Gli Ignoranti di Etienne Davodeau - Porthos Edizioni

Storia del fumetto – Dialogo tra Sandro Sangiorgi e Sergio Rossi

I puntata

a cura di Elisa Pantaleoni

Gli Ignoranti di Etienne Davodeau - Porthos Edizioni

 
Biblioteca Delle Nuvole
, Perugia

 

Sandro – L’idea è questa: io scrivo quello che ho imparato da te sui fumetti e tu scrivi quello che hai imparato da me sul vino. Facciamo come nell’opera di Davodeau, Les Ignorants, in cui il fumettista e il viticoltore Leroy si scambiano le proprie esperienze lavorative e di vita. Prima di Les Ignorants c’è stato qualche fumetto sulla viticoltura?

Sergio – Pochi. In Francia c’è una serie giapponese, Le goût de Dieu, un successo strepitoso che parte da un manga.

Sandro – Sì, in Francia è diventato un cartone animato, lo abbiamo recensito sul sito di Porthos. Le goût de Dieu è effettivamente molto legato al vino, mentre Les Ignorants è più legato alla viticoltura, al rapporto con la terra, con la campagna.

Sergio – Credo che sia il primo da questo punto di vista. C’è un altro fumetto molto famoso su una famiglia di birraioli che è Les Maîtres de l’orge di Van Hamme e Vallès, da cui è stata tratta una serie televisiva uscita anche in Italia. In realtà è più un romanzo, una saga familiare che va dal Settecento ai giorni nostri. Sul vino c’è poco, una serie che si intitola Una buona annata, ambientata in una tenuta. Dalla copertina la proprietaria della tenuta è una donna molto bella, con il calice di vino in mano, un po’ come nel film di Ridley Scott. Poi ci sono dei bellissimi libri di illustrazione di Ralph Steadman sul vino (Steadman è un grandissimo illustratore inglese ormai anziano che vive da anni nel sud della Francia ed è un estimatore di vino). Per l’autore dei fumetti è molto più facile andare verso un genere consolidato come il giallo; difficilissima è la commedia, perché non è spettacolare e deve diventarlo con dialoghi, inquadrature, disegni, personaggi. Ci sono dei bellissimi fumetti di Lauzier, uno dei maestri quando creava le sue storie sui borghesi, sulla gente di tutti i giorni.

Sandro – Ed è un tentativo di commedia?

Sergio – No, più che un tentativo è stato un esperimento ben riuscito: sono commedie amare, a denti stretti. Sono storie piene di cattiveria, con un’ironia che non risparmia niente ai protagonisti. In particolare c’è una sua storia (che può avere a che fare con il vino) ambientata in un ristorante, che ha al centro una coppia che litiga, lui umilia lei in tutti i modi. Il cameriere porta loro un Saint-Émilion e l’uomo lo insulta dicendogli che il vino è pessimo e che vuole vedere il sommelier. Il cameriere viene licenziato, la coppia se ne va contenta (il lettore scopre che l’uomo e la donna erano d’accordo fin dall’inizio) e il cameriere li insegue fuori dal ristorante continuando a difendere il Saint-Émilion.
Nel fumetto succede un po’ quello che succede nel cinema: come diceva Billy Wilder, se il film ha una buona sceneggiatura e una brutta regia allora si salva, se invece ha una cattiva sceneggiatura e una bella regia questo non accade. Per quanto riguarda il fumetto, dagli anni settanta in poi dalla Francia parte un movimento grazie a Moebius e ad altri autori che si ribellano allo sceneggiatore, cioè allo scrivere storie strutturate; se vuoi è l’equivalente del free jazz nella musica. Però c’è un problema, che se si eliminano tutte le strutture narrative, come aveva capito Miles Davis, non si va da nessuna parte.

Sandro – Cosa fa Moebius per esempio?

Sergio – Moebius crea Il Garage Ermetico, una storia di fantascienza, due pagine al mese, a caso: inizia due pagine, poi ne fa altre due e non rivede mai quello che ha scritto in precedenza. Il problema è che non riesce più a collegare gli elementi: il disegno è straordinario, ma a leggerlo non si capisce assolutamente nulla. Alla fine si ha un minestrone di cose belle da vedere ma impossibili da leggere, ci sono degli sprazzi di genialità ma in realtà non si sa cosa si racconti.

Il Garage Ermetico di Moebius - Porthos Edizioni

Sandro – E quindi questo tentativo di destrutturare si è esaurito…

Sergio – Sì e no, perché di buono c’è che gli autori hanno rimesso in discussione i rapporti tra disegnatore e sceneggiatore, perché prima, con il fumetto industriale, quello inteso fino al graphic novel, il disegnatore doveva lavorare come un operaio, il numero di puntate era fisso perché c’era una scansione alla fine del mese, mentre ora può essere variabile: la prima storia che esce su Suivre, che è “Ici même” di Forest, il padre di “Barbarella”, è di centosessanta pagine in bianco e nero, una cosa mai vista prima.

Sandro – E lì si darebbe ragione alla tua teoria per cui è indispensabile una sceneggiatura forte.

Sergio – Soprattutto con un disegnatore che è un gran narratore, come Dave Gibbons, che si mette al servizio della storia. In realtà è la storia che sovrintende tutte e due: lo sceneggiatore deve farsi disegnatore e immaginare delle sequenze grafiche, raccontare la storia con una serie di immagini, non sparare dei blocchi di testo perché non sa raccontare per immagini. Alan Moore usa molto la voce fuori campo, ma è un contraltare all’azione che si sta svolgendo, non è una cosa che sopperisce alla mancanza di visualizzazione. Gibbons fa un disegno estremamente leggibile, dove l’occhio scorre come su una lastra di ghiaccio e non si ferma mai, non c’è un cartiglio inutile, è difficilissimo per un disegnatore essere così pulito per una storia così complessa.
Dunque, partiamo dall’inizio e facciamo un po’ d’ordine, cominciando a parlare della storia del fumetto; l’idea di narrazione per immagini c’è da sempre. A Bayeux, in Normandia, è conservato l’Arazzo di Bayeux, che l’arcivescovo Oddone di Bayeux (ma la fonte non è certa) avrebbe commissionato per celebrare la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo I. E questa striscia senza testo ha una precisa sequenza di avvenimenti, anche senza la voce narrante.
Anche la Colonna Traiana è un enorme fumetto, perché tutta la storia è raccontata dalla base alla cima della colonna, quindi probabilmente al suo fianco c’era un palco che permetteva di salire e di leggerla. Anche all’interno dei quadri medievali ci sono più sequenze di immagini, che servono a raccontare la vita di un santo, con annessi dei codici per leggerle correttamente. Tutte queste scene vanno lette in una precisa sequenza narrativa.
Il fumetto quindi c’è sempre stato, viene canonizzato quando diventa qualcosa di industriale, quando la produzione industriale si può sterilizzare. Walter Scott, con Ivanhoe, diventa uno dei primi scrittori che scrive con consapevolezza con un destinatario preciso, il lettore.
E così anche il fumetto c’è sempre stato, con Töpffer in Svizzera, con Wilhelm Busch in Germania a metà dell’Ottocento. In seguito, quando nasce la grande stampa in America e tutti si riversano nel Nuovo Continente, c’è necessità di pubblicare moltissimo materiale, i giornali cominciano ad avere dei supplementi enormi. Quello che viene considerato il primo fumetto dell’epoca moderna, Yellow Kid (nato intorno al mese di maggio del 1895, qualche mese prima del cinema dei fratelli Lumière, dunque) è giallo perché si è avuta la necessità di provare la rotativa e la stampa del colore giallo. Questo, considerato appunto il primo fumetto, è una vignetta unica con molti avvenimenti raccontati.

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Si sperimenterà tantissimo, perché nessuno sa come evolverà questo nuovo modo di comunicare. Per me, come per altri, il vero canonizzatore che definisce i parametri, grammatica e sintassi, è Winsor McKay con Sogno di un mangiatore di crostini, Little Nemo in Slumberland – la storia di un bambino che ogni notte si addormenta e va nello “Slumberland”, il paese del dormiveglia, il paese dei sogni dove accadono avventure sempre diverse. Però, siccome la storia è di una pagina a settimana, alla fine della pagina si sveglia e cade dal letto; la settimana seguente ricomincia il sogno nel punto in cui era stato interrotto e poi ricade dal letto. È un lungo sogno che dura dieci anni – e Little Sammy Sneeze (un bambino che starnutisce e demolisce anche le vignette che lo contengono).

 Little Nemo in Slumberland - Porthos Edizioni

McKay è anche colui che crea il primo “meta-fumetto”, cioè il fumetto che prende in giro se stesso come linguaggio e da origine  anche al primo cartone animato, Gertie la dinosaura, presentandolo attraverso un meta-cortometraggio: filma se stesso davanti a uno schermo che spiega ai suoi amici cosa fa Gertie su questo schermo. Lei si comporta come un cagnolino: McKay le dice «Gertie mangia» e lei mangia, oppure «Gertie a cuccia» e lei si mette a cuccia e lui le fa i grattini. Filma se stesso mentre mostra un filmato, questo nel 1910 credo. Il vantaggio dell’America è che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento c’è già l’industria perché c’è già un consumo di massa.
La stampa in America esplode anche grazie anche ai due grandi magnati Hearst e Pulitzer (Hearst è colui che, tra le altre cose, inventa il giornalismo scandalistico; nel 1897 la guerra cubano-americana scoppia anche perché Hearst manda il disegnatore Remington a Cuba per fare delle foto, e quando questi gli dice: «Tutto è tranquillo qui. Non ci sono problemi qui. Non ci sarà nessuna guerra. Vorrei ritornare. Remington», Hearst gli risponde: «Ti prego resta. Tu forniscimi le immagini e io ti fornirò la guerra», quindi crea un caso diplomatico e la guerra esplode davvero). Quindi, Hearst per primo pubblica Yellow Kid di Richard Felton Outcault, considerato il primo personaggio dei fumetti dell’epoca industriale e quando Outcault passa alla concorrenza di Pulitzer (una cosa estremamente facile da fare, non ci sono ancora tutti vincoli di copyright), crea un altro Yellow Kid, mentre Hearst ingaggia un altro autore che continua a disegnare l’originale. Outcault però arriva a un punto in cui si stanca di Yellow Kid e comincia a pensare a un nuovo personaggio: Buster Brown, un monello dell’alta società, biondo e politicamente scorretto, come del resto tutti i suoi personaggi, infatti i bambini di Yellow Kid fumano dei sigari enormi, bevono, si picchiano. Nella loro follia sono molto aderenti al reale, la lingua è maccheronica, anche perché dall’Europa arrivano in America tantissimi disegnatori ed è normale che la lingua si contamini.

Sandro – Ti sei mai chiesto perché i bambini sono spesso i protagonisti dei fumetti, soprattutto all’inizio?

Sergio – All’inizio i fumetti vengono pensati per i bambini, in seguito molte strisce sono fatte per gli adulti, perché sono una caricatura sociale e il settore è ben definito. In molti casi ci sono degli inserti che fanno parte di giornali destinati agli adulti, ma che poi leggeranno i ragazzi.

 La seconda puntata

Le immagini sono state estrapolate dal Corso di storia del fumetto di Claudio Ferracci che ringraziamo per l’ospitalità.