Copia di Pieropan

Cosa è stato Pieropan per noi amanti del vino

Il nome Pieropan è apparso nella mia memoria molto tempo fa, quando al vino Soave erano collegati pochi nomi, Bolla, Bertani e Santi sono quelli che ricordo di più. Poterlo comprare era il privilegio di noi enofili che, al principio degli anni ottanta, non ci fermavamo alle aziende distribuite in modo capillare. Seguivamo le tracce veronelliane per conoscere vignaioli dei quali coltivavamo il mito. In quegli anni, la denominazione Soave ha vissuto il suo rilancio grazie a Leonildo “Nino” Pieropan e, entro certi limiti, al suo collega e amico Roberto Anselmi di Monteforte d’Alpone.

Copia di Pieropan
foto di giampi giacobbo

Nel contempo Nino stava ridefinendo la figura del produttore che lavora uve proprie e delinea una strada alternativa ai due estremi ai quali il consumatore era destinato fino a quel momento: o si accontentava del bianco degli industriali ormai diventato acqua, oppure tentava la sorte col vino del contadino venduto sfuso che poteva essere commovente ma anche, e più probabilmente, essere instabile, inconsistente, inaccettabile.
Cresciuto sotto la guida del padre, Nino aveva compreso sia quanto fosse fondamentale ritornare a considerare il vigneto come il principale propulsore del liquido, sia quanto fosse utile crearsi una competenza per adeguarsi alla qualità della materia prima. Pieropan credeva nella garganega e in quelle varietà, come il trebbiano, detto in loco “turbiana”, che potevano essere una preziosa spalla, assecondando la consuetudine suavese. La pergola semplice dei suoi vigneti più vecchi era una delle risorse per rafforzare la personalità della garganega, sebbene l’esperienza gli avesse offerto l’opportunità di adattare gli impianti alle condizioni che ogni collina del territorio proponeva. Nino aveva appurato che nel comune di Soave da tempo si era affermata la pratica di separare il mosto fiore dalle bucce, a differenza della vicina Monteforte dove in alcune contrade, come Brognoligo, era stata mantenuta l’abitudine della fermentazione con macerazione.
L’eleganza e l’equilibrio, la lunghezza e la persistenza, sono stati a lungo gli aspetti distintivi dei migliori vini di Pieropan, il quale si era applicato con successo anche al Recioto e al Passito, ottenendo risultati vibranti e armonici. Per anni i Soave dell’azienda di via Camuzzoni hanno saputo maturare, anche nel rovere, e affinarsi nel vetro evolvendosi in affascinanti complessità.
La coerenza di Pieropan non si è mai piegata alla moda di passaggio, la bellezza delle sue bottiglie era emersa proprio quando il vino bianco non lo voleva più nessuno, tanto da poter mantenere prezzi autorevoli e non farsi trascinare in soluzioni superficiali e posticce.
La sua capacità di vedere oltre un risultato immediato, e di pianificare con giudizio il lavoro, è stata chiara quando ha saputo dare ai suoi due figli la possibilità di produrre in proprio in due zone differenti. Un segno ulteriore di quell’unità familiare, costruita con la moglie Teresita, che si traduce in azioni che rendono meno nebuloso il futuro.

Come sostenitore del vino naturale, è stato fatale che io cambiassi la mia percezione di molti dei liquidi che un tempo ho amato profondamente, verso i quali non ho più ritrovato la medesima e avvincente sintonia. È accaduto anche con Pieropan che, probabilmente, non ha cambiato quasi nulla del suo modo d’intendere il vino. La questione riguarda la metamorfosi del mio approccio e il desiderio di sentire il liquido in modo completamente diverso dal passato.
Il territorio di Soave, salvo qualche sprazzo, non ha ancora saputo trovare un produttore capace, attraverso una scelta naturale, di difendere e rappresentare la personalità di un vino tanto prezioso. Nessuno, solo pochi anni fa, avrebbe immaginato che per bere una Garganega interessante avrebbe preferito andare a Gambellara o, addirittura, nei Colli Euganei. Col suo modo educato, Nino Pieropan è stato un leader, un esempio, un interprete creativo e sensibile.