15 Lug Guarire l’uomo per guarire la Terra
Guarire l’uomo per guarire la Terra questo è il titolo che hanno voluto dare a questo convegno internazionale.
Mi dispiace per gli abbonati di Porthos, ma sinceramente non mi stupisce.
Porthos non rappresenta puro idealismo ma coscienza, capacità critica e stile di vita
Se decidi di continuare pensa che non possono la tenacia, la passione, la ferma convinzione, essere sempre ricompensate totalmente e quindi lo devi fare semplicemente perché sei dalla parte giusta.
da una lettera di un abbonato (Porthos 26)
Sandro mi chiede se posso partecipare come porthosiano a un incontro sull’agricoltura biodinamica organizzato qui nella mia terra da Agri Bio Onlus e Reinassance des Aoc; naturalmente io dico di sì perché so di essere dalla parte giusta, felice di essere schierato. Guarire l’uomo per guarire la Terra, questo è il titolo che hanno voluto dare a questo convegno internazionale.
E’ la nascita della mia piccola creatura che mi ha aiutato ad aprire gli occhi; ho letto molto, ho discusso tanto, ma nella sostanza ho applicato poco. Come padre sento il bisogno di dare insegnamenti schierati, di parte. La mia bimba deve capire il valore della terra e il suo rispetto sacrosanto e, credetemi, penso che oggi, in un mondo in cui tutto è possibile (purtroppo), questa è la cosa più difficile. Mio padre non doveva insegnarmi qual era il periodo delle ciliegie, delle fragole, dei pomodori. Per la loro generazione la stagionalità dei prodotti non poteva e non doveva essere un insegnamento nei nostri confronti, c’era la difficoltà economica del vivere quotidiano. Oggi in questa società di camuffato benessere devo anche educare la mia creatura alla terra e ai sani cicli da rispettare; e come non pensare quindi che una certa maniera di fare agricoltura biologica, e ancora meglio biodinamica, siano le scelte giuste per garantirle la terra migliore per il suo futuro.
E’ con queste riflessioni che sono andato a questo incontro e tra l’altro è stata anche una ghiotta occasione per conoscere la prima azienda vitivinicola biodinamica in Puglia (1992): siamo precisamente nel territorio di Canosa nell’azienda Cefalicchio condotta dall’agronomo-umanista Fabrizio Rossi.
21, 22 e 23 giugno: in tre giorni bisogna affrontare la medicina antroposofica, l’agricoltura, l’incontro con Nicolas Joly e le degustazioni. La strada che porta all’azienda è sterrata, a sinistra vedo un uliveto inerbito circondato da erbe aromatiche, lavanda, timo, melissa. Parcheggio lauto, il vigneto è di fronte, ora sono più tranquillo, il posto vale.
21 giugno
Ivo Bertaina, presidente Agri Bio cerca di farci entrare nel mondo dell’agricoltura biodinamica con i suoi esempi e le sue citazioni: «la natura tace sotto tortura», «il colore del fiore e la forma della pianta sono il sentimento della terra». Oltre a parlarci di dinamizzazione manuale e preparati biodinamici, fa anche accenni alla FIL (felicità interna lorda) un parametro che alcuni stati dell’Asia iniziano a considerare come indice di benessere, niente a che vedere con il PIL (prodotto interno lordo), artefice di queste generali incertezza e sfiducia verso il futuro. Sono circondato da gente attenta, «in esodo» ci suggerisce un viticultore presente, nel senso che è un momento in cui tutto è in discussione e dobbiamo rimetterci in cammino. Mi si apre un mondo quando il Dottor Sergio Maria Francardo mi ricorda che gran parte del frumento in circolazione è stato modificato geneticamente creando il frumento Creso (dal nome del Re di Lidia, famoso per le sue ricchezze), che sta generando gran parte delle intolleranze al glutine (celiachia).
La sessione pomeridiana è tenuta proprio dal Dottor Francardo, medico antroposofico, che esordisce parlando della logica mercantile della medicina; mi chiedo perché a questi incontri non ci sia gente da stadio, saremo in esodo, ma siamo maledettamente pochi. Questa è la medicina che fa per me, quella che sceglie il farmaco in relazione alla persona e al suo vissuto, non per protocollo. Purtroppo la saluto-genesi non vende, mentre la pato-genesi sì.
Torno a casa convinto che niente succede per caso e ripenso alla mail di Sandro, non poteva esserci momento migliore per partecipare a questi incontri.
22 giugno
Chiedo: ma Joly è arrivato? Certo, è in sala che vi aspetta. Ho incontrato Nicolas solo una volta cinque anni fa, in occasione della rassegna Vini Veri, dopo aver letto la sua intervista su Porthos e il suo libro; mi incuriosiva molto. Non sono una persona di talento, mi piace inseguirlo attraverso le persone, mi nutro con le loro storie. L’ho solo guardato, mi sarebbe piaciuto scambiare dei pensieri ma era preso da mille situazioni. Il suo vino l’ho bevuto. Questa volta lo sentirò parlare. Le forze del sole, del calore, della luce che si trasformano in materia, questa è la biodinamica per Joly. Riprende il discorso del grano confermandoci che solo crescendo in altezza (fino ad 1,60 m) riesce a prendere le energie necessarie arricchendosi di silicio, come la valeriana lo fa con il fosforo. Joly ha coscienza di sé e di quello che sta facendo, ha sempre il sorriso sulle labbra quando insegna e come se vivesse in estasi. Mi colpisce la sua gestualità precisa: al termine di un concetto avvicina le due mani verso il petto ed indietreggia quasi da guru, i suoi occhi mi danno equilibrio.
Che cos’è il vino per Joly, chiedono dai banchi: è la realizzazione di un’unione di clima e terreno messi insieme da un’artista nella sua specifica maniera, così come ogni pittore potrà vedere da una specifica finestra un paesaggio tutto suo.
23 Giugno
Le degustazioni si svolgono in due sessioni: una la mattina, con 15 vini bianchi, e l’altra il pomeriggio con 16 vini rossi. Una bella fatica, soprattutto quella del pomeriggio.
Sono guidate da una sommelier di Reggio Emilia che conduce in maniera sobria e femminile, quasi in superficie. Si è donata invece che specchiarsi. I vini bianchi della mattinata mi hanno entusiasmato, bevibilità cristallina. Essi coprivano gran parte dell’Italia biodinamica più qualche incursione in Francia, tra Loira e Borgogna, un vino a testa per Germania, Slovenia e Georgia. La biodinamica e il biologico hanno fatto nascere un’approccio totalmente nuovo nell’ambito delle degustazioni, lo si nota sopratutto nei bianchi. La volatile alta e le vinificazioni sulle bucce con le loro macerazioni più o meno prolungate devono necessariamente far rivedere la nostra grammatica gustativa e anche in questo contesto siamo in esodo. L’azienda Cefalicchio ha presentato due vini in degustazione: il rosato del 2006, nero di troia in purezza ancora da equilibrare con una morbidezza eccessiva, e lo Jalal, moscato bianco in cui la matrice dolce del vitigno si integra bene con la sapidità, peccato per l’acidità poco incisiva, forse dovuta all’annata calda. Ho amato molto il Trebbiano dAbruzzo 2005 di Emidio Pepe, la sua capacità di crescere nel bicchiere e di essere quasi sottile in bocca. Giallo dorato opalescente, così si presentava la Ribolla Gialla 2001 di Radikon con quella acidità volatile ancora presente, un vino estremo, o si ama o si odia. La più bella sorpresa della mattinata: il Moscato d Asti di Bera 2007, affascinante già nel colore rosa cipria, voluttuoso in bocca con quella sua bellissima acidità. Non potevo tralasciare la Francia, tra l’altro nello Chardonnay Quintaine 2006 di Pierre Guillemot sento il fiore del sambuco, un vino circolare e bevibilissimo. La Coulée de Serrant del 2005 si presenta in splendida forma, longilineo, grasso, portentoso e di lunga persistenza con quella frutta bianca, eponimo della biodinamica.
Le mie papille gustative sono stanche, avevo promesso a Sandro che avrei sputato
Nel pomeriggio mi tocca sentire i 16 vini rossi. Ho l’impressione, dopo i primi assaggi, che non ci siano differenze abissali con i vini convenzionali di pari colore, al di là dell’uso meno esasperato di anidride solforosa. Ma forse la mia impreparazione e la stanchezza mi fanno scrivere queste cose. Prometto che la prossima volta mi impegnerò di più, ma vi prego: fatemi conoscere il Nicolas Joly del liquido odoroso rosso!