Cipressi

Il Chianti, tra toscanizzazione risorgimentale e supertuscanizzazione post-moderna

 Certo la complessità dei fenomeni fisici chiantigiani si presta alla dispersione. Ma è indubbio che la standardizzazione del lavoro dal vivaio alla vigna e da qui alla cantina, l’omologazione dei materiali utilizzati – genetica, chimica e microbiologia selezionata incluse; insomma, tutto il complesso dello standard operativo volto a riprodurre sempre un medesimo standard produttivo, sempre più indipendente dagli andamenti climatici annuali, è indubbio che tutto ciò fosse indirizzato in un’unica direzione. Quale è presto detto: facilitare la produzione e renderla il meno rischiosa possibile, soprattutto nei confronti di un vitigno non certo precoce come il sangiovese; fare a meno di questo e produrre varietal wines; laddove obbligati a produrlo per questioni di denominazione storica, attenuarne i caratteri di «asprezza» già noti e apprezzati da Ricasoli; concentrarne gli estratti e il colore; introdurre caratteri aromatici più intensi ma meno tipici attraverso la selezione clonale e/o l’affinamento in legni particolari; aumentare la concentrazione alcolica.
Oggi questo inseguimento di un modello internazionale sembra entrato in crisi e un altro mondo pare essere possibile. Mentre in alcune zone vitigni alloctoni entrano in una crisi “storica” e anagrafica, biotipi di Sangiovese che si credevano perduti, come il Morellone della val d’Arno, vengono riscoperti. Una Nouvelle Vague di vignaioli produce con entusiasmo vini sempre più rispettosi di se stessi e più orgogliosi del proprio areale di origine. La barrique nuova non è più un dogma. La conduzione agricola convenzionale dà cenni di cedimento anche presso aziende di grandi dimensioni. Tuttavia le linee guida dettate dal sistema si mantengono sempre più contraddittorie e rivolte ancora ad assecondare un mercato che sembra sempre più orientato verso altri comparti.
E la Francia è sempre lì, oggi come ieri, forte della propria identità e autorevolezza. Chi vende Chianti deve, invece, fare uno sforzo doppio: vincere le resistenze di chi lo considera ormai un territorio che ha detto tutto – forse troppo!
e convincere della propria forza identitaria chi tratta con sufficienza la sua leggiadra austerità. Lamole, Radda, Castellina, Panzano, Vertine ecc. costituiscono invece i baluardi di resistenza ad un assedio turistico, i cui segni nel paesaggio sembrano ormai indelebili.

Alberello