
13 Lug 9 giugno – Un camuno di nome Enrico
Posted at 03:33h
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Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l′immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient′altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non si sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall′altra parte della vita.
L. F. Celine
Se sei un bambino e se sei nato nella provincia di Brescia, c′è una buona probabilità che una delle prime gite organizzate dalla scuola abbia come destinazione la Valle Camonica.
Io, che di infanzia sono cresciuto in Valle Sabbia, a pochi chilometri dal lago di Garda ebbi questo destino.
Nemmeno capisci, forse, dove stai andando, in quale profondità della storia dell′essere umano hai il privilegio di arrivare e come la tua immaginazione possa appoggiarsi e risuonare insieme ai segni scolpiti sulle rocce da un antico popolo, il popolo camuno.
Che poi, a ben vedere, quelle incisioni paiono avere i tratti di una mano bambina tanta la semplicità e la stilizzazione con cui sono raffigurati i corpi, gli animali e le case. Quello che affascina è la densità, l′abbondanza, la necessità di lasciare un′immagine del reale, un racconto sulla materia che ha sempre circondato e racchiuso quella terra, la pietra, come a prendere in prestito una parte di immortalità dagli dei e dagli spiriti. Qualche anno fa, al telefono, Enrico mi dice che le barbatelle di Erbanno ancora non sono pronte ma, se me la sento, invece di piantare le nuove barbatelle, lo posso aiutare a fare un trattamento.
Certo. Ci vediamo domattina allora.
Ci sono nuvole. Il cielo è un′unica nuvola grigia quando alzo le tapparelle. Sono le 6, io e mia madre beviamo un caffè e partiamo.
La lascio all′ospedale di Gavardo per il primo turno di lavoro e proseguo verso la Franciacorta, il lago d′Iseo, Boario Terme. Il beep dei messaggi.
6:37: Mitico, sei pronto per il tuo primo trattamento alla camuna?
6:37: Mitico, sei pronto per il tuo primo trattamento alla camuna?
Superata la città, gli strascichi dei lavori per il tratto Brescia-Bergamo-Milano, un percorso a ostacoli, curve e traiettorie che cambiano di settimana in settimana. I primi vigneti delle bollicine dal nome francese e le gallerie che tagliano la montagna che fiancheggia le acque del lago d′Iseo. Al centro la più grande isola lacustre d′Europa, Monte Isola.
Uscito dall′ultima galleria il lago è terminato e a destra e a sinistra si allungano i versanti delle montagne che formano la Valle. Alle 7:30 prendo l′uscita per Boario.
Davanti a me una piccola montagna dal colore di roccia rossa. Qualche goccia di pioggia sul vetro del parabrezza.
Dal paese continuo a salire per una strada stretta che mi avvicina sempre più al versante occidentale della valle.
Erbanno è una frazione di Boario, un villaggio ai piedi della montagna con vie ripide, verticali. La casa e la cantina di Enrico sono alla fine del paese, nella parte più alta, in fronte al monte Altissimo, 1703 metri di altezza.
Ricordo l′ultima volta che ci sono salito, venni da Iseo con il trenino camuno, con me una damigiana di 23 litri che lasciai davanti al portone della cantina con questo biglietto: Sono sull′Altissimo, mi sono permesso di lasciarti la damigiana da riempire. Ci vediamo quando scendo.
Bevo un sorso di acqua dalla fonte e vedo Rosi, la mamma di Enrico che esce di casa e mi saluta.
Hai già visto Enrico?
Mi ha detto di aspettarlo qui che sta arrivando.
Ci vediamo dopo allora.
Ci vediamo in vigna.
Il tempo continua a mantenersi incerto, le gocce di pioggia scendono senza continuità.
Enrico arriva, sono quasi le 8, lo segue Migola, il suo piccolo cane.
Allora? Sembra che sia lì lì per piovere.
Già. Ma si deve fare questo trattamento, comunque. È un momento cruciale.
Dai, vedrai che saranno solo poche gocce che non rovineranno il lavoro.
Prepariamo le cose. Non perdiamo tempo.
Enrico inizia a pulire gli attrezzi, l′atomizzatore a spalla e il resto.
Carichiamo il Pandino e ci avviciniamo alle vigne alle pendici dell′Altissimo.
Incontriamo un vicino di campo che ci saluta e ci chiede del trattamento.
Enrico lo sta ad ascoltare e lascia andare la sua parlata camuna rispettosa e attenta al punto di vista degli altri e sempre propositiva.
Davanti a me un giovane che la passione ha trascinato verso la natura, a tenere compagnia e a coltivare le terre del nonno. Accanto a lui un uomo più vecchio che ha la terra nelle vene e nel modo di parlare. Due espressioni di un territorio che riescono a stare insieme e a condividere.
Guardo in su la punta del monte mentre Enrico prepara il trattamento, acqua, rame e zolfo.
Stai attento che poi lo devi preparare tu.
Mi appunto le quantità e le proporzioni e osservo i movimenti tra i colori degli elementi della natura, la tavola periodica che vedo nella materia. Le gocce di pioggia continuano ad accompagnarci ma si va dritti seguendo una necessità protettiva.
Saliamo la erta che passa tra i vigneti e che punta verso l′alto. Ci portiamo due secchi, una tanica di benzina e un mastello. Io quello che riesco della mia attrezzatura ed Enrico anche l′atomizzatore. Appoggiamo le cose davanti ad una piccola casa e riempiamo il mastello con l′acqua della cisterna mescolando il blu e il giallo.
Una tuta bianca, una maschera, la vestizione per il lavoro odierno.
Le ultime raccomandazioni e si inizia.
Enrico parte a camminare lungo il filare della Barbera, una nuvola di aria e liquido tra lui e le foglie di vite e il rumore di continuo decollo del motore dietro le sue spalle.
Mi guardo attorno con un pò di ansia per operazioni che mai avevo fatto e che a breve mi toccheranno.
Respiro un respiro di tranquillità, poi afferro la macchina e scatto qualche foto e rimango dritto sul tratto scosceso dove poggio oggi le mie irrequiete piante tra la roccia di un monte camminato e l′erba e le vigne e un paese chiamati Erbanno.
Vedi, Enrico, i tuoi vini in qualche modo hanno il paese nella propria anima. Ci ho sempre sentito un ché di erbaceo dentro. Gli dissi tempo fa.
È il momento di ricaricare l′atomizzatore. Enrico si siede all′inizio di un filare, io svito il coperchio e ci verso il secchio pieno. E via, si riparte.
Tra un ricarico e l′altro cerco di sistemare gli obiettivi e il cavalletto per una ripresa dall′alto ma con la pioggia che aumenta e gli spostamenti dei secchi e la difficoltà del terreno desisto per concentrarmi su quello che serve. Il mastello è quasi vuoto, è l′ora ripreparare il tutto. Leggo le proporzioni che mi sono segnato e con attenzione verso rame e zolfo e mescolo. Poi scendo a sistemare due secchi pieni a principio filare. È un continuo salire e scendere, avvicinarsi al monte e lasciarlo alle spalle e puntare al campanile di Angone che suona sotto di noi.
Enrico si ferma e si siede. Lo raggiungo e un nuovo secchio riempie la tanica. Questa volta il movimento è impreciso e il liquido biancastro scende sulla sua schiena.
Guarda che la doccia la faccio dopo.
Scusa, starò più attento.
Passiamo all′ultimo vigneto, vicino le oche, lo stagno e le arnie. La pioggia si è fermata. Le foglie sembrano aver trattenuto il preparato. Mi passo la maglietta sul viso sudato e penso a quanto debba sudare Enrico dentro quella tuta sintetica.
L′ultimo trasferimento di mastello e secchi giù alla Barbera bassa. L′ultimo riempirsi di acqua rame e zolfo.
Le 12:30, abbiamo finito. Enrico si toglie la maschera.
Ne esce un volto segnato di fatica.
Prima di andare a mangiare guardiamo come stanno i grappoli di Erbanno, questo vitigno imparentato con il Lambrusco Maestri. Due trattamenti a file alternate e ciò che vedo sono piante in salute e grappoli in buona forma.
Torniamo a casa e insieme a Cinzia raggiungiamo la piccola trattoria della Sapi a Esine, pochi chilometri da Boario. Enrico è un periodo che assaggia Lambruschi come a cercarci dei segni, delle analogie con il suo vitigno camuno.
Quest′anno vorrei vinificarlo anche come un Lambrusco, rosato e rifermentato in bottiglia.
Sarà molto interessante vedere come si comporta. Sono proprio curioso.
Fatalità, il ristoratore ci propone un Lambrusco di Camillo Donati.
Senti? C′è una parte di Erbanno.
Il vino accompagna un piatto di gnocchi grandi ripieni di formaggio di capra dell′azienda di Artogne, Le Frise.
Il vino accompagna un piatto di gnocchi grandi ripieni di formaggio di capra dell′azienda di Artogne, Le Frise.
Un buon incontro.
Dai, che ci aspettano i vini da assaggiare in cantina. Voglio farti sentire alcune cose nuove.
Sarà un piacere.
Salutiamo Cinzia, apriamo il portone della cantina, prendiamo due bicchieri e iniziamo.
Mettiamoci sugli scalini fuori a bere, all′aria aperta.
Un colore violaceo vivo, una frutta tesa e acida. Finalmente l′Erbanno.
Questa è la versione in acciaio 2014.
Ora assaggiamo quella in legno, ha una macerazione più lunga.
Sai, mi sembra già pronta quest′ultima versione, molto fresca, buona.
Il rifermentato lo vedremo nel 2015 allora?
Penso di sì.
Poi torna in cantina e riesce con un nuovo assaggio.
Un Nebbiolo carico di energia, profondo e carezzevole.
Allora non l′hai ancora imbottigliato questo Colpo della strega!
No, l′ho messo in acciaio ma è questione di poco.
L′annata 2012 è stata un anno di grazia per questo vino. Ne verranno fuori poche bottiglie e incontrarle sarà una bella esperienza.
Questo, invece è un 2014. È stato nella stessa barrique del Nebbiolo.
È davvero buono. Un pò vegetale, peperone come se avesse del Cabernet oltre al Merlot. Questa barrique te la potresti portare a Bordeaux, sarebbe un colpo per i francesi.
Sì, sembra un taglio bordolese anche se è Merlot in purezza.
Dev′essere merito della barrique.
È un buon legno.
Chissà come è stata fatta e che vita ha avuto, quali pensieri l′hanno attraversata, quali vini?
E pare più vecchia di quello che è, importante.
Passiamo al Merlot 2010 che mette in circolazione una sensazione di radice amara e un tratto erbaceo.
La mano, il respiro, la testa di Enrico, sempre presenti nei suoi vini, un tratto comune che rivendica una origine, una scelta che tiene conto dell′uomo e della materia che gli sta attorno.
Con i bicchieri in mano parliamo di fiere, di guide, di chi, da esterno, lavora in questo mondo. Bisogna andare oltre alle solite critiche o posizioni ferme che rigettano o abbracciano un′idea.
Bisogna parlare e mantenere vivo il dialogo tra chi si trova ad affrontare una stessa situazione. Parliamo di certificazione biologica come punto di partenza per cambiare qualcosa, a partire dalle regole della certificazione stessa. Scuoto il capo a tratti, ma cerco di capire le ragioni e di pensare in avanti, a dove porterebbero le cose.
Ho sempre visto in Enrico questa voglia di provare, di proporre. L′ho visto attento e sensibile alle parole degli altri. Alzare la voce per cercare di far capire una propria opinione, cambiare e cercare un qualcosa di diverso con giovane curiosità. E poi lavorare, da solo o aiutato dalla mamma Rosi, dalla sua tenacia.
Mette entusiasmo il solo sentirlo parlare, si è davanti ad una persona che crede in quello che fa.
Mi veniva facile approcciarmi ai libri che parlavano di vigna e imparare i lavori durante l′anno. Ho lasciato gli studi di giurisprudenza e il sogno di lavorare con i cani. I vigneti di mio nonno erano qui e sono ripartito da qui.
Assaggiamo ancora un bicchiere.
Che ne pensi?
Buono, ha la freschezza di un Nebbiolo e la larghezza di un Merlot. Questa è l′ultima annata di Lambrù che andrà in bottiglia.Barbera, Marzemino e Merlot. 2012.
È davvero buono. Dà l′idea di un′armonica compresenza di diversi vitigni appoggiati su di uno stesso territorio.
Ti spiace che sia l′ultima annata?
Non bisogna legarsi troppo alle cose. La direzione che ho deciso di prendere rispetta una coerenza mia e della terra che lavoro. Anno dopo anno ricerco quella che per il vino potrà essere una buona interpretazione. Sono io, la terra, la sua storia e l′uva che raccolgo dopo il lavoro di una stagione.
Cinque anni fa ero salito fin qui a piedi dalla stazione di Boario. Venti minuti di camminata veloce di montagna. Avevo letto di un incontro con alcuni vignaioli della Valle nel monastero del paese dove abitavo, Provaglio d′Iseo. Non avevo potuto partecipare. Ma ero curioso di un vino fatto in un luogo dove non sapevo esserci vino. Ho telefonato, mi ha risposto Enrico.
Io sono qui. Vieni pure che ti faccio vedere le vigne e facciamo due chiacchiere. Poi siamo andati in cantina ad assaggiare i vini proprio come stiamo facendo adesso.
Fermati a pranzo. Ti riaccompagno io in stazione dopo.
Fu un esordio di sincerità e un piacere di incontro. C′era la felicità di parlare di un′esperienza e una felicità di conoscere e di ascoltare.
Non è cambiato molto. Ogni volta che arrivo ad Erbanno lo faccio camminando a piedi dalla stazione fin su, alla fine della salita di via Rossini.
A volte proseguo verso la cima dell′Altissimo, altre, mi fermo a parlare, ad aiutare, a bere e mangiare con chi quella vetta la vede tutti i giorni e ce l′ha nelle gambe nel continuo scendere e risalire la vigna. Quell′uomo che spesso da solo tocca le piante e parla a sé stesso e ascolta e annusa l′ambiente e cerca di tracciare, come un antico camuno, i segni di un passato che attraversano il tempo e le emozioni e restituiscono un senso. La sua roccia si chiama Erbanno. Le sue incisioni, vive nel movimento di un vino.