20 Giu 29 maggio – Armonie e melodie, Aurora
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Per un attimo guardo il buio e risalgo ad un giorno di vita cittadina tra la folla di un mercato al coperto. Mi alzo e saluto Franco e mi appoggio al vetro della finestra, al mondo che ancora è lì che ci circonda limpido, assolato.
Beviamo una tazza di tè, una fetta di pane e la marmellata fatta con le albicocche del campo. Poi usciamo, camminiamo in direzione della parte di vigneto non vista. Scendiamo lungo il primo filare di Pecorino. All′orizzonte, sistemate sulle sommità collinari, qualche gruppo di case, più oltre le vette appenniniche bianche di neve. Alla nostra sinistra una striscia lunga di alberi di varietà diverse.

Vent′anni fa questi alberi non c′erano. Se ti trovavi qui e guardavi alla tua sinistra vedevi soltanto l′avvallamento che separa una collina dall′altra e giù tutto era prato. Da qualche tempo hanno ricominciato a piantare, noi abbiamo piantato questa fila d’alberi. Dopo vent′anni li guardo e ne sono felice, se non li avessimo piantati la realtà sarebbe stata diversa. Forse la terra avrebbe iniziato a essere erosa dalle acque come sull′altro versante dove ti ho mostrato i calanchi.

Ci sporgiamo oltre la fila di alberi e guardiamo giù le forme e i colori di una terra agricola. Tra gli alberi e la vigna un via vai di insetti alati, soprattutto farfalle. Camminiamo fino alla fine del filare in un respiro che sento entrare e uscire da me allargando di volta in volta il confine con ciò che non sono.
Guardo il punto in alto da dove siamo scesi, le pieghe scoscese e inclinate di un territorio su cui si è posata la mano dell′uomo e della donna.
Franco, vorrei registrare qualcosa lassù dove eravamo poco fa, mi piace quello che si vede da quel punto.
Andiamo. Non ci sono problemi.
Quando arriviamo siede all′ombra della vigna e inizia a parlarmi di Aurora.
Era la fine degli anni Settanta. Alcuni giovani amici misero insieme i propri sogni e ideali dalla cui fusione nacque questa comunità agricola. Io sono l′ultimo arrivato tra i soci. Abbiamo cercato di acquistare i campi e i vigneti in modo che fossero vicini, un insieme e una continuità territoriale. Ci hanno anche proposto vigne lontane, da raggiungere in auto. Non aver accettato è stata una questione di coerenza. Aurora è qui: i campi di albicocche, le ciliegie, l′orto e le viti, la casa dove mangiamo, la cantina sono come un corpo unico. Ogni settimana a turno si cucina per tutti, poi vedrai a pranzo. Le decisioni si prendono assieme lasciando anche spazio alla creatività e a nuove idee, come è stato per il Rosso Unito o per il prossimo imbottigliamento di base spumante dove confluiranno diverse realtà vitivinicole d′Italia.
Io ascolto in ginocchio tra gli alberi che hanno vent′anni e le viti di Pecorino e fisso una parte di sole che nonostante tutto è riuscita a vincere le ombre e a farsi spazio tra le sagome delle foglie e posarsi su un viso di uomo, tra il naso e l′occhio sinistro di Franco. Così dentro la natura anche quel poco che rimane dell‘egocentrica pressione Occidentale appare farsi vapore e sciogliersi al vento. Le pause possono ancora farsi significato e non perdita temporale e nemmeno premo il tasto Stop che tanto le parole arrivano e se non sono parole sono suoni e cinguettii.
Pecorino, la sua uva, le sue forze e debolezze. Morettone, una riscoperta di un vitigno a bacca rossa.
Mi ricordo di questo nome ripensando ai cartelli messi a capo filare nel vigneto vicino alla cantina. Ogni filare un vitigno diverso.

E si parla della musica. Della bellezza di rendere armonici elementi diversi come note e strumenti. Dell′armonia come struttura portante e della melodia come espressione del concreto. Del fatto che Franco ha qualche problema alla schiena e che si dedica più alle fiere e alle consegne rispetto al lavoro nel campo. Parliamo di biologico e del contesto che porta al biologico perché senza un contesto rimane una parola vuota e poco rappresentativa.
Poi la pausa di silenzio dura più a lungo e capiamo all′unisono senza nemmeno guardarci che può bastare così. Ci rialziamo e proseguiamo verso la zona dell′orto. Incrociamo chi è al lavoro sotto il sole caldo, cappelli di paglia e camicie bianche e cani sciolti.
Salutiamo in un arrivederci a pranzo.
Questo è il nostro orto. C′è la parte delle spezie e degli odori e quella dell′insalata, dei legumi, patate e quant′altro.
Adiacente il campo di albicocchi.

Un ciliegio e un′altra pianta che Franco dice essere di bianconi, ciliegie bianche o giallo tendente al bianco. Dedichiamo qualche minuto alla raccolta e a una seconda colazione dai tratti spontanei.
Sono dolcissimi i Bianconi.
Di là c′è un piccolo stagno. Ci rifluisce l′acqua dei nostri scarichi civili dopo essere stata depurata dalle canne palustri piantate in questa zona rettangolare. È un metodo di depurazione biologica delle acque reflue, si chiama fitodepurazione. All′inizio il Comune non ci ha agevolato ma alla fine siamo riusciti a fare quello in cui credevamo e ora sembra che anche il Comune voglia sperimentare questo sistema.
Nello stagno qualche piccola rana saltella ingenua.
Andiamo, è quasi ora di pranzo.
Seguiamo il sentiero fino alla casa comune di Aurora. Ancora non si vede o si sente nessuno. Ci mettiamo sulle sdraio a guardare verso le corna del Gran Sasso. Mancano le cicale dell′estate, c′è solo una voce faticosa di un trattore che arranca sui pendii della collina alle nostre spalle.
Poi un colpo che sembra cannone.
E quasi nello stesso tempo un altro poco distante.
È mezzogiorno. Guarda l′orologio.
Sì, è vero. Cannoni al posto di campane? Mi piace. Al diavolo campanili e campanilismi.
Un terzo colpo in un′aria e in un orizzonte imprecisati. Una guerra a salve.
Poi è una campanella a suonare che il pranzo è servito.
Chi era al lavoro è salito dai campi e nella sala accanto alla cucina il grande tavolo rettangolare si prepara ad accogliere il pasto. C’è Federico che insieme a Paolo, Lorenzo ed Enrico hanno dato vita ad Aurora. Ci sono i figli che dopo gli studi si dedicano al campo, ci sono gli amici, c′è amalgama e buona forma.
Una pasta con gli ultimi carciofi della stagione e una padella di porri stufati.

Chi ancora non avevo conosciuto mi chiede del progetto e parliamo anche del mio passato e dopo il caffè e la piccola siesta all’ombra mi unisco al gruppo che scende al vigneto per terminare il lavoro.
Verso il vigneto un vecchio campo di bocce con una fila di panni stesi. Oltre l′orizzonte appennino.

Oggi quello che c′è da fare si chiama sfeminellatura, ossia togliere le foglie basali per ogni tralcio per dare più luce e aria al grappolo che sta crescendo.

Il sole è ancora caldo. Ci aiutano la curiosità e la condivisione di esperienze. Tra filare e filare parliamo del resto d′Italia, dei vini assaggiati, dell′handicap e delle api che stanno infastidendosi nelle arnie accanto al vigneto. Un′ape indispettita dalla mia vicinanza mi batte sulla testa e mi insegue mentre mi allontano. Siamo ormai all′ultimo filare di lavoro.
Sarà un altro tramonto da contemplare dalla terrazza. L′aria pare anche più
tersa di ieri e le vette sono meglio definite. Prima di salutarci beviamo un bicchiere di birra e parliamo di montagne e di cammini. Ognuno poi torna a casa verso San Benedetto. Rimango con Franco e l′aiuto a caricare il vino per una consegna.

Passiamo a prendere qualche uovo fresco e un cespo di insalata dell′orto e saliamo verso la grande quercia e la casa.
Stasera apriamo una bottiglia di Rosso Piceno 2013. È un vino da bersi nell′anno. Ma vediamo com′è.
Uova all′occhio di bue fatte in maniera intelligente, cioè facendo cuocere per pochi minuti soltanto l′albume e poi aggiungendoci il tuorlo sopra. Un′insalata. E da buon calabro, Franco, mette in tavola un barattolo di salsa di peperoncino. Devo dire proprio buona.
Il Rosso Piceno sta ancora vivo, la freschezza alcolica e l′esuberanza si sono solo un poco scaldate ma piace la sua immediatezza e semplicità tra la frutta rossa e il sale della terra.
Stasera la musica mi accompagna fino al saluto di domattina. Franco cerca un brano per il finale di giornata, per salutarmi. Alla fine da una custodia di carta estrae un vinile di John Coltrane…
My favourite things suona forte tra le mura e oltre, verso la quercia che riposa.
Le mie cose preferite risuonano nella natura fatta musica dalle mani di qualcuno.