29 Gen La dimensione nascosta – I Rossi dell’Oltrepò Pavese
Lo studio della cultura dal punto di vista prossemico
consiste nell’esame dell’uso dell’apparato sensoriale,
quale gli uomini manifestano nei vari stati emotivi,
durante attività diverse,
nei differenti tipi di relazione e
nei più disparati assetti e contesti socio-culturali.
da Edward T. Hall, La dimensione nascosta – Vicino e lontano: il significato delle distanze tra le persone, traduzione italiana di Massimo Bonfantini, Bompiani, Milano 1968
OPpure (croatina) 2010 Stefano Milanesi (Santa Giuletta)
È concreto; la morbidezza del residuo zuccherino e degli estratti è tanto pronunciata quanto confortevole, ben integrata nel contesto gustativo. La struttura è dirompente, barocca, il tannino sottile è funzionale per smorzare tutta questa materia. Tuttavia, il legno disunito distanzia l’espressione dal buon sottotesto, creando una levigatura che toglie veracità.
+ Si fa apprezzare per l’esuberanza e per l’accessibilità.
– Il punto debole è il non abbandono di ‘quella’ patina; così la tensione emotiva è trattenuta, si crea un conflitto tra la bontà del vino e l’ineluttabile fragilità derivata dall’affinamento.
Il produttore, riconoscendo il limite della bottiglia di quella sera, ha sostenuto la possibilità che il suo vino abbia bisogno di maggiore riposo dopo un viaggio: non basta una settimana, ce ne vogliono almeno due.
Barbacarlo (croatina, ughetta, uva rara e barbera) 2010 Lino Maga (Broni)
Asciutto e severo, sembra un vino irriducibile. In realtà è capace di mettere in relazione la generosità, il modo con cui riempie la bocca – saporito e ampio – e i tratti più affilati. Si spende, si fa ribere e rimanda al cotechino con le lenticchie (tanto agognato) perché immagini come questa fibra nodosa e l’energia tratteggiata lavorerebbero sul grasso.
+ Non capita tutti i giorni di sentire un vino così serio e, allo stesso tempo, servizievole.
Astragalo (croatina) 2006 Sacrafamilia (Godiasco Salice Terme)
Si permette l’impeto dell’esperto, con un modo crepuscolare e selvatico ma pronto per altre mille guerre. Vino cicatrizzato, intriso di esperienza non ordinata. È il caos a renderlo così oscuro, quasi abrasivo per il suo vigore. Vino di confine, tra il silenzio e una lancinante deflagrazione.
Cupo, marziale, resta vivo nella memoria come un enigma irrisolto.
+ Uno dei limiti delle descrizioni è che non si può spiegare mai abbastanza perché un vino sia tanto buono. Va bene così.
Gaggiarone Riserva (croatina e uva rara) 2005 Annibale Alziati (Rovescala)
La sua trama odorosa è ossessiva: giovanile, amara, robusta. Il liquido ha slancio ma rimane trattenuto da questo suo essere vivido; mi distanzia perché lui ha… una direzione da seguire! Certo, lo berrei volentieri con un cibo sanguigno e morbido (una bistecca di collo di maiale scottata sulla brace) ma, in questo caso, sento che il mangiare è funzionale all’apprezzamento del vino.
+/– Il riserva di Alziati si mantiene, predilige una linearità. Non riesce a essere discontinuo, a rischiare la partecipazione, a prendersi meno sul serio.
9cento (barbera, croatina e uva rara) 2005 Podere Il Santo (Rivanazzano)
Roland Barthes scrisse: «La materia vivente non è mai al suo posto (né al suo posto di origine, né in quello del suo uso)». Questo vino aggredisce con coscienza, è una freccia puntata. Graffiante, la barbera tirata all’essenziale, lontana anni luce da qualsivoglia senso di conforto, eppure fervidissima e magnanima. Mai, neanche per un momento, inquadrabile. Un vino sognato, uno di quelli che rievochi a vita, dal quale trarre gioia, anche solo dal ricordo.
+ Un’esperienza. Assaggiare il 9cento è cambiare il livello di percezione. Imprudente, una pioggia di dissonanze, autenticità e coraggio.
Costa del Morone (barbera, croatina, pinot nero, uva rara, vespolina) 2004 Albani (Casteggio)
Ampio, esotico, suadente. Rischia di passare per verboso invece proprio questa enfasi è funzionale al ritmo. L’ordine del tessuto è il valore distintivo, fatto di mille sfaccettature e uno scintillio mediterraneo. Vino ispirato e sereno, buono perché unito in ogni sua parte. Ritorna il pensiero al cibo: una corposa zuppa di fagioli e orzo.
+ Un andirivieni di solennità e rusticità, illusoria facilità e unione delle parti. Di coerenza sostanziale, la grana del vino è articolata, fatta di calore e tensione.
Montebuono (croatina, ughetta e uva rara) 2002 Lino Maga (Broni)
L’inizio è sommesso, sembra limitarsi al necessario e invece si prepara il campo. Diventa coinvolgente col suo fare lento, sembra scorrere su un fondo sassoso. Il tocco sorprende, lavora sulla superficie e arriva quieto, lasciando scolpito il suo tratto essenziale, una vena salina.
+ Misterioso, quasi sulla difensiva, mostra il suo lato delicato e non teme di poter passare per debole.
Barbacarlo (croatina, ughetta, uva rara e barbera) 2002 Lino Maga (Broni)
Per il produttore, questo sarebbe un vino “non idoneo”… Per me rappresenta la ricchezza della discrezione, come il Montebuono della stessa vendemmia, ma a un livello più alto. La stoffa del sapore, resistente, in chiaroscuro, è di una grazia illuminante. Ti trascina con sottigliezza e tatto, rappresenta il senso della sfida, l’unità nella fragilità.
+ La perdita definitiva del mito secondo cui il vino debba essere dotato di un “fisico” speciale per essere ricordato.
L’incontro è stato organizzato da Matteo Gallello, realizzato con la collaborazione della Tradizione, Gabriele Bonci e di Pomarius. Grazie al prezioso aiuto di Chiara Guarino e Laura Pinelli. Condotto da Sandro Sangiorgi con Stefano Milanesi.
Ringraziamo tutti i produttori per la disponibilità. L’incontro sui Rossi dell’Oltrepò è stato significativo. “La dimensione nascosta” e la prossemica hanno dato un nuovo significato a tutta l’attività didattica di Porthos. Ci ritorneremo.