Cipressi

Il Chianti, tra toscanizzazione risorgimentale e supertuscanizzazione post-moderna

Gli argomenti dell’articolo seguono l’approfondimento di Porthos racconta… Alberese e Galestro – Il Chianti storico, secondo viaggio svolta presso la sede di Porthos il 12 novembre e dedicata alle zone storiche del Chianti Classico

Leggi il primo viaggio nel Chianti storico


Chianti Riserva (sangiovese, canaiolo, colorino, trebbiano, malvasia) 1971 Villa Rosa (Castellina in Chianti)

Due bottiglie dall’esito molto diverso. La prima ha il livello del liquido sotto la spalla, a dispetto di una  inevitabile e più spinta ossidazione, evidente nel compendio odoroso con note di tamarindo, pomodoro secco, caramello e curry che vanno decomponendosi e si riversano in bocca dove troviamo un’apparente sorpresa, un’acidità pronunciata: in realtà, la perdita di volume del vino corrisponde a una sorta di concentrazione, con la conseguenza che la sensazione acida appare più intensa, l’unico appiglio gustativo rimasto a un vino decrepito.
L’altra, perfettamente conservata nel livello appena sotto al collo (e con l’etichetta quasi disfatta) mostra nel pallido colore arancio-rosa una vena più vivida della prima, oltre a una lieve velatura, segno che il liquido è ancora in attività; lo spettro odoroso si presenta variegato, appeso a un filo, lento e teso, contraddistinto da sentori di fiori secchi e dal ricordo di un quella che era una frutta cruda, aspra; il sapore si distende in equilibrio tra l’accenno morbido e la seta degli estratti, prima di un finale evocativo per freschezza e profondità. Impossibile non pensare al Chianti vecchio descritto da Monelli come «
vellutatissimo, serio, maestoso come un gentiluomo in frac».

 

Chianti Classico (sangiovese 90%, canaiolo 10%) 2009 Villa Rosa (Castellina in Chianti)

Il colore è lontano dalle concentrazioni ricorrenti nei Super Chianti, con nitida quella sfumatura rubino-rosa che ritroveremo sotto forma di fresca energia gustativa; le lievi note polverose e di idrocarburi aprono un’espressione composta e virtuosa, ben delineata dalla ciliegia cruda e dalla sfumatura vegetale caratteristica dei vini freschi gambelliani su questo versante di Castellina; il passare dei minuti lo rende sempre più serio con un richiamo marino di grande classe, accarezzato da una sfumatura di olio d’oliva. La sua vocazione non è l’ampiezza gustativa, piuttosto colpisce la corrispondenza con il ritorno intenso e carnoso del durone e porta in dote una sottigliezza fine ed entusiasmante.

 

Chianti Classico Riserva “Caparsino” (sangiovese, canaiolo) 2009 Caparsa (Radda in Chianti)

Sin dal colore è più compatto rispetto al precedente, si avvertono maggiori fermezza e rusticità tenute insieme dall’impatto chiuso e quasi duro. Rivela in un primo momento la nota del rovere, col tempo nel bicchiere si evolve sul frutto croccante e svela la sua austerità; un vino coeso, dalla bocca a tratti arcigna e dal finale di mandorla amara; rilevante la forte spinta salina dovuta, probabilmente, ai terreni misti e di moderata altitudine.

 
Chianti Storico 2

Chianti Classico Riserva (sangiovese, colorino, canaiolo, trebbiano, malvasia) Bucciarelli (Castellina in Chianti)

I campioni di questa breve verticale mostrano una cifra stilistica unitaria che è, forse e soprattutto, lo specchio di una compiuta territorialità; ritroviamo una nota vegetale calda tipica dell’evoluzione dei vini di questo versante.

 
1990

Colore granato stagionato dalla tonalità cupa. Naso complicato, porta con sé i limiti di un’annata che nel Chianti non è stata così felice come molti osservatori credono; in ogni caso, dopo l’iniziale oscurità, il liquido si guadagna stima grazie alla generosità dello slancio. In bocca il flusso si sofferma al centro della lingua, si apre su note di confettura e calore; gode di una discreta progressione, mentre il finale, non così profondo, lascia un sentore di pietra sfregata e di ferro.

 
1994

Il più emozionante della batteria Bucciarelli. Il colore dichiara la sua origine delicata. Il naso si apre sulla finezza delle erbe mediterranee, racconta quell’annata complessa ma foriera di sorprese, al punto da far pensare all’inserimento di vitigni internazionali; è la sottigliezza della florealità l’elemento che rimane dentro di noi a ore dalla degustazione. In bocca scava in fondo, l’acidità è edificante e insieme ai sali stabilisce un grande equilibrio complessivo con un tannino agile e ricercato. La sua magrezza è un omaggio alla mineralità, è un classico 1994 che oscilla tra la tensione e l’efficace chiusura lievemente ossidativa.

 
Gandino Igt Toscana a base di sangiovese e canaiolo 1998

Oscuro già alla vista, rivela al naso una certa chiusura, lascia trapelare col tempo un bel frutto integro e foriero di sapori, e un sentore di terra profonda. L’impatto è teso ma lo sviluppo rimane ingessato, il liquido scorre in modo quasi meccanico, nonostante una veracità di fondo. Il tannino è affilato e l’impalcatura è un po’ semplificata da questa compattezza che si protrae per tutta la lunga permanenza del vino in bocca.

 
1999

Il colore intenso dal cuore rubino dà l’idea di un vino granitico. Il primo approccio odoroso rivela quasi una mancanza di serenità con preminenti sentori organici e di asfalto; lascia trapelare il suo spessore e va ampliandosi offrendo uno spettro più variegato, dalle note vegetali alla carne fresca. In bocca ritornano il goudron e il vegetale cotto, note che fuori contesto potrebbero apparire eccessive e qui invece s’inseriscono in una struttura importante con l’acidità che spinge e il tannino che scompagina ulteriormente la forza poco distribuita e la durezza un po’ acerba del vino.

 
Considerazione finale

Sebbene diverse, 1990 e 1999 sono state a lungo sopravvalutate e corrispondono a due momenti significativi della recente storia culturale del vino italiano. La prima andava sostenuta perché in coincidenza con i primi segni di ripresa commerciale ed economica dopo i disastri del metanolo, tanto che per la prima volta i vini rossi cominciarono a guadagnare prezzi superiori rispetto ai bianchi – le migliori 1985 e 1988 non ricevettero altrettante attenzioni. La 1999 andava difesa, nonostante fossero subito chiare le sue pecche, perché corrispondeva al modello in voga nei primi anni 2000: concentrazione odorosa e densità gustativa. I produttori che, come Bucciarelli, non avevano bisogno di sentirsi parte di un’espressione globale possono oggi andar fieri di bottiglie che, pur nella complessità di quelle vendemmie, non si sono fermate e continuano a vivere.