Mario Dondero - Porthos Edizioni

Ho viaggiato con Mario Dondero

Al tramonto, in un sussulto di luce invernale, la torre comunale di Petritoli si staglia come un minareto sul borgo medievale, appollaiato in cima a una collina a formare il più classico dei paesaggi marchigiani. In una sala disadorna del vecchio ospedale è allestita la camera ardente dove riposa il corpo di Mario Dondero. Un mazzo di garofani rossi e il fazzoletto tricolore dell’A.N.P.I. al quale era legato per i suoi trascorsi da partigiano in Val d’Ossola.

Mario Dondero - Porthos Edizioni

Nient’altro, nessuna corona, solo un invito a fare una donazione a Emergency per chi avesse intenzione di portare fiori. Sulla parete, sopra la salma una delle sue foto più note, quanto mai evocativa ora, intitolata L’uomo che voleva raggiungere la luna. Solo lassù non è riuscito a fotografare Dondero. Finora.
Mario Dondero è stato uno dei grandi fotoreporter italiani. Probabilmente il più grande. Non in virtù della retorica che vuole che siano sempre i migliori quelli che se ne vanno, lui lo era già in vita. Lo dicono le decina di migliaia di scatti (tutti rigorosamente su pellicola) di una carriera lunghissima in cui è stato testimone dei più importanti eventi dagli anni cinquanta fino a l’altro ieri; lo confermano le numerose mostre antologiche che gli sono state dedicate negli ultimi anni, una più sorprendente dell’altra; lo certificano le testimonianze dei suoi colleghi e di tutti coloro che con lui hanno collaborato. Per capire solo un po’ basta guardare Calma e gesso, il documentario che Marco Cruciani ha girato su di lui, presentato a Fermo il 6 maggio scorso, giorno del suo ottantasettesimo compleanno. Nato una manciata di giorni prima di Che Guevara, Dondero una leggenda lo è diventato in vita. Mica per nulla era stato ribattezzato Donderoad (che è anche il titolo di un suo libro fotografico commentato da Angelo Ferraguti e Massimo Raffaeli). Inafferrabile e ubiquo, aveva sempre un appuntamento con la Storia.
Ci lascia un archivio fotografico sterminato – da lui donato un paio di anni fa a Fermo, la sua città adottiva, dove sarà anche sepolto – con il quale sarebbe possibile fare esposizioni per una vita intera. Tuttavia non è questo il suo dono più grande. Negli ultimi quattro anni, insieme a Paolo Merlini, ho avuto la fortuna di frequentare Mario col privilegio di averlo come compagno di viaggio. Non sono molti, ma più che sufficienti per essere travolto dalla sua trascinante generosità, di essere contagiato dalla sua inesauribile gioia di vivere, di essere ammaliato dalle sue racconti incredibili. La percezione netta di uscire più ricco da ogni incontro. 
Negli ultimi mesi, già in condizioni molto gravi sul letto dell’ospedale, mi chiedeva con la sua innata curiosità dei nuovi progetti, dei nuovi viaggi. E gli occhi continuavano a brillare.
La sua passione per l’umanità e la sua signorilità ne hanno fatto un sontuoso interprete dell’arte dell’incontro, che solo in un secondo tempo, ma non era fondamentale, poteva generare ritratti fotografici di straordinaria intensità. «Non è che a me le persone interessino per fotografarle, mi interessano perché esistono» diceva. Durante il nostro viaggio in Abruzzo incontrammo il vecchio capostazione di Palena, un volto bellissimo, ma da me non voleva sapere di farsi fotografare. Poi arrivò Mario, che gli raccontò dei ferrovieri che aveva incontrato in mezzo mondo, delle rivoluzioni che sono passate lungo le ferrovie e chissà quali altre fantasmagoriche storie. Il vecchio alla fine si mise addirittura in posa per lui. Aveva sentito in Mario un fratello.
È da quando l’ho conosciuto che ogni volta che mi trovo sul punto di scattare una foto a delle persone, mi scopro a pensare a come avrebbe fatto Mario. Non in senso tecnico, questo aspetto della fotografia a lui non importava granché, ma a come si sarebbe comportato, a quello che avrebbe detto. Mario è inimitabile ma ogni mio scatto è anche un po’ suo.
È per questo che un giorno potrò raccontare con una certa fierezza che ho viaggiato con Mario Dondero. Ed è per questo che Mario continuerà sempre a viaggiare con noi.

Mario Dondero - Porthos Edizioni