Bloganch’io

Per esempio le mogli, secondo lui (il sociologo Howard Higman della Colorado University, ndr) sono portate a chiedere ad alta voce dalla stanza vicina: “Che cos’’è?”, aspettandosi che il marito si alzi e vada da loro per vedere di cosa si tratta, e raramente restano deluse. A un suo amico sposato riuscì però il tentativo di dare a questa situazione archetipica una nuova svolta, ribaltando la situazione. Sedeva nel suo studio, quando sua moglie ad alta voce chiese dall’’altra stanza: “E’ arrivato?” Senza sapere di che si trattasse rispose: “Sì.” Subito lei volle sapere: “E dove l’’hai messo?” “Assieme all’’altro”, disse il marito. Per la prima volta da quando era sposato, riuscì in questo modo a lavorare indisturbato per delle ore.
(Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici, 1983)

Circa tre mesi fa ho “innestato” i Really Simple Syndication (RSS) sul mio browser: sono in alto a destra, estrema destra, tra i link veloci. Da allora sto diventando parzialmente orbo. Nessuna malattia, ma come strategia difensiva ho cominciato ad osservare il browser offuscando la vista di quell’’angolo specifico di monitor. C’’è la scritta RSS e un numerino tra parentesi che conta quante nuove notizie devo ancora leggere e senza alcun pietà scandisce il mio incessante accumulo di ignoranza…. Io provo a non guardarlo per proteggermi dai sensi di colpa per non essere in grado di mantenermi con costanza sufficientemente informato, ma non basta.
Non basta perché ogni difesa custodisce l’’anima di un disagio, un disagio che è evidentemente altrove. La domanda ora è: ci sono veramente così tante cose importanti da comunicare, da dover commentare?
Certo, potrei difendermi da questa epidemia grafomaniacale semplicemente ignorandone i frutti e riferendo la mia attenzione a firme “garantite”, potrei cioè usare internet come l’’edicola sotto casa dove ogni mattino compro sempre lo stesso quotidiano, continuando, in caso di necessità, a consultare gli “altri” online. In questo modo però finirei per cadere nel paradosso di dovermi difendere dall’’originario nobile spirito della libera comunicazione sul web, negandomi cioè, aprioristicamente, la possibilità di incontrare pensieri e persone nuove. È evidente che la questione non è semplice. Mi mette in crisi, non lo posso negare.

Si scrive troppo e spesso lo si fa per motivi troppi lontani dalla voglia di comunicare. La ricchezza di possibilità che il mezzo internet offre permette a chiunque di occuparsi di qualsiasi cosa: bello, molto bello. Legittimo e condivisibile fino a quando chi scrive è un libero pensatore; tendenzialmente irresponsabile quando chi lo fa si presenta come un professionista che vuol essere un riferimento per i lettori perché La comunicazione, prima superstizione del nostro tempo, ci viene proposta come la risorsa capace di regolare tutto, –in particolare i conflitti in seno alla famiglia, alla scuola, all’’impresa e allo stato. Le viene assegnato il ruolo di grande pacificatrice. Si incomincia però a sospettare che la sua stessa sovrabbondanza provochi una nuova forma di alienazione, e che i suoi eccessi imprigionino le menti anziché liberarle. (Ignacio Ramonet, La seconda rivoluzione da Il Mondo che non vogliamo, 2002)
Qualsiasi forma scelta per proporre il proprio pensiero dovrebbe contemplare quindi implicitamente una forte responsabilità nella scelta dei modi e delle forme e una rigorosa disciplina etica nella selezione degli argomenti, per evitare di sfinire la funzione sociale della comunicazione stessa.

Per operare una corretta e distaccata analisi dei contenuti e del loro ruolo, non si può quindi prescindere dall’’indagine delle motivazioni che sono all’’origine dell’’atto stesso dello scrivere.
I blog, in modo particolare, stanno svelando nell’’uso compulsivo che molti ne fanno, la loro reale ragione di essere. Spesso originati da più o meno condivisibili interessi economici, necessitano di un’’asfissiante e costante presenza di nuove micro informazioni che sembrano ripetere al lettore “ricordati che esisto ed esiste chi mi paga… quindi leggimi e butta un occhio allo sponsor”. Molto più spesso però si manifestano come forma di alienazione e coatta risposta telematica alla solitudine. In alcuni casi contano anche più di dieci nuovi “pensierini” al giorno ed è facile immaginare che i rispettivi autori compiano ogni gesto della propria vita quotidiana con l’’ossessione di renderlo degno di essere raccontato e con la presunzione di giudicarlo sempre e comunque tale: un urlo di disperazione. Ad esempio, nel mondo del vino il piacere conviviale del bere tra amici arriva ad essere completamente snaturato fino a diventare caricaturale perché la principale preoccupazione sarà sempre quella di rendere la bottiglia oggetto di una breve nota e se non lo è di suo, bisognerà trasformarla in tale.
E’ una sorta di percorso alla ricerca di una riconoscibilità, individuazione e “tracciabilità” della propria persona, tanto lineare quanto devastante. Partecipi ai forum e non sei apprezzato? Rispondi a qualsiasi sollecitazione proponga l’’autore del tuo blog preferito e ricevi poca considerazione? Bene, puoi risolvere tutto aprendoti un tuo personale spazio di sfogo online di cui sarai il riferimento, l’’autore e dove sarai tu a dare i resti a chi vorrai… perché non è importante di cosa si scrive, è importante che si scriva. Ti rende visibile e riconoscibile, soprattutto a te stesso…
Devastati da questa solitudine, finirà con tutti a scrivere e nessuno più a leggere.

Il mondo dell’’editoria grande e piccola, di settore e generalista soffre e raramente riesce a far altro dall’’inseguire in maniera scomposta l’apparente successo di queste nuove forme di comunicazione. In alcuni casi assorbe i “punti di aggregazione telematica” di maggiore tendenza snaturandone di fatto la natura originaria, altre volte ne crea di nuovi mortificando i propri redattori costretti a produrre come vacche da latte.
La scrittura online è assiomaticamente considerata una scrittura light, immediata. Questa, quando è chiara e coincisa, è la nobile funzione del mezzo che permette la diffusione di facile accesso e reperimento delle notizie. Il problema è che ciò sembra aver legittimato anche il commento light, svogliato. E così, nella stragrande maggioranza dei casi, un giornale online non ha né redazione né capo redattori e le “obsolete” pratiche del confronto, delle correzioni di bozze e simili perdite di tempo non sono state mai neanche prese in considerazione. E’ come se si partisse dal presupposto che c’è sempre tempo per scremare, per correggersi, per decidere a cosa dare ancora spazio, perché tanto si può sempre rispondere alle obiezioni nel forum appositamente dedicato alla notizia in questione, rilanciarla nel blog… Una proliferazione di inutili sovrapposizioni, ripetizioni che si sta lentamente trasformando in un ormai irrinunciabile mezzo di mediazione; un grande pacificatore, che permette di poter trovare, aggiustamento dopo aggiustamento, comunque un accordo tra tutti su tutto… la costruzione del pensiero unico. Se poi si ha la presunzione di non essere stati capiti, ci si può sempre incaponire a scrivere nuove note. Editoriali su editoriali per mettere ordine tra le cose già dette, ma che, nella sostanza, non si è stati in grado di comunicare attraverso la propria passione e la propria presenza: editoriali sterili che sterilizzano e distillano riflessioni che, evidentemente, se non sono arrivate non sono mai neanche esistite.
Questo è il devastante scenario dell’’editoria online in cui gli autori/editori hanno persino il coraggio di lamentare uno scarso interesse da parte degli inserzionisti, che ben si guardano dall’’investire in questo settore. Ma perché dovrebbero se la qualità offerta è così poco controllata e garantita?

Quanto alle terapie multimediali e digitali, senza dubbio hanno un senso, ma guai a illudersi che si tratti solo e semplicemente di un altro canale, colorato e cliccabile, cui aggrapparsi perché così va il mondo giovane. Agli editori e ai giornalisti dovrebbe essere chiaro che paradossalmente l’enorme disponibilità di notizie, informazioni e conoscenze in rete, spontaneamente prodotte da lettori che si fanno essi stessi autori, implica pesanti conseguenze per la stampa, di inchiostro o di bit che sia.
La prima è che i giornali devono essere fatti molto meglio, dato che i lettori possono farne a meno e ci frequenteranno solo se offriamo più qualità. La seconda è che diventa sempre più importante il ruolo dei mediatori di conoscenze: il cosa è successo lo si sa, mentre il come e il perché anche in rete restano dei misteri e richiedono intelligenze umane e cultura. Tutto questo, occorre dirlo, costa: i computer e le memorie dei dischi si comprano a basso prezzo, ma un’analisi ben fatta può richiedere almeno due giorni di lavoro specialistico che costano (quanto costa uno stipendio dignitoso di un essere umano). Chi pensasse di fare giornalismo online con contratti saltuari e sottopagati (20 euro a pezzo) si illude: decidano se investire oppure no, e lo dicano. (Franco Carlini, da Il Manifesto – 1 ottobre 2005).

P.S.: in queste ultime ore i miei RSS sono cresciuti di 15 unità. Le nuove notizie le ho messe assieme alle altre….