inoltre, ha un gran senso dell’’umorismo.

Se non fosse così, non mi avrebbe regalato il libro scritto da Mario Giordano, “Siamo fritti”.
Incuriosita dal titolo e dalla copertina, l’’ha comprato pensando subito a me. E così, in una bella giornata di gennaio, sono tornato a casa ansioso di leggere quell’’inquietante volume bianco e nero, metafora del contrasto fra purezza e nefandezza. Non mancano, per la verità, tracce di rosso sapientemente disposte, forse a suggerire che quando la lama affonda, il sangue non può che sgorgare.
La lama, ovviamente, è il coltellaccio di Giordano, che si prefigge di inabissarsi nel pus maleodorante che circonda il cibo. La premessa è quella ormai consueta: di cibo si parla troppo, ma non come si dovrebbe. Ȓ questa la mission dichiarata del libro, svegliare le coscienze dall’’ottundimento mediatico, sollevare i veli che nascondono ai consumatori le scelleratezze compiute sui cibi, mettere alla berlina i falsi profeti e via di questo passo. Indossando i panni dell’’uomo semplice, Giordano passa al tritacarne gli argomenti più diversi, senza risparmiarci nessuno, o quasi. Non risparmia neppure le sue spiritosaggini, che, in mezzo a tante brutte notizie, sono una crudeltà in più per il povero lettore, in questo caso io.
In realtà, qualcuno la passa liscia, facendo pensare a una certa monodirezionalità “schierata” degli attacchi, che a volte sconfinano nel becero. Cucina etnica ed assessori, guide, ristoranti, agriturismi, industria alimentare e diete, tutti nel tritacarne, in uno sforzo enciclopedico degno di Wikipedia. Peccato che tutto resti in superficie, fra tracce d’’autarchia e luoghi comuni da bar dello sport, inutilmente ingentilito da note finali in cui compare la famiglia dell’’autore, ultima pennellata al personaggio “normale”, di buon senso, il figlio di mamma che non si lascia irretire dalle mode ma resta attaccato a valori solidi come il pane e salame. Insomma, la lama affonda, ma il sangue che sgorga è succo di pomodoro, come nei western-spaghetti. E parlando di cibo, c’’è uno in più che ci mangia.