Miniature di Maggio 2007

45 euro
Dal 15 luglio 2007 il diritto a ricevere quattro numeri di Porthos costerà 45 euro. Ci abbiamo pensato quasi due anni a scegliere il momento giusto per chiedere ai nostri abbonati uno sforzo maggiore. Questi ultimi ventiquattro mesi sono serviti, ci hanno permesso di fare bene i conti sulle nostre possibilità di sopravvivenza che, come sapete, sono legate a chi ci segue.
Non voglio discutere il valore dei cinque euro in più, ognuno di noi sa cosa significano senza bisogno di fare paragoni con tazzine di caffè o ghiaccioli all’’amarena (i miei preferiti). Voglio solo dire che per noi saranno importanti, ci permetteranno di mantenere il livello qualitativo che ci è consono e di corrispondere agli aumenti dei beni che servono per realizzare la rivista e gestire il nostro sito.
Per consentire a tutti coloro che ci seguono sul web e vogliono sottoscrivere l’’abbonamento per la prima volta, o l’’hanno in scadenza con Porthos 28 o è scaduto, faremo una piccola campagna con l’’aiuto delle nostre cartoline per ricordarvi tempi e modalità. Continuate a seguirci, non vi deluderemo.

Qualità di vita, qualità nel lavoro
Abbiamo dedicato gli ultimi cinque anni del nostro lavoro alla comprensione del fenomeno dei vini naturali. Dal primo incontro con Nicolas Joly, avvenuto nel gennaio 2002, abbiamo osservato sia il profilo tecnico-agricolo sia la trasformazione dei prodotti coinvolti nella riconversione a pratiche meno invasive, dette propriamente biologiche, o biodinamiche, che sono piuttosto “invasive” ma utilizzano sostanze naturali. Se è possibile fare un bilancio, va in primo luogo sottolineato il miglioramento della qualità dei luoghi interessati da un comportamento più rispettoso della natura: non bisogna essere un agronomo o un geologo per camminare tra i filari, o in generale nelle proprietà di alcuni viticoltori organic, scoprire una flora più spontanea e respirare ben altra aria rispetto a qualche anno fa. A confermarcelo è il personale che lavora in campagna: gli operai fissi e gli stagionali, tutti normalmente restii ad accettare cambiamenti, ci hanno raccontato di andare al lavoro con rinnovato entusiasmo da quando la terra sotto i loro piedi ha ripreso a vivere e a generare in modo autonomo. Per non parlare di cosa sentono gli animali. Passeggiate col vostro cane in una vigna o in un orto coltivati correttamente, capirete finalmente qual è il suo reale approccio al fantastico mondo degli odori e non faticherete a scorgervi un sorriso.

Troppa luce?
A proposito di biodinamica, ricorderete sicuramente l’’intervista a Joly pubblicata su Porthos 10, nella quale il proprietario della Coulée metteva in risalto l’importanza della luce nella qualificazione delle uve. Il suo tendere la mano verso l’’alto, ripreso in una foto presente nel libro Il vino tra cielo e terra, e ripetuto in ogni occasione pubblica al punto da diventare proverbiale, rafforza il concetto di recupero della luminosità per accordare agli acini un più completo patrimonio aromatico. La lumiere di cui parla Joly è anche il motivo principale della trasformazione del colore dei suoi Savennières. Un tempo il vino della Coulée de Serrant era paglierino chiaro con una nota verde, e rimaneva tale per diversi anni contribuendo a quel senso di eternità che ne alimentava il mito. La spina dorsale sorretta da un’’acidità granitica, una dose di solforosa della quale ti accorgevi solo il giorno dopo, erano i principali conservanti di questo Chenin tutto d’’un pezzo, almeno fino alla fine degli anni ottanta. Le diverse degustazioni verticali di Coulée che ho condotto in questi cinque anni, hanno mostrato i limiti evolutivi dei campioni d’impostazione convenzionale, apparsi così giovani da essere irreali, talmente cristallizzati che nel bicchiere lasciavano intravedere poche possibilità di trasformazione. Negli anni novanta la gestione di Nicolas ha rivoluzionato la fisionomia del vino (vedi degustazione nell’archivio del sito) riducendo la solforosa e lasciando che il liquido assumesse più generosità e ricchezza, senza perdere quel rigore espressivo che è la matrice territoriale di questo antichissimo vigneto. Le ultime stagioni sono state tremende dal lato climatico: gran caldo e maturazioni fortemente anticipate, se si eccettua l’’annata 2002, considerata eccezionale per molti bianchi della Francia centrale e settentrionale, grazie al suo equilibrio. Sin dal 2000 la Coulée ha un’’alcolicità che viaggia sopra i 14°, il colore ha assunto riflessi ambra, il confine con l’’ossidazione è divenuto sottilissimo, e in alcune bottiglie non in modo benefico (vedi 2001), il gusto è a tratti debordante. La 2004 è un esempio eloquente: non basta seguire il consiglio di Joly di berla a 16° e il giorno dopo, la sua corposità occupa così profondamente il cavo orale da lasciare sopraffatti. Il punto è che, a differenza della 2001 e della 2000 provviste di una lunghezza che copre senza soste tutto l’arco del palato, la 2004 è segnata da una sensazione amara che blocca la continuità gustativa e deprime anche la corrispondenza dei profumi in bocca. E’ noto che la Coulée non è fatta con la macerazione sulle bucce, ma la maturazione degli acini è talmente profonda da contaminare la polpa con una consistente massa di fenoli e non basta la pressatura soffice a evitarli.
E’ ancora presto per dare ragione a chi, nostalgico delle Coulée degli anni settanta e ottanta, sostiene che il vino biodinamico più celebrato al mondo sia diventato imbevibile, ma, chiediamo a Nicolas, non sarà che le chemin des Anglais avrà preso troppa luce?

Scoprire la campagna veronese e vicentina
In veronese “campagna” significa pianura. Chi ha avuto il tempo e la pazienza di visitare tutte e tre le manifestazioni di vini naturali, Viniveri a Villa Boschi, Triple A e Renassance Italia a Ca’ Scapin, Vin Natur a Villa Favorita, avrà recuperato il piacere per la pianura, troppo spesso bistrattata a favore della collina, che sia della Valpolicella, di Soave o di Gambellara. In fondo è in pianura che nasce uno dei prodotti veronesi di maggiore contenuto qualitativo, il riso Vialone Nano; e non è forse vero che alcuni dei ristoranti di maggiore attrattiva della provincia di Vicenza sono proprio in pianura? Alcuni produttori e osservatori francesi, «invitati a vedere come fanno bene le cose gli italiani», hanno apprezzato questa distanza dai luoghi santi della viticoltura. Ciò che non hanno capito è perché costringere le persone a un tour de force per essere presenti a tutti gli eventi, quando si poteva organizzare una cosa unica, che abbracciasse tutto il tempo del vinitaly, magari in una struttura che contenesse diversi piani, in modo da rispettare il desiderio di non incontrarsi di alcuni protagonisti italiani, produttori e distributori.
Il punto è il solito: non è giusto pretendere da persone che non sono abituate a occuparsi di marketing, organizzazione e comunicazione, un comportamento consono alle più adeguate esigenze fieristiche. Ma allora perché non affidare a un soggetto terzo (o quarto o quinto…) la gestione dei rapporti e il coordinamento di iniziative così preziose per il proprio mercato e per la persona-consumatore? Un soggetto che abbia un carisma tale da contribuire alla selezione dei produttori, visto che quest’’anno sparsi nelle tre ville c’erano davvero personaggi che solo pochi mesi fa non sapevano neanche dov’’era di casa un vino naturale. Basta guardare le liste per rendersene conto.
Il nostro desiderio è che non si perda il buono costruito finora a causa di esigenze di marketing spiccio e di bassa cucina contabile. Se da un lato le persone poco attente percepiscono solo la litigiosità tra i produttori, senza indagarne le ragioni, e riducono di conseguenza il loro affetto verso vini che nulla c’entrano con i problemi degli eventi; dall’’altro a quelle più attente non può sfuggire la confusione di valori che si crea quando a dirigere il tutto non c’è una guida credibile e autorevole.
Rimane la speranza che «dal Caos nasca una stella».

Vinitaly 2007
Questa miniatura serve per ringraziare Emanuela e Flavio di Elephantsbooks e Gianfranco di Unicopli per averci ospitato presso il loro stand a Vinitaly. Le vicissitudini che ci hanno portato quasi a “nasconderci” in uno stand altro sono varie e non è detto siano interessanti per i lettori. L’’unica considerazione che ci rimane da fare è davvero amara: andare a Vinitaly è quasi indispensabile per la nostra sopravvivenza, come lo è per quei produttori seri che, pur non condividendo il modo di fare di molti colleghi, a malincuore se li ritrovano accanto. La fiera accoglie sempre più clienti riducendo gli spazi vitali, non c’’è margine di contrattazione se si è editori indipendenti e si paga lo stand con i soldi del proprio lavoro e non con quelli degli inserzionisti e degli sponsor occulti, come fanno tutte le altre testate, nessuna esclusa.