Le MGA: Contiamoci ed abbracciamoci

Più che cru, Menzioni Geografiche Aggiuntive: nome che solo la fantasia ministeriale italica poteva partorire quanto a bruttezza ed irricordabilità all’estero, ma tant’è, meglio accontentarsi.

Classificare e mappare. Nel giro di pochi giorni Montefalco ha svelato di voler mettere in fila proprietà ed aziende ispirandosi al modello bordolese, di Saint-Emilion in particolare. In Langa, dopo Barbaresco, anche a Barolo l’ufficialità dei cru dalla sola testa di degustatori, giornalisti e produttori è passata definitivamente anche nella bozza del nuovo disciplinare. A metà ottobre la pubblica audizione sembra non aver avuto intoppi, sicché, stando alle affermazioni rassicuranti di Claudio Rosso, presidente del Consorzio, il tutto raggiungerà la gazzetta ufficiale a breve, forse brevissimo. Per anni ci siamo cibati della storica mappatura (e classificazione) di Renato Ratti per poi passare, più recentemente, alle meticolose cartine di Alessandro Masnaghetti. Da oggi sarà vergato nero su bianco quali cru è possibile indicare in etichetta e quali no. Più che cru, Menzioni Geografiche Aggiuntive: nome che solo la fantasia ministeriale italica poteva partorire quanto a bruttezza ed irricordabilità all’estero, ma tant’è, meglio accontentarsi. Come più volte ricordato dal presidente del Consorzio durante il seminario “Cru: parola sintesi di valori” svoltosi il 21 novembre ad Alba, non c’erano alternative. Le sottozone mal si adattavano ai piccoli confini langaroli, vista la loro specificazione geografica ampia e composita. Hanno mappato tutto a leggere il considerevole numero delle menzioni, anche cru che mai si sono visti in etichetta e magari ora qualcuno avrà il coraggio di vinificare dell’altro. Certo non sarà più possibile far passare nomi di fantasia per ipotetici storici cru.


All’insegna dell’egualitarismo o della mancanza di coraggio?
Se lo sono chiesti in molti tra i giornalisti presenti durante il seminario di presentazione di questo lavoro di mappatura che, non abbiamo dubbi, non avrà certo fatto dormire sonni tranquilli a tutti quelli che hanno avuto il coraggio di discutere, giorno per giorno, di confini, accorpamenti e nomi dei cru con i produttori. Non c’è gerarchia. Niente Grand Cru o Premier Cru. Non aveva senso farlo hanno sentenziato Nicola Argamante, Presidente della Strada del Vino di Barolo e Giovanni Minetti, direttore di Fontanafredda (ed ex Direttore del Consorzio). Le differenze, secondo loro, che possano connotare la superiorità di un cru su di un altro, non esistono: solo l’annata e ciò che fa il produttore in cantina modificano il profilo organolettico. Ne sono certi, tanto che anni fa, finanziati dalla Regione, fecero esperimenti di vinificazione “oggettivi” (stessi lieviti, stesse uve, stessa vinificazione, stesso affinamento) e diedero il tutto in pasto ad un panel “addestrato” che sentenziò: “alcuna differenza sostanziale”. Sono tutti identici, indipendentemente dalla provenienza dell’uva da un determinato cru, terroirs o menzione che dir si voglia. Impossibile, quindi, provare ad azzardare una qualsivoglia classificazione.

Ad ascoltare, coordinati da Gianni Fabrizio del Gambero Rosso e Gianpaolo Gravina dell’Espresso, anche un manipolo di produttori borgognoni. “Le Loro Maestà – Il Nebbiolo e Le Pinot Noir”, questo il titolo della due giorni divisa tra Alba e La Morra, voleva essere, infatti, non solo l’occasione per presentare ufficialmente la mappa delle Menzioni Geografiche Aggiuntive, ma anche quella per un confronto, con annesso banco di degustazione, tra le Langhe e lei, la Borgogna, che ha fatto della vivisezione del terroir e della conseguente classificazione un’icona leggendaria, immutabile ed incontrovertibile.

Ora, la domanda è: se non esistono differenze, se non è minimamente possibile, non tanto e solo dividere finemente tra Premier cru e Grand cru come in Borgogna, ma neanche effettuare una selezione tra un piccolo e ristretto gruppo di vigneti, storicamente ed effettivamente superiori al resto della truppa, quale è il senso di presentare una dettagliata mappa di circa 177 menzioni? Perché arrovellarsi per anni per tracciare i confini di ogni ettaro vitato in Langa, se poi tutto è identico? Forse sarebbe stato meglio dire: non siamo pronti. Storicamente, ma soprattutto mentalmente.

Mettere d’accordo tutti circa i confini sarà stato sicuramente un lavoro diplomatico, politico e di fine cesellatura che deve essere costato infuocate riunioni e compromessi storici (basta osservare uno storico cru come quello della Bussia a Monforte d’Alba, ora unico ed abnorme rispetto al passato, ma da sempre diviso con molte più specificazioni). Come giustamente ha fatto notare Francesco Arrigoni del Corriere della Sera, il tentativo di affermare chi è superiore, avrebbe potuto facilmente innescare guerre senza quartiere con probabili ed interminabili ricorsi e contro-ricorsi in tribunale. E ancora, come affermato da Claudio Rosso, ai tempi di Renato Ratti c’era meno superficie vitata e quindi era più agevole classificare. Ciò che rimane, però, è che mettere sullo stesso piano una complessità come quella langarola in nome di un egualitarismo democratico appare essere, molto semplicemente, un’improbabile scappatoia.


Amare una denominazione
Non siamo pronti e probabilmente mai lo saremo, ad accettare pacificamente che esistano territori, all’interno di uno stesso areale, più o meno vocati rispetto ad altri. E non lo siamo non perché non abbiamo gli strumenti tecnici per farlo, o perché ci manchi una storicità di annate come pezza di appoggio, specie quando si parla di Barolo e Barbaresco. Ciò che ci manca è quello che Philippe Senard, vigneron borgognone, ha sottolineato come fondamentale alla fine del breve (rispetto al menù proposto) seminario: un’identità collettiva della denominazione. Ci manca la consapevolezza che non solo una denominazione non è un brand aziendale che ognuno può utilizzare o cambiare a proprio piacimento, ma non è neanche un oggetto a solo uso privato. Una denominazione è di tutti. Amarla significa rispettarla, comprese le sue mille sfaccettature e, perché no, le sue differenze, anche qualitative. Amarla significa proporre al turista di passaggio: “Vada anche dal mio vicino, è bravissimo!”. Amarla significa accettare le sue regole, condividere e rispettare la storia che ha alle spalle, la sola che può far sì che diventi magari leggendaria ed inimitabile.