Miniature di Luglio 2008

L’immancabile appuntamento con le miniature del direttore.

Verso Porthos Trentuno
Il numero dell’estate 2008 è un Porthos di grande ricchezza. Non voglio anticiparvi tutti gli argomenti: lascio che la sua architettura si sveli durante il suo svolgersi. Ma in queste righe segnalo una monografia dedicata alla Corsica, alcune interviste tecniche e storiche che riguardano temi come l’Ampelografia e l’intimo legame tra la Barbera e il Monferrato. Non mancheranno saggi e racconti a rafforzare la struttura di un numero all’insegna della biodiversità.
Porthos Trentuno verrà spedito intorno al 27 agosto, nella speranza di evitare i problemi avuti nel 2004 e nel 2007 in coincidenza con le ferie della gran parte dei dipendenti postali.

L’invenzione della gioia
Ci sto lavorando alacremente e sta assumendo una fisionomia articolata e profonda, ancora qualche mese e arriverà. Non do più una data precisa per scaramanzia: finora non sono stato capace di rispettarla. Conto sulla vostra comprensione.

L’etichetta, vero strumento di conoscenza
Il forum tra i produttori naturali presente su Porthos Trenta ha ravvivato la discussione sull’opportunità di uniformare le etichette del vino a quelle degli altri prodotti alimentari, in modo da essere informati con precisione quali le sostanze presenti e le rispettive quantità, anidride solforosa compresa. Interpellando le autorità alle quali compete la disciplina delle etichette, si scopre che non è possibile indicare con precisione cosa si fa e cosa non si fa, quindi i produttori – Giotto Bini e Cornelissen tra i primi – che hanno cominciato a comporre un elenco di azioni non fatte, vedi filtrazioni e chiarifiche, e di “roba” non presente, vedi chimica nel vigneto e biotecnologia in cantina per gestire le fermentazioni e rifinire il vino, saranno senz’altro oggetto di accertamenti.
Se fosse votata una legge che impone di riportare tutto ciò che si fa e si mette, siamo sicuri che le persone-consumatori la sosterrebbero. Sarebbe schiudere un ambito sigillato dalla convinzione che l’enologo sia un alchimista, un mago della manipolazione. Discorrendo con gli alunni dei corsi e con le persone incontrate in enoteca, nei supermercati e durante le fiere, si coglie la necessità di essere più informati su tutto, se possibile. Non tanto e non solo per “impicciarsi” del lavoro del produttore – talvolta la curiosità di alcuni diventa morbosa – quanto per capire se un attributo prezioso come la digeribilità possa essere influenzato dal comportamento dell’azienda. A questo proposito, l’uso del rovere, in particolare da botti non stagionate correttamente, e di tutti i suoi derivati, come tannini liquidi e in polvere, chips etc., per non parlare anche della gomma arabica, procura difficoltà digestive accertate scientificamente, come riportato dai ricercatori dell’Università di Medicina dell’Arizona. I risultati evidenziano che l’organismo umano fatica a elaborare nello stomaco prodotti di origine legnosa, al punto da sconvolgere la corretta assimilazione di un pasto.
Sulle etichette, invece, c’è tutt’altro. Non mancano i consigli sul servizio e sull’accostamento, sempre molto flessibili per soddisfare ogni situazione. Talvolta si trova la storia di un luogo o dell’azienda, anche in questo caso provvista di notizie superficiali e inutili. Come le informazioni sulla realizzazione del vino, che non toccano mai i passaggi nevralgici della produzione, lasciando a chi legge la sensazione che ogni vino è stato ottenuto in condizioni e con strumenti ideali, vedi le recenti annate tutte “del secolo”. Imbarazzante, infine, la descrizione organolettica del liquido, che si presenta «eccellente, armonico e di corpo ma anche leggero e per tutte le occasioni», un po’ come si fa con l’oroscopo che non scontenta mai il lettore.
Le poche etichette che informano seriamente sono di quelle cantine che non temono di dichiarare quali uve hanno usato, seppure non siano propriamente autoctone di un terroir, così come non temono di esibire la vera fisionomia del vino e, soprattutto, di indicare con chiarezza ciò che c’è, in modo da farsi strada nel cuore e della mente delle persone consapevoli.

La situazione pagamenti
L’Italia non è l’unico posto al mondo in cui si fatica a farsi pagare, ma è senz’altro quello in cui la situazione sta diventando insostenibile.
La ragione principale non è certamente nella crisi dei consumi, peraltro aggravatasi negli ultimi mesi: pensarlo sarebbe offensivo per l’intelligenza di ciascuno di noi. Il punto è che esiste una modalità di comportamento, direi una postura, che si acquisisce appena ci si avvicina al mestiere del commerciante; qualcuno sostiene che sia innata, la mia esperienza dice che si impara sul campo. Il settore della ristorazione è quello con i maggiori problemi. Provo a riflettere su alcune ragioni, evitando di sconfinare in argomenti meritevoli di una trattazione a parte, come il prezzo dei vini e come l’occasione finora mancata da parte degli operatori di considerare il vino quale ideale ministro della tavola. Alcuni ristoratori pagano in ritardo come forma mentis, tirano la corda più che possono per rastrellare anche l’ultimo giorno di valuta utile e poi concedono la grazia di saldare. Certo, ci si abitua, ma i tempi si allungano sempre più e sono un pessimo esempio di senso civico.
Altri, sostenuti da una grande ambizione ma da una conoscenza incerta, acquistano troppo rispetto alle loro esigenze. Spesso lo fanno per allargare la loro carta dei vini e mostrare che possono competere anche sul piano della “cantina”. Ma le bottiglie si “muovono” lentamente se sono state scelte per una sorta di sterile virtuosismo; sovente sono prodotti premiati, hanno poco da spartire con la cucina che si pratica: inevitabile che diventino un insostenibile immobilizzo di capitale. Questi ultimi sono i più pericolosi, non è raro infatti che un ristorante salti per i debiti accumulati nell’acquisto dei vini, con la consueguenza che, arrivati al fallimento, i fornitori sono gli ultimi a essere soddisfatti dal curatore. Altri ancora, ai quali gli affari arridono, sono talmente trascinati dall’entusiasmo che spendono quello che incassano, tanto la scadenza delle fatture è lontana…
Il produttore di vino non ha molte armi a sua disposizione, se non quella di adire per vie legali. Ma, in un paese in cui il livello di litigiosità è cinque volte quello francese, sperare di ottenere un risarcimento attraverso il sistema giudiziario è una chimera. Si incarica uno studio legale sperando che questo smuova le acque, metta il cliente in una situazione d’imbarazzo e lo convinca a saldare fatture scadute da più di un anno, magari riguardanti vini che sono stati già venduti tre volte. In alcuni casi si riesce a ottenere il risultato, ma sempre meno, visto che una “lettera dell’avvocato” non è temuta più come un tempo. Una volta la scadenza era di 60-90 giorni, che diventavano 120 visto che mancava un dato, non era disponibile il libretto d’assegni o non era arrivata la ricevuta bancaria. Oggi, forti degli stessi motivi, si comincia a discutere dopo 240 giorni, otto mesi dalla scadenza della fattura, quasi un anno dall’arrivo del vino in casa. E spesso l’assegno che si riceve è post-datato.
Le aziende più vulnerabili sono quelle medio-piccole, e per diversi motivi. In primo luogo fanno uscire i vini più tardi, preoccupandosi di maggiori maturazione e affinamento. Questo le espone a una concorrenza impossibile con le grandi che consegnano prima e propongono tempi di pagamento molto flessibili. In caso di morosità, queste ultime possono permettersi un collaudato sistema di recupero crediti, mentre i vignaioli devono preoccuparsi di chiamare i clienti in prima persona ed elemosinare la loro attenzione. Per questo molti di loro hanno optato per distributori nazionali o regionali, scelta che “raffredda” il rapporto con la clientela ma che per lo meno dà più garanzie d’incasso.
C’è poi il ricatto dell’acquisto successivo: nel tentativo di difendersi, talune cantine minacciano di non fornire più, ma quelli che pagano tardi sono spesso clienti determinanti, disposti a saldare solo dopo aver ricevuto lo scarico successivo.
Gli esempi di clienti virtuosi sono in netta diminuzione, certuni usano il pagamento anticipato per sfruttare un ulteriore sconto, dimostrando di saper organizzare gli acquisti e guidare la vendita. Ma sono davvero pochi.
Dunque una situazione delicata e intricata, della quale sono parte in causa anche i rappresentanti, alcuni non ricevono le provvigioni fino al pagamento delle fatture, e i piccoli distributori locali, ai quali non bastano il coraggio e il desiderio di promuovere vini buoni presso ristoratori ed enotecari altrettanto appassionati che, forse, avrebbero bisogno di una banca…

Stefano Sarfati
E’ proprio uno di quei piccoli distributori di cui ho appena parlato. Opera in Lombardia ma non solo, è un bravo degustatore e un ricercatore instancabile di talenti della vigna. Voglio citarlo e ringraziarlo per il suo aiuto nella conoscenza e nella redazione del pezzo dedicato ad Anne-Marie Lavaysse presente sul sito, scusandomi per non averlo fatto al tempo della pubblicazione. Tutti ci auguriamo che Stefano continui a portarci i vini di persone come lei.