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Etna, talento cristallino. Le note di degustazione

a cura di sandro sangiorgi e matteo gallello

Il seminario, svolto presso la sede di Porthos, è stato organizzato da Matteo Gallello con l’aiuto di Miriana Baraboglia e Claudio Caputo, condotto da Sandro Sangiorgi. Un grazie particolare a Giuliano Milana, sismologo e vulcanologo, a Salvo Foti, enologo e presidente del Consorzio I Vigneri, a Frank Cornelissen e Alberto Graci.

 

La prima lezione, 4 febbraio

Minnella 2012 Calabretta (Randazzo)
Etereità, ariosità, salato. La lieve linea ossidata smorza i sentori giovanili e semplici dell’odore. Confetto che evoca morbidezza, arancia acerba. In bocca la freschezza è incisiva, immediata, tanto elementare da far emergere la parte salata e da far pensare che il liquido abbia un’elevata portata alcolica (in etichetta dichiarati 12%). In compenso l’acidità gratifica il lato più fruttato e colorato, e il sale è piacevolmente amaro.

Outis Bianco (carricante, catarratto, moscatello, minnella, malvasia di Candia) 2010 I Vigneri di Salvo Foti (Randazzo)
Il colore dichiara una maggiore maturità, percettibile anche al naso; il profumo è variegato, lascia trapelare l’aspetto marino, la florealità appena aromatica e il probabile influsso di una macerazione, peraltro non dichiarata dal produttore. In bocca è materiale nell’impatto e nel cuore largo e sostanzioso. L’acidità colpisce, è come “adulta” e rende più liquido lo sviluppo che non perde la sua trama; tornano le erbe medicinali e non manca una vena tannica.

Monovitigno Nerello Cappuccio 1999 Benanti (Viagrande)
Carnoso e vegetale. Viola e sandalo. Stagionato, ancora integro. Esotico poi sanguigno. Il rovere inizia e chiude l’espressione odorosa, lasciando una parentesi moderna e affascinante. Tannino centrale, un po’ asciugante. L’acidità è in forma, vigile. La salinità e le sensazioni tattili sorprendono. Torna il lato vegetale. L’aggressione del legno penalizza parte delle sensazioni finali.

Etna Rosso (nerello mascalese) 2011 Graci (Castiglione di Sicilia)
Materiale, contrastante nell’accezione positiva, lieve nota verde, giovanile. Generoso e rustico. Olive, poi toni selvatici. Tannino appuntito e un po’ polveroso. Il vino tende la lingua in modo compatto, è lineare ed essenziale. Diverse persone ne hanno criticato l’eccesso di prevedibilità.

Quota 600 (nerello mascalese) 2011 Graci (Castiglione di Sicilia)
Distinto, quasi altezzoso. Terra, polvere. È il primo vino della batteria a scaraventare la mineralità sulfurea, in modo che non si abbiano dubbi sulla sua originalità. Tannini molto eleganti e acidità nervosa, ritorni di rosa macerata sovrapposti alla densità della mora.
Si staglia nella memoria grazie alla sua progressiva rarefazione, come se volesse preannunciare la personalità luminosa del successivo.

Quota 1000 (nerello mascalese) 2009 Graci (Castiglione di Sicilia)
Cenere e confetto di viola. Sorprende la linea dolce e viscerale della carne ovina. Sassi di fiume. Tannino levigato, acidità compensatrice. Ha la morbidezza della concentrazione del frutto, i profumi di fiori sono così inebrianti e maturi da apparire “sfacciati”, notevoli i ritorni di radici e la profondità del gusto, ha un ché di energetico, come se il suo sangue passasse nel nostro. Non è il vino con la maggiore corposità, ciononostante è quello che tocca le corde più sensibili della nostra emotività.

Rovittello (nerello mascalese e nerello cappuccio) 1999 Benanti (Viagrande)
Predisposizione a donarsi e contemporanea capacità di distillare la propria ricchezza. Subito carne bollita e pietra sgretolata, alcol esuberante e toni sanguigni accanto alla finezza della florealità; lascia intuire l’annata più equilibrata della successiva. Tannino preciso. Acidità e piccantezza. Scarno e asciutto, di grande fascino.
È interessante il confronto col Cappuccio 1999 bevuto qualche minuto prima; sebbene il colore sia meno concentrato e non manchino coincidenze espressive, il Rovittello emana un’idea di proficua evoluzione che all’altro fatalmente non appartiene.

Rovittello (nerello mascalese e nerello cappuccio) 2000 Benanti (Viagrande)
Il colore granato consegna un’idea di concentrazione. Al naso tale carnosità è confermata da sentori di verdura grigliata (peperoni) tali da evocare contaminazioni bordolesi. Stratificata è la fluvialità, dalla quale scaturiscono sia la vena sulfurea sia la pietra levigata. In bocca è muscolare, balsamico, mediterraneo e solare. Tangibile la qualità del tannino, l’acidità non si fa pregare sebbene il fervore alcolico restituisca un finale largo e quasi tenero.

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La seconda lezione, 18 febbraio

Rosato (nerello mascalese) 2010 Calabretta (Randazzo)
Inizio poco espressivo e compassato, nel bicchiere si trasforma ed evoca sentori salmastri e di frutta macerata; nel complesso dà un senso di sicurezza per la sua costanza odorosa.
In bocca, dov’è subito avvolgente e tenero, si avverte l’alcol pronunciato che rende il corpo voluminoso; s’inseriscono bene l’intensa salinità, il lieve tannino e l’acidità. Dopo aver avvertito una nota bruciante nel finale, il vino lascia in eredità un bel sentore di distillato di ciliegie.

Vinudilice (alicante, grecanico, minnella e altri minori) 2010 I Vigneri di Salvo Foti (Randazzo)
Inizio confuso, disunito. Dopo qualche minuto salgono odori di glassatura, aghi di pino e acqua di mare. L’idea è di un vino coraggioso; diviene sfaccettato e si trasforma passando dalla buccia di mela golden all’origano, tequila e rocce sfregate. Una delle rare testimonianze di cristallina mineralità odorosa.
L’acidità in bocca è impetuosa, la qualità salina è quella della terra; di grande persistenza.
Il tannino è palpabile, snello e la leggera aromaticità lo rende ancora più vario e nell’allungo di piacevole, tenue esuberanza.

Etna Rosso Serra della Contessa (nerello mascalese e nerello cappuccio) 2004 Benanti (Viagrande)
Balsamicità e speziatura, erbe officinali, agrume; poi emerge il lato animale accanto a quello autunnale di tabacco, la sua varietà è d’intonazione oscura, poi assume un andamento regolare, quasi confortevole.
Compatto e di presenza in bocca, i tannini hanno una tessitura disordinata e manca una verve davvero reattiva, così il vino procede discontinuo e non completa la sensazione tattile. Semplificato dal legno, conserva un’appassionante radicalità nel finale amaricante.

Magma (nerello mascalese) 2011 Cornelissen (Solicchiata)
L’impatto odoroso è al limite del mutismo; essenziale, tratteggiato, lascia trapelare l’altitudine con i sentori di terra lavica macinata e una resinosa balsamicità. Rievoca i Quota 600 e 1000 di Graci degustati nella prima lezione, per la sottigliezza e la rarefatta luminosità; inoltre hanno in comune la variabilità odorosa, la complessità e il senso di raccoglimento. In più il Magma aggiunge il suo essere severo e la “perigliosa” dialettica con l’ossigeno. Emergono le erbe mediterranee chiare e un ritorno di conchiglie. Colpiscono la stratificazione dei tannini dalla stoffa certosina, l’acidità sferzante e il corpo asciutto. Grande emotività ed eleganza universale. Ricorda quei vini che possono sfuggirti in un confronto con colossi palestrati, ma che inaspettatamente emerge come l’unico vero ricordo credibile della degustazione.

Vinupetra (nerello mascalese, nerello cappuccio, alicante e francisi) 2006 I Vigneri di Salvo Foti (Randazzo)
Energico e muscolare. Esprime bene il significato di austerità. Frutto polposo e ricco, cachi, mela e buccia di fico, mentuccia. La possenza rende il liquido inizialmente un po’ statico in bocca. La scossa acida ha un ruolo importante nel determinare la dinamica. Il senso d’incompiutezza percepito all’inizio si attenua nel rapporto virtuoso con l’aria. Lascia la bocca macchiata dal legno ma è indiscutibile la sua fibra graffiante. A quel tempo Salvo Foti non aveva ancora maturato una scelta riguardo al rapporto tra vino e rovere, per questo i suoi due rossi – il Serra della Contessa è nato proprio da una sua idea – soffrono di un tannino gallico un po’ asciugante.

Pietramarina (carricante) 1999 Benanti (Viagrande)
Reticente, raccolto, graduale, pulito; ti spinge a sondare… La dinamica è lenta, affiorano sentori freschi di foglie e fiori di limone. La crescita è continua, si staglia sul complesso odoroso che riporta a un Riesling della Pfalz. Affilato e puntuale in bocca, la sua acutezza è aristocratica, un grande bianco meridionale che sfiora il confine dell’armonia. Lascia una lunga eredità aerea, vitrea.

Munjebel Bianco (carricante, grecanico dorato e coda di volpe) 2012 Cornelissen (Solicchiata)
Inizio espansivo di percoca, genziana, marsiglia, acqua nebulizzata.
Si ferma e riparte, è inquieto, cambia continuamente. I sentori fermentativi denotano la giovinezza del vino che esprime tutta la sua fragranza. La lunghissima macerazione non lo incupisce anzi lo rende fragrante e vario.
Sfaccettata la florealità che torna in bocca senza trascurare il lato più intenso e verace. Tannini nitidi e ancora scomposti, l’acidità possiede uno slancio nervoso. Dopo circa mezz’ora va rasserenandosi senza perdere il suo rigore.
L’intermittenza del vino dedicato al cono principale e più recente della Muntagna – il Mongibello è proprio la parte più elevata e attiva del vulcano – è una delle sue caratteristiche; alla fine, la notizia migliore è che Cornelissen si libera di questioni stilistiche e lascia parlare l’identità dei suoi luoghi-vini.

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