Miniature di Luglio 2007

Chi ha paura del vino naturale?
Il “Piovono pietre” di questa News Letter riporta una dichiarazione di Riccardo Cotarella, noto consulente enologico e proprietario della cantina Falesco, fornita all’’interno di una trasmissione radiofonica dell’’emittente Radio24. Si è trattato di un confronto serrato con Fabrizio Niccolaini, dell’’azienda Massavecchia, sull’’uso e il non uso della solforosa. Quella pubblicata sull’’home page non è l’’unica perla della trasmissione, è evidente il timore dell’’establishment enologico che prenda piede un approccio differente da quello convenzionale, nel trattamento del vigneto e nella gestione del vino in cantina. Cosa succederebbe se il mondo del vino scoprisse di poter fare a meno di molti prodotti considerati finora indispensabili? Quale allora il ruolo del consulente viticolo ed enologico?
Approfondiremo questi temi sulla rivista attraverso degustazioni, saggi e interviste.

L’’annata 2006, premesse e contraddizioni
Ho avuto l’’opportunità di confrontarmi con alcuni produttori di vino naturale sull’’esito dell’’annata 2006. Su un punto si sono trovati d’’accordo: non ha senso parlare del risultato di un millesimo prima che siano passati almeno nove mesi dalla vendemmia. Se il vino viene lasciato libero di esprimersi secondo i propri tempi, se viene naturalmente influenzato dalle stagioni successive alla sua nascita così come sono, senza freddo o caldo indotti artificialmente, se non si ha fretta di imbottigliarlo, può consegnare nitida l’’impronta della stagione che lo ha generato, ma per capirla fino in fondo è necessario tempo. Anche perché – hanno continuato in coro –possono sfuggire dettagli espressivi fondamentali che hanno a che fare con la prima parte del ciclo della vite, fase tanto decisiva quanto sottovalutata quando si discute lo spessore di un’annata.
Nei principali terroir italiani, la 2006 è stata immediatamente salutata come un’’annata equilibrata: caldo al momento giusto, poi altrettanto fresco durante la fase di maturazione e abbastanza asciutto in vendemmia. In linea generale potrebbero quindi scaturire vini con un ottimo potenziale evolutivo, in grado di esibire, quando il talento lo consente, anche l’’ambita armonia vibrante.
Al di là delle importantissime differenze locali, un dato che accomuna vitigni e territori è l’’elevata acidità. Uno degli intervistati mi ha parlato di una buccia colorata, zucchero in abbondanza, ma una sensazione, anche tattile, di particolare croccantezza del chicco. Come se il processo di maturazione non sia stato in grado di penetrare completamente l’’acino lasciandogli qualcosa di irrisolto.
Un altro aspetto da considerare è l’’inverno molto mite. Di solito, tra dicembre e febbraio si assiste a una stabilizzazione tartarica naturale, in diversi casi invece il vino ci ha messo molto tempo per trovare la quiete utile a formarsi una fisionomia unita; ciononostante il totale degli acidi è rimasto forte fino a quando non è avvenuta la fermentazione malolattica, quando questa si è compiuta. Il timore di alcuni è che il vino abbia una spina dorsale forte e resistente, ma non la coralità per procedere a una vera evoluzione. Lo dimostrerebbe la contraddizione tra il profumo, delineato da un tratto particolarmente maturo, e la cruda pungenza del sapore.

Lo sfuso…
Su Porthos 8, uscito nel gennaio 2002, scrivemmo che il vino sfuso doveva riacquistare considerazione e diffusione per colmare il vuoto espressivo causato dai protocolli produttivi e di imbottigliamento: stavano scomparendo differenze territoriali e varietali, a favore di uno standard tanto sicuro quanto noioso. Parlammo della dignità dello sfuso e fummo considerati dei visionari.
Oggi è di dominio pubblico la forte richiesta di vino sfuso italiano proveniente sia dall’’interno sia da altri Paesi, quali l’’Inghilterra e gli Stati Uniti. Il fenomeno ha molte ragioni. Una è la possibile reazione alla mediocrità dei vini in bottiglia di fascia medio-bassa: le persone si accorgono che, per finire nel vetro, il liquido, già originato da uve medie, subisce un trattamento che lo appiattisce del tutto. Degustando dalle vasche presso i produttori, si coglie tutta la differenza tra il punto di partenza e quello di arrivo. Sta cambiando la percezione del vino della quotidianità: molte persone vogliono tornare a scegliere, a degustare prima dell’’acquisto, a imbottigliare per conto proprio.
Lungi dal voler ribaltare la vendita delle bottiglie presso la grande distribuzione, che gode di buona salute, la richiesta dello sfuso è un segnale di maggiore consapevolezza della persona-consumatore, che si fida sempre meno della confezione impeccabile e senz’’anima di molti vini convenzionali.

… e il prezzo del vino
Secondo alcuni osservatori, la ripresa dello sfuso nasconde l’’ulteriore tentativo di abbattere il prezzo del vino. Si dice: se togliamo di mezzo bottiglie, etichette, cartoni, capsule, rappresentanti e ricarichi otterremo finalmente il prezzo vero del vino. Difficile dargli torto se si penetra nel mondo dei mediatori e dei commercianti di vino italiano, quello che circola in autobotti e va a rinforzare, diluire, ammorbidire etc. etc., molti liquidi nazionali ed europei. Ma c’’è di più: in Italia continuano ad arrivare navi cisterna di vino a prezzo irrisorio che conducono a una furiosa concorrenza verso il basso. Se negli anni settanta erano i viticoltori di Sète a protestare contro le navi provenienti dal Marsalese, oggi sono gli italiani a doversi preoccupare di ciò che arriva da fuori. Non si spiegherebbero i prezzi di molte bottiglie presenti nella grande distribuzione, nelle vendite on line e in telemarketing: in certi casi, facendo due conti, il liquido costa un ventesimo del suo packaging.
Tutto questo ci allontana dal senso del vino. Con questo livello dequalificato non si accontenta l’’esigenza di quotidianità dei consumatori, al contrario si alimenta una mistificazione produttiva: chi conosce il lavoro, chi ha visto ciò che si fa nel vigneto sa che certi prezzi sono lontanissimi dalla potabilità.
Il vino sfuso di un produttore naturale non è quindi un’’occasione per spendere meno, anzi, è utile per avvicinarci al prezzo del vino nella sua dimensione di giusto profitto.