
04 Giu 23 maggio – in cammino fino a Terzo la Pieve, Collecapretta
Posted at 11:15h
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Ho cercato se ci fosse un autobus che da Spoleto arrivasse a Terzo la Pieve. Poche cose, una corsa la mattina presto e un’altra verso le 14.
Alle 11 sono ancora in cantina che sto parlando con Stefano e davanti a me almeno quattro ore di treno per arrivare a Spoleto, poi da lì si vedrà, confido sempre in qualche soluzione.
Il giorno anche oggi è pieno di grigi, l′erba e le foglie della vite sono inumidite e bagnate dalla recente pioggia. Saluto i ragazzi che stanno finendo di pulire una botte e Stefano mi accompagna alla stazione di Cortona-Camucia in attesa del treno diretto a Roma.
Sento la pioggia così vicina nei minuti che precedono l’arrivo del treno, come se il ritorno alla solitudine e l’ennesimo arrivederci portassero una malinconia atmosferica, una fragilità messa accanto all’incertezza del viaggio.
Riapro le pagine di Rilke.
E non dovete lasciarvi sviare nella vostra solitudine perché qualcosa dentro di voi desidera uscirne. Appunto questo desiderio, se l’userete in modo calmo e ponderato e come uno strumento, vi aiuterà ad ampliare la vostra solitudine su vasto paese.
La gente (con l’aiuto di convenzioni) ha dissoluto tutto in facilità nella più facile china; ma è chiaro che noi ci dobbiamo tenere al difficile; ogni cosa vivente ci si tiene, tutto nella natura cresce e si difende alla sua maniera ed è una cosa distinta per sua virtù dall’interno, tenta d’essere se stessa ad ogni costo e contro ogni resistenza.
Poco noi sappiamo, ma che ci dobbiamo tenere al difficile è una certezza che non ci abbandonerà; è bene essere soli perché la solitudine è difficile; che alcuna cosa sia difficile dev’essere una ragione di più per attuarla.
Le parole difficoltà e solitudine mi accompagnano mentre rientro nel Lazio e scendo alla stazione di Orte guardandomi attorno alla ricerca della schermata con il prossimo treno in partenza per Ancona.
Il binario varca il confine passando nella terra umbra. La zona di Foligno, le palpebre cominciano a serrarsi e il capo a cadere senza preavviso. Dalla voce automatica sento Nocera Umbra e riapro la vista davanti al luogo da cui due anni fa ridiscesi gli appennini fino al Terminillo e al deserto lucano. Allora, ci arrivai alla mezzanotte del 5 agosto e camminai al buio fino a raggiungere Colfiorito dove mi buttai in un campo a guardare le stelle che cadevano e a riposare qualche ora.
Solitudine e difficoltà, forse bisogna passarci in mezzo per arrivare a sentire che dopotutto non siamo così soli e quanto sia bello una volta terminato lo sforzo volgersi all’indietro e contemplare il cammino, l’orizzonte, lo stato delle cose, il proprio fare.
Spoleto. Ci siamo.
Ormai è dalla prima mattina che cerco di tenere aggiornata Annalisa su come sta procedendo il mio avvicinamento.
Da qualche ora non ricevo più messaggi di risposta, sarà che lassù il telefono ci piglia poco.
Camminando verso il centro del paese chiedo se c’è qualche autobus che va verso Terzo la Pieve. Mi dicono di prendere la navetta della circolare C che va verso Bruna a pochi chilometri da Terzo. Mentre aspetto alla fermata guardo in alto verso il duomo e rivedo senza andarci la piazza dove giocavano i bambini dell′estate, i sampietrini, uno spazio d′armonia.
La navetta esce lentamente dalla città ed è presto campagna e colline e vigneti e strade quasi deserte.
Quello è il ponte di Bruna. Per andare a Terzo devi voltare a sinistra subito dopo il ponte.
Grazie e buona serata.
Scendo dal mezzo e raggiungo il ponte.
Scrivo un messaggio ad Annalisa.
Sono al ponte di Bruna mi incammino verso Terzo…
La strada è un asfalto stretto con i margini mangiati dal tempo.
Dopo quasi una mezz’ora di cammino ecco il cartello che indica il paese di Terzo la Pieve. Sorrido.
Nessuno però a cui chiedo indicazioni mi sa dire dove si trovi l′azienda Collecapretta. Mi fermo di fronte a quello che in passato doveva essere un alimentari o un bar. Sulla facciata la vecchia insegna del telefono a gettoni.
Chiamo il numero fisso di casa Mattioli e mi risponde Anna.
Fermati dove sei che Vittorio sta scendendo a prenderti. Annalisa ci ha chiamato adesso per dirci che eri in strada, era in un posto dove il cellulare non prendeva. Aspetta lì.
Vittorio arriva in pochi minuti e saliamo verso la casa e la cantina.
Un tavolo, due sedie e iniziamo a parlare. Attorno a noi alcune vasche in acciaio di diverse dimensioni.
Questa è una parte della cantina, di là si imbottiglia e si preparano i cartoni. Come vedi è uno spazio da famiglia.
Nell′altra stanza ci sono dei contenitori in vetroresina, nient′altro.
Abbiamo appena finito di imbottigliare il Ciliegiolo, ci rimane ancora la Barbera che al momento sta facendo la malolattica e il Trebbiano Spoletino che molti stanno aspettando con ansia. Lo assaggiamo?
Si alza e prende due bicchieri appesi al muro e continuando a parlare apre il rubinetto della vasca di acciaio che ci è vicina e vedo scendere il vino.
Un colore vivo e pastoso senza alcuna macerazione.
Sono le vigne vecchie a dare questa consistenza.
Una sottile velatura avvicina il pensiero alle vene della terra e prepara la bocca a ricevere come un dono che la pianta ha saputo raccogliere in sé e che l’uomo ha saputo estrarre da essa.
Dopo le ore passate in treno a leggere di difficoltà e solitudine, bere in questo bicchiere mi distende.
È semplicità.
Un sorso che sale diritto o che scende diritto, in un senso comunque verticale che porta i minerali della terra verso la freschezza di un cielo e viceversa.
Dalla porta entra Anna, la moglie di Vittorio.
Finalmente ci conosciamo.
Tra poco arriva anche Annalisa ma intanto vi porto qualcosa da mangiare con il vino.
Abbiamo anche un allevamento di maiali che nutriamo con quello che cresce nelle nostre campagne.
I salumi li facciamo noi.
Anna ritorna con un vassoio. Pancetta, salame, salsiccia e lardo.
I bicchieri si riempiono di Barbera.
Sapori rustici vicini alla terra.
Sebbene il vino non abbia concluso la sua fermentazione, porta con sé il grasso animale e lascia un fresco senso di libertà al palato.
Cosa state bevendo?
Saluto Annalisa che si prende subito un bicchiere e si siede accanto al padre.
Scusa ma dove mi trovavo non c’era ricezione. Tutto bene il viaggio?
Sì sì, ora siamo qui. Arrivarci è stato affascinante.
Tuo padre mi stava parlando dello scaione, tu conosci questa parola?
Non ricordo, che è papà?
In passato si prendeva un ramo secco di quercia con una forcella e lo si metteva vicino alla vite per sorreggerne i tralci.
Poi rimane con la memoria all’indietro e racconta alla figlia di come si faceva la calce e di come i vecchi sfalciavano l’erba.
Non volete andare nel vigneto?
Forse è ancora bagnato, vado a cercare qualche borsa di plastica da mettervi ai piedi.
Risaliamo in macchina io e Vittorio mentre cade qualche goccia dal cielo.
Sotto la vecchia pieve i vigneti di Sangiovese e Ciliegiolo. La terra è fatta di argilla e il piede quasi sprofonda completamente dopo i recenti giorni di pioggia. Il grappolo di Sangiovese è in fioritura.
Il Ciliegiolo sembra più robusto ma i suoi tralci sono fragilissimi. Quando inizia a far caldo mi rinfresco la bocca mangiando qualche germoglio.
Stacca con la mano l′estremità di un tralcio e lo mastica.
Vuoi provare? Un sapore acidulo tra l′agrume e l′erba mi rallegra. Buono, non l′avevo mai mangiato un pezzo di vite!
Quelli che vedi dall′altra parte della vallata sono i vigneti del Trebbiano, là abbiamo anche qualche pianta di Muraiolo, l′anno scorso non hanno prodotto olive, speriamo in questa annata. Ma andiamo a vederli da vicino.
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I piccoli colli che stanno ovunque sfumano tra i verdi dell’ulivo e quelli della vite, tre i gialli del grano e i grigi del cielo, tra i marroni delle terre e i tronchi di quercia.
Qui ci sono anche delle piante di Malvasia, quella toscana e altri tipi. C′è anche qualche pianta di Montonico, un’uva da tavola che veniva fatta appassire e messa più volte in forno con il pane. Si mangiava in campagna insieme alle olive.
Ne riparliamo lunedì mattina che adesso si è messo a piovere. Ci salutiamo con l′augurio di ritrovarci in un giorno di sole e poter tornare in vigna con più tranquillità.
Mi resta vicina, nonostante l’assenza, la voce di Vittorio che parla di un passato che gli appartiene e che descrive senza esaltazione ma così com’è accaduto, con le felicità e le sue arrabbiature. Come hanno un letto diverso le parole di chi da sempre ha vissuto la campagna e non se n’è mai allontanato. Forse più ingenue e meno riflessive ma attaccate alla pelle e intrise di sudore e di essenzialità. Un ricordo della voce di Natalino del Prete. Anche lui, come Vittorio, ripeteva di continuo il mio nome mentre mi parlava.
Lunedì il cielo è blu. In vigneto Vittorio e Anna insieme a qualche operaio stanno sistemando i tralci all’interno dei fili.
Mentre scatto qualche fotografia alle mie spalle sento la voce di uomo.
Qui ci siamo innamorati e qui stiamo.
Sarà il sole ad aver portato allegria e serenità, sarà questa terra fertile e curata da buone mani, la natura docile delle colline, uno stare primordiale…
A casa Vittorio aiuta la moglie a preparare il pranzo.
Appesi ai muri, gli avi messi rispettosamente a guardare la nuova generazione che continua il lavoro.
Nonno Alfonso, i padri, gli zii…
Apriamo una bottiglia di Merlot. Quest′anno ne sono particolarmente fiero.
Anche Annalisa, dopo aver sistemato una noiosa parte burocratica, si unisce alla tavolata e alziamo i bicchieri in un augurio di salute.
Ed è salute quella che sento arrivare dal bicchiere. Una terrena e ferrea salute, fresca e semplice come i volti che ci guardano dall′alto e fatta di viscere profonde come sono le vene e la pelle delle mani nascoste nelle tasche delle giacche o tenute dietro la schiena in una fotografia di famiglia.