Pane carasau e fave di Tuscia - Porthos Edizioni

7 maggio – Da una parte all’altra, Gradoli, Pescara

 
Le vie di Gradoli attorno a palazzo Farnese, il selciato su cui viaggiano le piccole ruote di un trolley che porta un rumore di frammento come di raganella di festa e di rito fatta girare da una mano lenta, ancora intorpidita dal sonno.
Cammino verso un caffè lontano da auto e musiche inflazionate di città.
Oggi è un cammino che passa attraverso il Paese, che parte da un luogo sommesso, da un nome che avevo sentito e letto da qualche parte, su una bottiglia di vino, su una pagina d′atlante. Un luogo che non è più nome e che allarga, dentro, la mia geografia interiore ridistribuendo gli impulsi e i ricordi di una parte di vita.

Un autobus di scuola. Ragazzi e ragazze che se ne vanno a Viterbo con pacchi di libri e ripassi di storie.
Dovessi pensare a tutti i miei libri di studio riempirei forse lo spazio del bus e non so quanti davvero abbiano fatto in modo di accompagnare il mio viaggio. Quanto davvero siano serviti a qualcosa.
Tra poco saranno tutti in classe ad ascoltare una voce che insegna, a scrivere a penna, a guardare una foto stampata su un testo mentre io seguirò l′aria informe di un apprendimento che viene da solo, senza voci che affermano leggi e si ripetono uguali e stanche e rigide.

Ascoltano musiche da telefoni che non conoscono pause, parlano poco, e se son soli si riempiono di vergogne.
A guardarle quelle facce adolescenti nascondono le stesse paure e le stesse vivacità.
Una cosa però la tengono ancora, che d′improvviso lungo un pezzo di strada si voltano a fianco e avvicinano gli occhi al vetro del finestrino e vanno al di là di libri, interrogazioni e preoccupazioni, al di là della pesantezza di una quotidianità malamente ripetuta seguendo lo scorrere immortale di un mondo sensibile.

Viterbo-Orte, poche carrozze di treno, piccole stazioni d′arresto.
Orte-Roma Tiburtina.
Già le cose si fanno complesse, i binari non sono più semplici binari, i binari si fanno cardinali, binario 1-ovest, binario 1-est.
E le indicazioni, a seguirle si va avanti e indietro senza ragione.
Ci vuole pazienza e un respiro che tenga insieme la contraddizione di una realtà di un essere confuso che sembra farlo apposta a costruire e organizzare senza chiarezza ed armonia.

L′interregionale Roma Tiburtina-Pescara sta per partire mentre salgo le scale.
Il capotreno ha il fischietto tra le labbra e dopo aver fischiato mi aspetta e saliamo insieme in carrozza per attraversare l′intero Paese.

Sono le 12:35. L′arrivo è previsto alle 16:40. Quattro ore per tagliare l′Italia da una parte all′altra, salire e scendere gli appennini, passarci attraverso al buio dei tunnel da un′aria di Tirreno ad un vento di Adriatico.
Cerco qualcosa da mangiare. Le poche cose che mi porto nella borsa a tracolla. Un pezzo di pane carasau e delle fave di Tuscia.
Le mangio così crude sgranocchiando il pane secco.
E la mancanza di acqua si risolve con la freschezza del legume che pare scendere liquido dopo un morso di pane.
E il contorno sono i volti, le voci, i vini bevuti e i paesaggi, i risvegli diversi, le vesciche nelle mani.
Mi addormento con la testa che casca, si risolleva e casca di nuovo.


Pane carasau e fave di Tuscia - Porthos Edizioni
Intanto il mondo cambia anche senza di me. Il movimento va da solo senza per forza essere visto. Il litorale e la pianura si fanno collina e in lontananza montagna. Compare la neve. Una neve di primavera già calda. Paesi lontani e separati dal basso, isolati in vette dove scendono strade che girano attorno.

Paesaggio dal finestrino del treno - Porthos Edizioni
Stazioni che nascondono spazi con finestre appena abbassate. Nomi che evocano luoghi più a nord.

Immagino l′uomo o la donna che ci lavora che guarda il treno appena passato e torna al libro aperto sul banco.
Riprende il paragrafo lasciato da poco e segue un suo viaggio nell′attesa di un prossimo treno.

Stazione Anversa, Villalago, Scanno - Porthos Edizioni
Ore di colli e montagne e viadotti. Di linee che salgono e scendono e di un cielo che pare più vicino del mare.
Salgono in pochi, ne scendono ancor meno.
Sembra un treno invisibile che passa su di un binario immaginario.
Forse da una scuola di paese, da una finestra aperta sul mondo, un ragazzo con il gomito abbassato sul banco e la mano appoggiata alla guancia guarda il treno passare e si muove così, compagno di viaggio.

Montagne in viaggio - Porthos Edizioni
Poi le montagne e le alture si fanno più morbide fino ad arrivare in città a due passi dal mare.
Pescara. Le 16:50. Qualche minuto di ritardo perso qua e là tagliando il paese senza fretta e quasi in sogno.

Scendo dal treno, scendono le mie cose, il mio viaggio e la curiosità di toccare Pescara.

Dalla stazione si allunga la via del corso. In fondo si sente il mare. Adriatico.
Stefano mi fa sapere che arriverà verso le sette. Stanotte dormiremo qui in città e domani verso Loreto, verso Aprutino. Le vigne e i disegni di un fato che ha portato una volontà di risveglio. Domani vedremo, domani toccheremo con occhi e spirito.

La spiaggia è silenziosa. Non c′è quasi nessuno. Qualche voce e un pallone lasciato fermo in una conca di sabbia.
L′acqua è calda o almeno così la sento mentre avanzo finchè non tocco.

Chiudo gli occhi e mi lascio cadere nel mare e per un attimo di piccola profondità non ci sono orizzonti, nè mete, nè prima e nè dopo.

Spiaggia di Pescara - Porthos Edizioni