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Corso di panificazione e granicoltura – Seconda lezione

Fabio Ciri è il proprietario dell’azienda Le Due Torri di Spello, tra Foligno e Assisi, provincia di Perugia. Da sempre è legato all’agricoltura, la famiglia paterna coltiva tutt’ora tabacco e barbabietole con un’impronta chimico-convenzionale; dal 1992 ha preso in mano la proprietà materna, un allevamento di bovini. Ha studiato agraria e il suo sogno era la programmazione agricola agroindustriale: «Dal 1993 ho iniziato a condurre i 150 ettari con regime biologico. Aver sempre avuto a disposizione l’allevamento bovino ha semplificato la conversione: la continuità del letame per tre generazioni ha consentito la fertilità dei terreni nonostante la chimica adoperata. Nella mia famiglia sono convinti dell’agricoltura convenzionale mentre io vorrei riuscire ad avere un’azienda sostenibile di tipo alternativo ma che porti risultati confrontabili e inconfutabili, che diano sostegno all’agricoltura del futuro».

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Fabio procede tra il silenzio e l’attenzione dei corsisti: «Sono arrivato alla biodinamica perché, in questo mondo, ci sono molteplici equilibri a cui badare ed è importante mettere in discussione il sapere che ci hanno inculcato, cambiare l’approccio conoscitivo a tutti i livelli, da chi compra il pane a chi conduce la terra. La conversione dell’azienda è stata una sfida difficile, più che altro riadattare la mentalità delle persone che ci lavorano: in biodinamica non si misurano le quantità come nella scienza tradizionale ma la vitalità del terreno e della materia prima, si lavora con altri sistemi analitici». Fabio e Ivan Pizzoni hanno avviato un progetto proprio quest’anno, disponendo analisi chimiche, cristallografiche e cromatografiche in collaborazione con la Facoltà di Agraria delle Università di Bologna e Perugia.
In un anno di sperimentazione dovranno valutare – campionate quindici particelle diverse su duecento ettari di terreno nella piana di Spello seminate a grano tenero, avena, orzo, segale e miglio – la sostanza organica e la sanità del terreno. Stesso processo sui grani teneri Bologna e Gentil Rosso e sulle farine derivate. Naturalmente analizzeranno anche la pasta madre per osservare i cambiamenti apportati dalle farine biodinamiche.
Prosegue Fabio: «Le varietà e le tecniche di panificazione sono importanti ma alla base c’è la terra. Il cereale è una pianta archetipica: il chicco, e quindi la farina integrale, racchiude un processo complesso. Esplora la terra per almeno sei mesi – seminiamo a novembre e fino a marzo sono apparentemente quiescenti – sembra dormire invece è in piena attività, l’apparato radicale è enorme rispetto alle dimensioni del chicco. Dall’aprile successivo alla semina, il processo si rivolge verso l’alto e fino alla raccolta di luglio avviene il massimo assorbimento della luce tramite fotosintesi. Il chicco è il massimo di quel che può dare l’interazione tra la terra e il cielo. La farina è la macinazione di questo concentrato che dovrà avere il germe – il “ricordo” e la parte salina dell’esplorazione radicale – e il tegumento esterno. È indispensabile che il cereale sia integrale perché contiene in sé l’equilibrio massimo fra la terra, la luce e il calore. Con la biodinamica si riesce a fare un prodotto diverso solo perché siamo in sintonia con i segnali che ci fornisce la natura, non c’è alcun tipo di magia ma il mondo industriale non lo capisce, ha altre logiche».

Ivan Pizzoni interviene per sottolineare che il progetto nasce dal desiderio di avere la disponibilità di prodotto locale e dalla voglia di continuare a fare un prodotto che rappresenti l’Umbria, un progetto di filiera chiusa. Partire dalla coltivazione e arrivare al prodotto finito. Parte delle materie prime prodotte – le altre provengono da allevamenti selezionati e agricoltura biologica – sono alla base delle ricette del Cucinaa che vede insieme a Ivan i due chef  Marco Gubbiotti e Andrea Santilli.

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A questo punto, inizia a raccontarci dello storico Forno Pizzoni, a Foligno dal 1935, condotto da tre generazioni. Ivan è il nipote del fondatore, si è appassionato a quest’arte dopo aver conseguito gli studi in Scienze Politiche. Inizialmente si occupava della pasticceria, il pane era un affare per esperti: «Capitava che mi distraessi e lasciassi qualcosa in forno oltre il tempo di cottura. Gli operai non mi avvisavano, altrimenti non avrei mai imparato a gestire i tempi e prendendomi in giro, mi dicevano: Non è mica un frigorifero!».
Sono state molte le difficoltà nel gestire e portare avanti al meglio la tradizione di famiglia.
Il forno incastonato nella muratura – uno dei pochissimi esempi in Italia – è ancora l’originale, costruito al piano terra di un palazzo al centro della cittadina umbra. Tecnicamente molto avanzato, ha la capacità di cuocere circa 1 quintale e mezzo di pane per ogni infornata. «Non riesco a immaginare il mio lavoro senza», dice Ivan.
La manutenzione non richiede molti sforzi ma rimettere a posto la rottura di una lastra comporta molta delicatezza e l’utilizzo di acqua, farina e cenere; ovviamente non si può stuccare con prodotti chimici. È stato necessario chiudere una settimana per portare il forno a 100°C. Già questo dato spiega la capacità del forno di trattenere il calore: «Sotto il pavimento c’è una lunghissima serpentina in ferro ampia 9 metri quadri. Le punte terminali catturano il calore e trasmettono per conduzione a tutto il metallo che, per induzione, riscalda le pietre. Anche se spento per 24 ore, la temperatura della camera di cottura, dalla lunghezza di oltre 4 metri, non scende sotto i 180°C, infatti prodotti di pasticceria sono cotti a forno disattivato che, in 18 ore, perde “solo” 50°C.
Ivan ci racconta che in questi giorni di freddo improvviso, il forno è stato di grande aiuto: «Le pagnotte stentavano a lievitare, i tempi sono comunque dettati dall’orario di apertura del negozio. Abbiamo aumentato il calore e il pane è cresciuto comunque, con un forno tradizionale avremmo dovuto rifare l’impasto e, data la lievitazione di almeno sei ore, avrebbe significato perdere la giornata».

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La tipologia di pane che più rappresenta il Forno Pizzoni è il tipico di Foligno non salato dal peso superiore, una volta cotto, di 2 kg e che richiede 1 ora e mezza di cottura a 230°C.
Ivan non sforna più di tre quintali di pane al giorno, per impastare usa solo macchinari a braccia tuffanti perché imitano il movimento delle mani. Tutto il lavoro è manuale, una volta spezzati i filoni, li pone sul tavolo e li copre per proseguire la lievitazione.
«Non puoi avere piena padronanza nella lavorazione con la pasta madre, ci sono molti fattori ambientali che incidono sulla riuscita del pane ma la bellezza è proprio questa. E poi caratterizza molto il pane dal punto di vista organolettico. Ci prendiamo il rischio che ogni giorno il pane sia diverso, e per fortuna! La sicurezza è nella durata di sette giorni, utilizziamo solo farina naturale di tipo 1 o 2 da grani coltivati in Umbria e moliti da un antico mulino a pietra; ci piace pensare che anche il pane restituisca il territorio». 

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foto di claudio caputo